Un mare algido, una cascata armonica, un vento tangibile e un superessere che spunta fra le rocce. Come dire: benvenuti, o quasi, avete passato le frontiere della terra, della natura che conoscete. Si apre così Prometheus un inizio simile a un atterraggio aereo con l'orizzonte extraterrestre che si perde. Nel 2089, scopriamo che degli scienziati, grazie a dei graffiti scoperti in Scozia, formulano una teoria della genesi terrestre che sovverte il darwinismo: in realtà discendiamo tutti da esseri superiori, una sorta di dei che le civiltà lontane e mai incontrate tra di loro veneravano allo stesso modo e la testimonianza è proprio nei graffiti ritrovati in punti lontani di tutta la terra. Così la nave Prometheus parte alla volta di questo pianeta indicato nei ritrovamenti ma l'equipaggio è tutt'altro che armonico: tra questi c'è la cinica Vickers, Charlize Theron, la scienziata piena di fede interpretata da Noomi Rapace, l'umanoide che vorrebbe tanto l'anima, David (Michael Fassbender).
Prometeo era il titano che rubò il fuoco agli dei per portarlo agli uomini, dandoli pari dignità con l'Olimpo. Quando Zeus lo scoprì lo condanno a essere incatenato sul Caucaso e un' aquila gli divorava il fegato che ricresceva nella notte così per sempre fin quando Eracle lo liberò. La nave Prometheus viaggia per una sfida simile, andare a trovare gli dei, capire chi sono e perché ci hanno creato e riportare il messaggio alla terra, insomma rispondere alla domanda: da dove veniamo? Ma la mitologia insegna che sfidare gli dei può generare grandi punizioni. Ridley Scott, il regista, riprende in mano la fantascienza dopo i decenni nei quali ha regalato al cinema due semi per far germogliare il nuovo sci-fi: Alien e Blade Runner. Prometheus ha chiari contatti con il primo, doveva essere un suo prequel poi si è sviluppato in un'altra direzione, mettendolo al crocevia tra il prequel e il riavvio di una saga. In questa indefinizione, il film si perde come nei meandri di una galassia che la nave spaziale naviga con equipaggio ibernato. Prometheus è una gioia per gli occhi e per l'esperienza cinema: ha dei campi lunghi, gioiosissimi e sconfinati, solo l'occhio di Scott e la maestria dello scenografo Arthur Max riescono a ricreare un mondo unico, spazi aperti e vastissimi, reinvenzione della geografia e della meteorologia cinematografica, ancora di più esaltanti sapendo che gran parte del set era concreto, materiale, con aiuti ridotti dell'ormai imperante computer grafica. Purtroppo però il film finisce come Ash nell'Alien del 1979 gli rimane la testa e l'occhio funzionante ma non il resto. C'è la visione, ma non la storia: come fare una Cappella Sistina, senza fondamenta che la preservino per i secoli. E ciò è doloroso se si pensa che una delle penne di Prometheus è Damon Lindelof, uno dei creatori di Lost: sceneggiatore che con l'incrocio di mondi, spazi tempi e filosofia ci sa fare. I personaggi sono tutti abbozzati ad eccezione di Noomi Rapace, che vorrebbe essere la nuova Ripley e di David/Fassbender. C'è un assalto veloce alla psicologia dell'equipaggio che non ci fa entrare nella loro paura, nella paura dell'ignoto, dell'altro, dell'alieno, quello scavo nell'anima che ha fatto grande Alien e sequel (quarto escluso) davanti all'Olimpo del cinema. Poco, pochissimo e pure con qualche buco di sceneggiatura, è aggiunto alla narrativa fantascientica esplosa con i capolavori del genere di Scott e Dan O'Bannon, sceneggiatore di Alien. Se gli occhi si divertono, il sentimento non ci riesce e il Prometheus non è un titano vero, come il mito, ma rimane solo un uomo forzuto, che stavolta non ha mostrato gambe, cuore e testa.
