| Forse è il momento di parlare di un film che adoro, che ho incluso nei primi 10 della mia classifica personale, e con cui è estremamente difficile avere un contatto, specie perchè (malgrado si faccia di tutto per fingere il contrario) sotto sotto ci stiamo imbigottendo non poco. Sto parlando dell'ultimo film (1975, l'anno della morte) di Pier Paolo Pasolini, Salò o le 120 giornate di Sodoma.
Breve parentesi sull'autore. Pasolini, nato a Bologna nel 1922, fu tra le menti più brillanti e poliedriche del secolo scorso: poeta, romanziere, regista, intellettuale, sceneggiatore, saggista, polemista, giornalista, pittore. Troppo genio per essere contenuto in un solo essere umano. Visse nel segno di una continua e nervosa ricerca esistenziale, artistica e sociopolitica, influenzando davvero la nostra cultura come pochi suoi coevi hanno saputo fare (e nessuno, in ogni caso, ai suoi livelli n. d. a.). Lucido, disincantato, mostruosamente creativo, un personaggio davvero unico e che (questo è fuor di ogni dubbio) il nostro paese non ha fatto nulla per meritare. In qualunque ambito si sia mosso (tranne nella pittura, solo poco più di una passione) ha sbalordito per originalità e geniale ispirazione estetica e contenutistica, ma ha anche reso grande il mezzo televisivo che disprezzava, collaborando con tanti altri celebri intellettuali dell'epoca. Il 2 Novembre 1975, Pier Paolo Pasolini fu barbaramente assassinato al Lido di Ostia (Roma), da esecutori tuttora ignoti (malgrado il presunto arresto dell'assassino, con ogni probabilità un capro espiatorio) e per ragioni che si possono intuire solo a grandi linee: preso a sprangate e travolto dalla sua stessa auto, lasciò dietro di se' un cadavere sconciato ed irriconoscibile e la forza dirompente dei suoi scritti e del suo cinema, un corsaro dallo sguardo penetrante che ha ricordato al paese il concetto di intelligenza.
Salò è l'esempio più lampante dell'amore del suo regista per lo spiazzare, per lo shock e per la violenza psicologica (Io credo che scioccare sia un diritto, essere scioccati un piacere, e che chi rifiuta di farsi scioccare sia un moralista, il cosiddetto moralista..). Ma è anche un'opera d'arte equamente divisa e vantata dal cinema e dalla letteratura. Ispirato a Le 120 giornate di Sodoma del Marchese De Sade, ne trasferisce l'azione al tempo e nei luoghi della Repubblica di Salò, ultimo baluardo dei fascisti sul finire del secondo conflitto mondiale. Nulla da fare però, il film non parla della guerra, non parla di Fascismo (o almeno, non come adorerebbero fosse fatto gli amanti della retorica) e sfrutta questa suggestiva cornice solo come sfondo. La trama: seguiamo le gesta di quattro potenti appartenenti ai poteri "classici". Sono infatti un Duca (simbolo di nobiltà), un Monsignore (simbolo del potere ecclesiastico), un'Eccellenza (potere giudiziario) e un Presidente di banca (potere economico). I quattro gentiluomini sequestrano in una grande villa giovani di entrambi i sessi e li usano per il proprio piacere, ispirati da racconti scabrosi che vengono narrati per l'occasione da donne addette al compito. I giovani affronteranno una sorta di Inferno dantesco, seviziati e brutalizzati in ogni maniera immaginabile dai loro carcerieri e carnefici. Antinferno, Girone delle Manie, Girone della Merda, Girone del Sangue. Colpire la sensibilità dello spettatore per mostrargli di averne ancora una sembra essere uno degli obiettivi di Pasolini. Arancia Meccanica vi sembrerà parecchio edulcorato al confronto. Il regista riduce i suoi attori, reclutati personalmente, a corpi da possedere e mutilare con poetica fermezza e delizioso umorismo. Tortura, sodomia, omicidio, scatofagia, umiliazione (in una scena due ragazzi saranno costretti ad unirsi in un grottesco matrimonio prima di subire nuove angherìe) animano ogni fotogramma del film, colorato da una colonna sonora di delicato pianoforte (supervisionata da Morricone) che neutralmente si limita a scandirne il marziale furore. Film sul potere e sulla sopraffazione in tutte le sue forme, pervaso da un'inquietudine che si fa quasi vivente, terribilmente attaccabile nel suo scagliarsi su chi lo guarda prima ancora che su ciò che condanna, termina lasciando basiti, attoniti. Sembra quasi che l'Incubo e la Paura ci abbiano spedito il filmino del loro matrimonio.
Voto: incalcolabile, ma ciònonostante non mi sento di consigliarlo ne' alle anime fragili ne' alle menti rigide. Potreste non apprezzarlo, e allora tanto vale non guardarlo, giusto?
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