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I piu' grandi condottieri della Storia

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view post Posted on 1/2/2013, 16:06
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FAVORITO DELLA RAZZA

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Non c'è alcun dubbio, ma ha messo in comunicazione mondi diversissimi che quasi mai si erano incontrati, anche i Persiani avevano avuto solo contatti bellicosi coi Greci. E in ogni caso si sgretolò nei regni Ellenistici, pozzi di arte e cultura il cui valore viene dalla miscelazione tra quelle locali e quelle importate dal Macedone (Egitto, Siria, Pergamo ecc.)

Anzi, se devo dirla tutta, non saprei se considerare o no Cesare più influente di Alessandro, un condottiero eletto a mito già in vita.
 
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io sto con gli ippopotami
view post Posted on 1/2/2013, 16:56




CITAZIONE (Byrne @ 1/2/2013, 16:06) 
Non c'è alcun dubbio, ma ha messo in comunicazione mondi diversissimi che quasi mai si erano incontrati, anche i Persiani avevano avuto solo contatti bellicosi coi Greci. E in ogni caso si sgretolò nei regni Ellenistici, pozzi di arte e cultura il cui valore viene dalla miscelazione tra quelle locali e quelle importate dal Macedone (Egitto, Siria, Pergamo ecc.)

Da quanto ne sono io dopo la morte di Alessandro i greci e i macedoni hanno avuto comunque posizioni privilegiate rispetto ai popoli asiatici che facevano parte dell'impero,forse se non fosse morto "l'Impero universale" a cui aspirava poteva davvero concretizzarsi
 
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view post Posted on 20/4/2013, 19:09
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Tra i romani mi sembrano degni di menzione anche Metello, Mario, Silla e (più come luogotenente di Cesare che in solitaria) Marco Antonio. Ovviamente a livelli diversi: brillanti Mario e Silla, Capaci Metello e Antonio.
 
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Werebadger
view post Posted on 20/4/2013, 22:26




Uhm...direi Leonida I. Il suo coraggio nello sfidare lo sterminato esercito persiano con un pugno di uomini (non 300 come nel fumetto, ma un pò di più in realtà), pur di non sottomettersi a Serse è stato veramente notevole. Magari facessimo come lui, con i nostri politici.
 
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view post Posted on 20/4/2013, 23:03
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Principe dell'alveare

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CITAZIONE (Byrne @ 20/4/2013, 20:09) 
Tra i romani mi sembrano degni di menzione anche Metello, Mario, Silla e (più come luogotenente di Cesare che in solitaria) Marco Antonio. Ovviamente a livelli diversi: brillanti Mario e Silla, Capaci Metello e Antonio.

Mi piace anche la figura di Lucio Giunio Bruto, colui che cacciò l'ultimo re
 
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view post Posted on 21/4/2013, 10:29
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CITAZIONE (Werebadger @ 20/4/2013, 23:26) 
Uhm...direi Leonida I. Il suo coraggio nello sfidare lo sterminato esercito persiano con un pugno di uomini (non 300 come nel fumetto, ma un pò di più in realtà), pur di non sottomettersi a Serse è stato veramente notevole. Magari facessimo come lui, con i nostri politici.

Valoroso comandante, non c'è dubbio. Buona la scelta di affrontare Serse al passo delle Termopili. Ma non si sa nulla delle sue effettive abilità tattiche e strategiche. Altro discorso per Temistocle, esso sì geniale pastore d'eserciti, che massacrò in contemporanea la soverchiante flotta persiana sul mare accanto al passo.
 
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view post Posted on 26/4/2013, 18:11
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Tra i greci sono interessanti ed estremamente importanti (se non particolarmente abili) Alcibiade e Pausania, quest'ultimo nipote di Leonida e vincitore dei Persiani a Platea. In ogni caso, l'esito della seconda guerra persiana si decise alla battaglia del passo delle Termopili: diede tempo ai greci per organizzarsi, portò via un buon numero di fanti a Serse e ne annientò la flotta (complice una violenta tempesta). Platea, dopo tutto questo, fu una vittoria quasi scontata.

Sia Alcibiade che Pausania sono personaggi di estrema ambiguità. Abili, intelligenti, di buon cuore ma viziosi, irascibili, volubili.
 
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io sto con gli ippopotami
view post Posted on 30/1/2014, 08:13




consiglio questo libro in cui sono messi a confronto Giulio Cesare,Annibale e Alessandro Magno
 
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io sto con gli ippopotami
view post Posted on 28/6/2014, 13:56




Gonzalo Guerrero.....mercenario spagnolo del sedicesimo secolo diventato poi un leader fra i Maya nella lotta contro i conquistadores......alla faccia di Balla coi Lupi XD


Nel 1511 riuscì a sopravvivere a un naufragio, finendo fortunosamente sullo coste dello Yucatan, dove, catturato dagli indigeni Maya, ne divenne schiavo.

Alfine liberato dai suoi stessi padroni, divenne un notabile presso la comunità Maya in cui viveva, contribuendo a difenderla contro i conquistadores spagnoli di Francisco de Montejo, probabilmente morendo in battaglia attorno all'anno 1536.



Nato a Palos de la Frontera in Spagna, morì lottando fianco a fianco con i Maya contro i conquistadores Spagnoli di Pedro di Alvarado. Personaggio controverso perché arrivò ad essere un capo Maya, particolarmente bellicoso contro i conquistatori. Fu conosciuto come "il Rinnegato" dai suoi compatrioti spagnoli, mentre in Messico lo considerano il Padre del Meticciato. È ricordato anche sotto i nomi di Gonzalo Marino, Gonzalo di Aroca e Gonzalo di Aroza.

Poco si sa della sua infanzia, nacque a Palos nell'ottava decade del secolo XV, cioè era un po' più giovane di Vicente Yáñez Pinzón quando questi fu capitano della caravella Niña nel primo viaggio di Colombo. Fu più soldato che marinaio, ed appare come fuciliere nella conquista di Granada, in una campagna che culmina il 2 gennaio 1492, quando le truppe dei re cattolici, comandate dal Gran Capitano Gonzalo Fernández di Cordova sconfiggono il re Boabdil. Seguì il Gran Capitano anche a Napoli, dove la Spagna iniziava la sua influenza.

Intorno al . Solo venti persone, diciotto uomini e due donne, riescono per il momento a salvare le loro vite in una piccola scialuppa. Senza acqua né alimenti, e sfiniti dopo la terribile lotta contro il temporale ed il naufragio, il sole li martoria. La sete è insopportabile. Sanno che se bevono l'acqua del mare morranno e gli squali che circondano l'imbarcazione, seguendoli come avvoltoi, avranno il loro banchetto. Disperati, bevono le proprie urine e quelle degli altri. Dei morti, man mano, bevono il sangue e mangiano la carne.

Della ventina che salì sulla scialuppa unicamente arrivarono otto alla costa dello Yucatàn. Ebbero subito un primo contatto con la popolazione indigena dei Cocomes, che si mostrarono abbastanza aggressivi. Gerónimo de Aguilar sarebbe stato la principale fonte di questa storia, poiché fu l'unico superstite insieme a Gonzalo Guerrero, ma, a differenza sua, avrebbe fatto ritorno e avrebbe narrato questi eventi.

Davanti ai minacciosi gesti degli indios, il capitano Valdivia sguainò la spada per difendersi e ne ferì uno. Fu il gesto che scatenò la violenza. I Cocomes li catturano e ne sacrificano quattro - tra essi il capitano Valdivia - e li mangiarono. I quattro restanti furono rinchiusi in alcune piccole gabbie a forma di cubo, fatte con rami, per ingrassarli e degustarli in eventuale successivo e macabro banchetto del villaggio.

Fortunatamente, la certezza del crudele destino che li attendeva diede loro le forze per scappare. Durante la fuga caddero però nelle mani dei Xiues Tutul, nemici del Cocomes: nella città-stato di Mani, il capo Taxmar li offre al sacerdote Teohom come schiavi; per il duro lavoro ed i maltrattamenti subiti muoiono tutti, tranne Gonzalo e Gerònimo de Aguilar. Taxmar, consapevole del duro lavoro che cui erano sottoposti gli schiavi, e visto che i due unici superstiti stavano sull'orlo della morte, li reclama. Gonzalo e Gerònimo avevano fra l'altro combattuto contro i nemici della tribù, distinguendosi per le loro doti di astuzia e per la strategia, praticamente sconosciuta tra gli indios.

Taxmar li elegge quindi a consiglieri di guerra. Gonzalo insegna loro le differenti forme di attacco e difesa, a disporsi in diverse formazioni a quadri e a colonne, ed anche che non tutti i combattenti devono attaccare contemporaneamente, bensì sostituendosi nelle linee per alternare combattimento e riposo, al fine di non esaurirsi. Inoltre, formò una rudimentale e peculiare falange macedonica, sufficiente per sconfiggere i Cocomes. Fu in questo modo che Gonzalo raggiunse un grande prestigio. In qualità di guerriero ed uomo libero della sua tribù, partecipa così con gran successo a varie spedizioni guerriere. Si accultura, si lascia fare le mutilazioni ed i tatuaggi rituali che sono propri al suo rango. Le sue vittorie si succedono e può sposarsi con la principessa Zazil Há, anche chiamata Ix Chel Can, la figlia di Nachan Can. La sua integrazione nel Paese che l'aveva adottato fu tanto grande che persino la sua primogenita, Ixmo, fu sacrificata agli dei, a Chichén Itzá.

Nel 1519 sbarcò una spedizione di Hernán Cortés sull'isola di Cozumel, ed i suoi componenti appresero che due spagnoli ci vivevano. Cortés, tenuto conto degli obiettivi della spedizione, valutò l'enorme vantaggio che avrebbe avuto da questi due naufraghi spagnoli che parlavano ormai la lingua locale, quindi mandò dei messaggeri per riscattarli con dei doni per la tribù ed alcune lettere per i naufraghi. Gli emissari di Cortés consegnarono le lettere al De Aguilar, il quale le lesse con l'amico Guerrero.

Guerrero concluse: "Fratello Aguilar, io sono ormai sposato ed ho tre figli. I Maya mi hanno elevato a capo e capitano, mi sono forato le orecchie ed ho i tatuaggi de mio rango sulla faccia, cosa direbbero di me gli Spagnoli, se mi vedessero con questo mio nuovo aspetto? Va tu con Dio, questo è ormai il mio posto, fra questa gente". Al rientro, Gerònimo de Aguilar comunicò a Cortés che Guerrero si era rifiutato di unirsi agli spagnoli, e questi commentò così: "In verità, vorrei mettere le mie mani su di lui, perché non è bene lasciargliele." Quello di Cortés quindi non è stato un giudizio morale su Guerrero, ma la presa di coscienza che, da un punto di vista strategico, egli sarebbe stato un deterrente alla spedizione di colonizzazione. Il rifiuto di Guerrero a rientrare con gli spagnoli venne poi ufficialmente etichettato come tradimento, e consentì ai cronisti di esprimerne un giudizio morale: il Gonzalo dei resoconti storici è un "apostata", un "rinnegato", un "traditore", una persona dubbia, un peccatore che aveva per moglie una Maya, quindi un "cristiano basso".

Nel luglio del 1531, il capitano Dávila partì verso Chetumal, dove supponevano che vivesse Guerrero ed esistessero miniere d'oro; tuttavia trovò un posto in abbandono, e catturò alcuni Maya. Questi l'ingannarono dicendo che Gonzalo Guerrero era morto per cause naturali, e Dávila informò Montejo a Campeche sul supposto decesso. In realtà, Guerrero morì nel 1536, mentre affrontava le truppe del capitano Lorenzo di Godoy per aiutare, con cinquanta canoe, Çiçumba, capo tribù indiano di Ticamaya (Honduras), nella valle inferiore del fiume Ulúa.

La sua agonia non fu lunga. Una freccia di balestra lo colpì nell'ombelico, attraversandolo fino al fianco. I suoi uomini lo tirarono fuori dal campo di battaglia e lo nascosero dietro alcune palme. Subito capirono che era arrivata la sua ora, e nessuno cercò di estrarre la freccia, per non farlo inutilmente soffrire.
 
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io sto con gli ippopotami
view post Posted on 7/7/2014, 10:37




Vlad Tepes non fu l'unico incubo dei turchi che tentarono di espandersi in Europa.Un altro condottiero poco noto ma abile e intrepido,Skanderberg,il "dragone albanese".

Giorgio Castriota Scanderbeg (Gjergj Kastrioti Skenderbeu) nasce a Croia (Krujë) nel 1405, quando l'Albania, a parte pochi territori come le zone di estrema montagna dove vivevano i leggendari malesore - contadini che conservavano antiche usanze e organizzazioni sociali -, era sotto il dominio turco. Figlio di Giovanni Castriota (Gjon Kastrioti) principe di Krujë, quando aveva solo tre anni fu preso in ostaggio con i suoi tre fratelli maggiori dal sultano Murat II: due, Stanislao e Reposio, furono uccisi, il terzo, Costantino, si fece monaco, mentre Giorgio fu educato nella corte di Adrianopoli. Avviato alla carriera militare secondo il tradizionale devshirme (l'arruolamento forzato dei giovani da inserire nell'esercito turco), divenne esperto nell'uso delle armi e nella strategia militare, guadagnando la stima e la fiducia del sultano, che gli diede un nome islamico: Iskender Bej (letteralmente: Alessandro signore); appunto da Iskander o Skander deriva il nome Scanderbeg.

Giorgio si distinse per capacità, intelligenza e cultura: sembra che parlasse perfettamente il turco, l'arabo, il greco, l'italiano, il bulgaro e il serbocroato. Dopo una serie di imprese militari portate a termine brillantemente come generale dei "corpi della morte" turchi chiamati Jeniçer, nel 1443 ebbe dal sultano l'incarico di affrontare il voivoda di Transilvania Janos Hunyadi (il "cavaliere bianco") per riconquistare la Serbia che il nobile valacco era riuscito a strappare ai Turchi.

Intanto erano giunte a conoscenza dello stratega notizie sulle sue vere origini, sulla sua provenienza e sulla sorte dei suoi tre fratelli. Queste rivelazioni determinarono il corso della storia successiva. Skanderbeg e Janos di Transilvania si incontrarono in segreto per complottare contro l'esercito turco.

Scanderbeg insieme ai suoi fedelissimi, 300 cavalieri tutti albanesi, compreso il nipote Hamza, abbandonò improvvisamente l'esercito turco a Nish e si diresse verso l'Albania. Qui, falsificando l'ordine del sultano, ottenne la consegna del castello di Krujë da parte del Pascià in carica. Durante i festeggiamenti per la consegna del castello il piccolo contingente turco fu massacrato, compreso il Pascià che fu ucciso dallo Scanderbeg seduto accanto a lui nel banchetto. Immediatamente dopo lo Scanderbeg organizzò un esercito provvisorio per la difesa della roccaforte conquistata.

Nel marzo del 1444, nella cattedrale veneziana di S. Nicola ad Alessio (Lezha) una grande assise di principi albanesi cui prese parte anche il rappresentante di Venezia, costituita la "Lega dei popoli albanesi", si pronunciò all'unanimità per affidare il comando a Scanderbeg. Il sultano Murat reagì inviando contro gli Albanesi un forte esercito guidato da Alì Pascià; lo scontro con le truppe di Scanderbeg, decisamente inferiori numericamente, avvenne il 29 giugno 1444 a Torvjolli: qui i Turchi riportarono una bruciante sconfitta.

L'esito disastroso della battaglia spinse il sultano ad affidare l'incarico di affrontare e sconfiggere gli Albanesi a Firuz Pascià, a capo di 15.000 cavalieri. Skanderbeg ancora una volta usò proficuamente la tattica della guerriglia: piuttosto che affrontarlo in campo aperto, attese l'esercito avversario presso le gole di Prizren, e gli inflisse, il 10 ottobre 1445, una nuova sconfitta, ripetuta poi l'anno successivo nei confronti di un ancor più numeroso contingente, al comando di Mustafà Pascià.

Entusiasta della vittoria, il papa Eugenio IV giunse a ipotizzare una nuova crociata contro l'Islam guidata dallo stesso Scanderbeg. Non a torto: il condottiero era riuscito - e riuscirà in seguito - a conseguire decine di vittorie nelle battaglie contro gli eserciti ottomani: nei campi di Pollogut, di Dibra, di Ocrida, e di Domosdove, nelle gole dei fiumi di Drin, di Shkumbin negli anni 1444-48, 1450-56, 1462-65, e nei Campi dell'Acqua Bianca nel 1457, nei pressi di Ocrida nel 1462, nel prato di Vajkan nel 1465, e così via.

In quegli anni, anche la Puglia conobbe direttamente il valore militare dello Scanderbeg, impegnatosi direttamente a sostenere il re di Napoli Ferdinando I d'Aragona, detto Ferrante - figlio di quell'Alfonso I che all'Albanese non aveva fatto mancare il suo sostegno e il suo contributo in armati -, contro il rivale Giovanni d'Angiò. Sconfitto quest'ultimo nel 1462 presso Orsara di Puglia, lo Scanderberg fu costretto a tornare in Albania per affrontare una nuova minaccia ottomana. Due anni più tardi re Ferdinando gli concesse i feudi di Monte Sant'Angelo e San Giovanni Rotondo. Intanto in quegli anni, e per tutta la seconda metà del Quattrocento, si va intensificando l'esodo di profughi albanesi nelle terre pugliesi, in particolare in Terra d'Otranto e in Capitanata: ne vengono interessate, tra le altre, le località di Campomarino, Casalnuovo Monterotaro, Casalvecchio di Puglia, Chieuti, Monteparano, San Giorgio Jonico, San Marzano di San Giuseppe, San Paolo di Civitate, Sternatia, Zollino.

L'idea della crociata contro l'Islam, sempre affidata allo Scanderbeg, fu ripresa da papa Pio II, ma questa volta gli Stati occidentali, soprattutto la repubblica veneziana, fecero decisamente "orecchio da mercante". Il papa morì poco dopo (1464) e così Scanderbeg si trovò da solo con gli Albanesi a fronteggiare i Turchi.

Nel 1467 Scanderbeg sconfisse Maometto II. Nonostante i suoi successi, alcuni dei quali straordinari, egli si rese conto che resistere alla pressione ottomana diventava sempre più difficile. La stessa preoccupazione convinse il doge di Venezia ad inviare l'ambasciatore Francesco Capello Grimani presso il condottiero albanese per organizzare una difesa comune, ma l'ambasciatore non potè portare a termine l'incarico perché Scanderbeg morì di malaria ad Alessio (Lezha) il 17 gennaio 1468, 15 anni dopo la definitiva caduta di Costantinopoli.

Erede di Giorgio Castriota Scanderbeg fu il figlio Giovanni, avuto dalla moglie Marina Donica Arianiti. Giovanni, ancora fanciullo, si rifugiò assieme alla madre a Napoli, dove venne ospitato da re Ferdinando I. Nel 1481 egli radunò alcuni fedelissimi e sbarcò a Durazzo; osannato dal popolo, non riuscì a portare a termine alcuna impresa militare significativa.

L'Albania dovette lentamente ma definitivamente cedere al dominio turco. Molti principi, per sfuggire a stermini e deportazioni, l'abbandonarono e con loro, nel corso del 1503, anche quei Veneziani che avevano ancora dei possedimenti albanesi. Il sogno dei Sultani di estendere il dominio islamico fino a Roma svanì: l'Occidente doveva in primo luogo a Scanderbeg questo merito. La resistenza albanese contro i Turchi continuò per più di un decennio dopo la morte di Scanderbeg, ma mai più organizzata come nei suoi venticinque anni di battaglie.
 
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Hippo
view post Posted on 19/1/2019, 21:04




CITAZIONE (io sto con gli ippopotami @ 28/6/2014, 14:56) 
Gonzalo Guerrero.....mercenario spagnolo del sedicesimo secolo diventato poi un leader fra i Maya nella lotta contro i conquistadores......alla faccia di Balla coi Lupi XD
RhNtJdK

Nel 1511 riuscì a sopravvivere a un naufragio, finendo fortunosamente sullo coste dello Yucatan, dove, catturato dagli indigeni Maya, ne divenne schiavo.

Alfine liberato dai suoi stessi padroni, divenne un notabile presso la comunità Maya in cui viveva, contribuendo a difenderla contro i conquistadores spagnoli di Francisco de Montejo, probabilmente morendo in battaglia attorno all'anno 1536.



Nato a Palos de la Frontera in Spagna, morì lottando fianco a fianco con i Maya contro i conquistadores Spagnoli di Pedro di Alvarado. Personaggio controverso perché arrivò ad essere un capo Maya, particolarmente bellicoso contro i conquistatori. Fu conosciuto come "il Rinnegato" dai suoi compatrioti spagnoli, mentre in Messico lo considerano il Padre del Meticciato. È ricordato anche sotto i nomi di Gonzalo Marino, Gonzalo di Aroca e Gonzalo di Aroza.

Poco si sa della sua infanzia, nacque a Palos nell'ottava decade del secolo XV, cioè era un po' più giovane di Vicente Yáñez Pinzón quando questi fu capitano della caravella Niña nel primo viaggio di Colombo. Fu più soldato che marinaio, ed appare come fuciliere nella conquista di Granada, in una campagna che culmina il 2 gennaio 1492, quando le truppe dei re cattolici, comandate dal Gran Capitano Gonzalo Fernández di Cordova sconfiggono il re Boabdil. Seguì il Gran Capitano anche a Napoli, dove la Spagna iniziava la sua influenza.

Intorno al . Solo venti persone, diciotto uomini e due donne, riescono per il momento a salvare le loro vite in una piccola scialuppa. Senza acqua né alimenti, e sfiniti dopo la terribile lotta contro il temporale ed il naufragio, il sole li martoria. La sete è insopportabile. Sanno che se bevono l'acqua del mare morranno e gli squali che circondano l'imbarcazione, seguendoli come avvoltoi, avranno il loro banchetto. Disperati, bevono le proprie urine e quelle degli altri. Dei morti, man mano, bevono il sangue e mangiano la carne.

Della ventina che salì sulla scialuppa unicamente arrivarono otto alla costa dello Yucatàn. Ebbero subito un primo contatto con la popolazione indigena dei Cocomes, che si mostrarono abbastanza aggressivi. Gerónimo de Aguilar sarebbe stato la principale fonte di questa storia, poiché fu l'unico superstite insieme a Gonzalo Guerrero, ma, a differenza sua, avrebbe fatto ritorno e avrebbe narrato questi eventi.

Davanti ai minacciosi gesti degli indios, il capitano Valdivia sguainò la spada per difendersi e ne ferì uno. Fu il gesto che scatenò la violenza. I Cocomes li catturano e ne sacrificano quattro - tra essi il capitano Valdivia - e li mangiarono. I quattro restanti furono rinchiusi in alcune piccole gabbie a forma di cubo, fatte con rami, per ingrassarli e degustarli in eventuale successivo e macabro banchetto del villaggio.

Fortunatamente, la certezza del crudele destino che li attendeva diede loro le forze per scappare. Durante la fuga caddero però nelle mani dei Xiues Tutul, nemici del Cocomes: nella città-stato di Mani, il capo Taxmar li offre al sacerdote Teohom come schiavi; per il duro lavoro ed i maltrattamenti subiti muoiono tutti, tranne Gonzalo e Gerònimo de Aguilar. Taxmar, consapevole del duro lavoro che cui erano sottoposti gli schiavi, e visto che i due unici superstiti stavano sull'orlo della morte, li reclama. Gonzalo e Gerònimo avevano fra l'altro combattuto contro i nemici della tribù, distinguendosi per le loro doti di astuzia e per la strategia, praticamente sconosciuta tra gli indios.

Taxmar li elegge quindi a consiglieri di guerra. Gonzalo insegna loro le differenti forme di attacco e difesa, a disporsi in diverse formazioni a quadri e a colonne, ed anche che non tutti i combattenti devono attaccare contemporaneamente, bensì sostituendosi nelle linee per alternare combattimento e riposo, al fine di non esaurirsi. Inoltre, formò una rudimentale e peculiare falange macedonica, sufficiente per sconfiggere i Cocomes. Fu in questo modo che Gonzalo raggiunse un grande prestigio. In qualità di guerriero ed uomo libero della sua tribù, partecipa così con gran successo a varie spedizioni guerriere. Si accultura, si lascia fare le mutilazioni ed i tatuaggi rituali che sono propri al suo rango. Le sue vittorie si succedono e può sposarsi con la principessa Zazil Há, anche chiamata Ix Chel Can, la figlia di Nachan Can. La sua integrazione nel Paese che l'aveva adottato fu tanto grande che persino la sua primogenita, Ixmo, fu sacrificata agli dei, a Chichén Itzá.

Nel 1519 sbarcò una spedizione di Hernán Cortés sull'isola di Cozumel, ed i suoi componenti appresero che due spagnoli ci vivevano. Cortés, tenuto conto degli obiettivi della spedizione, valutò l'enorme vantaggio che avrebbe avuto da questi due naufraghi spagnoli che parlavano ormai la lingua locale, quindi mandò dei messaggeri per riscattarli con dei doni per la tribù ed alcune lettere per i naufraghi. Gli emissari di Cortés consegnarono le lettere al De Aguilar, il quale le lesse con l'amico Guerrero.

Guerrero concluse: "Fratello Aguilar, io sono ormai sposato ed ho tre figli. I Maya mi hanno elevato a capo e capitano, mi sono forato le orecchie ed ho i tatuaggi de mio rango sulla faccia, cosa direbbero di me gli Spagnoli, se mi vedessero con questo mio nuovo aspetto? Va tu con Dio, questo è ormai il mio posto, fra questa gente". Al rientro, Gerònimo de Aguilar comunicò a Cortés che Guerrero si era rifiutato di unirsi agli spagnoli, e questi commentò così: "In verità, vorrei mettere le mie mani su di lui, perché non è bene lasciargliele." Quello di Cortés quindi non è stato un giudizio morale su Guerrero, ma la presa di coscienza che, da un punto di vista strategico, egli sarebbe stato un deterrente alla spedizione di colonizzazione. Il rifiuto di Guerrero a rientrare con gli spagnoli venne poi ufficialmente etichettato come tradimento, e consentì ai cronisti di esprimerne un giudizio morale: il Gonzalo dei resoconti storici è un "apostata", un "rinnegato", un "traditore", una persona dubbia, un peccatore che aveva per moglie una Maya, quindi un "cristiano basso".

Nel luglio del 1531, il capitano Dávila partì verso Chetumal, dove supponevano che vivesse Guerrero ed esistessero miniere d'oro; tuttavia trovò un posto in abbandono, e catturò alcuni Maya. Questi l'ingannarono dicendo che Gonzalo Guerrero era morto per cause naturali, e Dávila informò Montejo a Campeche sul supposto decesso. In realtà, Guerrero morì nel 1536, mentre affrontava le truppe del capitano Lorenzo di Godoy per aiutare, con cinquanta canoe, Çiçumba, capo tribù indiano di Ticamaya (Honduras), nella valle inferiore del fiume Ulúa.

La sua agonia non fu lunga. Una freccia di balestra lo colpì nell'ombelico, attraversandolo fino al fianco. I suoi uomini lo tirarono fuori dal campo di battaglia e lo nascosero dietro alcune palme. Subito capirono che era arrivata la sua ora, e nessuno cercò di estrarre la freccia, per non farlo inutilmente soffrire.

Approfondimento
http://zweilawyer.com/2018/12/20/gonzalo-g...guerriero-maya/
 
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view post Posted on 22/12/2022, 13:14
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PRESCELTO DELLA STIRPE

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Da una pagina Facebook :

"ALESSANDRO MAGNO, ANNIBALE BARCA, CAIO GIULIO CESARE

Secondo l'opinione di moltissimi appassionati della storia antica sono questi i tre condottieri militari che piu' di altri si distinsero nell'arte della guerra.

Alessandro con un esercito di circa 35-40.000 uomini affronta il regno achemenide che puo' contare sui 500.000 uomini. Scopo segreto della spedizione e' la impossibile conquista del più grande impero del mondo antico.

Cesare con un esercito di circa 50.000 uomini affronta le tre Gallie, divise in molte tribu' ma in grado di mettere in campo fino a 300.000 uomini. Scopo della spedizione era la conquista finale della Gallia Transalpina e trasformarla in provincia.

Annibale con un esercito di circa 30.000 uomini affronta nella penisola italica la Repubblica romana che insieme a suoi alleati era in grado di mettere in campo più di 260.000 uomini. Scopo della spedizione era indebolimento ed il logoramento degli avversari ed indurli a nuove trattative sui rapporti geo politici mediterranei tra Cartagine e Roma.

CONFRONTO DEI TRE PIANI STRATEGICI

1) Alessandro affronta eserciti in rapporto di forze superiori da 3 a 6 volte.
2) Cesare affronta sempre eserciti in sostanziale parita' numerica esclusa la battaglia finale di Alesia dove e' in rapporto di forze inferiore di 1 a 6 volte.
3) Annibale affronta con successo gli eserciti nemici ma non riesce ad avere ragione di Roma che puo' contare su un rapporto di forze superiore di 1 a 7/8 volte.

Se si osservano i 3 piani quello annibalico e' sicuramente meno rischioso degli altri due.
Dal punto di vista logistico quello cesariano essendo la Gallia Narbonese una provincia romana. Alessandro invece e' come Annibale lontano migliaia di chilometri dalle fonti di arruolamento di uomini.
Alessandro dopo appena 3 vittorie di cui l'ultima Gaugamela impossibile a crederci, e 2 assedi (Tiro e Gaza) vede l'impero achemenide sciogliersi come la neve.
Cesare affronta e vince in modo intelligente e separatamente le varie tribu'. Le vince tuttavia anche dopo la riunificazione politico militare vercingetoriana.
Annibale colpisce Roma molto duramente e riesce a logorare come previsto i suoi nemici. Ma Roma riesce a mantenere le sue alleanze latino e italiche e a resistere alla piaga annibalica.

Difficile stabilire quale dei 3 piani strategici fosse il migliore giudicando non con il senno di poi e non con le informazioni in nostro possesso. Il giudizio andrebbe dato con le informazioni in possesso dei tre condottieri primari effettuare le spedizioni."
 
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50 replies since 3/9/2011, 11:32   11614 views
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