Una tendenza tipicamente giornalistica ad ispirarsi a criteri di moda per catalogare film e registi pretenderà di mettere "Braveheart" nella stessa categoria di altri film di ambientazione medioevale che negli ultimi anni sono stati prodotti ad Hollywood. E' probabile, in effetti, che la messa in cantiere del film di Mel Gibson sia dovuta al successo di "Robin Hood", con Kevin Costner. Ma noi dobbiamo ispirarci a criteri estetici, e non di pianificazione industriale. E quindi possiamo affermare che "Braveheart" non ha proprio nulla a che fare con "Robin Hood" o "Il primo cavaliere". Quelli sono film d'avventura, che riprendono vecchi miti e li trattano con il linguaggio semi-parodistico e leggero che imperversa dai tempi dei "Predatori...". Questo di Mel Gibson è un vero e proprio film epico. I suoi modelli sono "El Cid", e sopratutto, per la trama e le coreografie delle scene di battaglia, "Spartacus".
Come l'eroe del film di Kubrick, William Wallace detto Braveheart (Mel Gibson) è un uomo fiero ma semplice che, colpito nei suoi affetti pì cari, si ribella ai potenti, e si ritrova a capo di una rivoluzione che non può che assecondare, creando un esercito di disperati, sfidando un potere per definizione imbattibile in una lotta disperata, destinata a fallire sul campo di battaglia ma a trionfare nello spirito.
Non vogliamo entrare nei dettagli del racconto per non togliere al pubblico il piacere della sorpresa e della suspence sul quale il film è interamente costruito. Ci limitiamo a riportare che la storia si ispira ad un personaggio realmente vissuto nel 1300, William Wallace, eroe di una delle tante rivolte scozzesi contro la dominazione inglese, le cui gesta sono diventate leggenda ma la cui vera vita rimane sconosciuta. Grazie a questo vuoto storico, lo sceneggiatore Randall Wallace ha potuto costruire il suo racconto senza curarsi del problema dell'esattezza storica dei fatti, che, come quello della fedeltà al testo letterario in un adattamento, è un falso problema nel cinema: rischia di inibire l'immaginazione e frapporsi tra i meccanismi della stessa logica narrativa. Della sua ricostruzione dei fatti e della vicenda di William Wallace, lo sceneggiatore potrebbe dire quello che John Huston diceva dei suoi film: "non so se i fatti sono accaduti come li ho raccontati, ma li ho raccontati come sarebbero dovuti accadere!".
Affrancata dalle inibizioni della verità storica, la storia di "Bravehart" scorre libera e potente come un monumentale epos, al centro del quale troneggia l'Eroe solitario, il "David" che sfida il potere "Golia" in una lotta impari; egli trae la sua forza da quella che rimane la più forte ed efficace delle motivazioni di un personaggio al cinema: la vendetta.
A questo proposito, il primo atto del film, tutto volto a costruire questa motivazione, è un vero e proprio saggio dell'abilità di Mel Gibson come regista, per come dimostra di aver capito l'arte della manipolazione al cinema: dopo un'impressionante prologo sull'infanzia del protagonista, in cui viene esposta tutta la brutalità e la perfidia del suo futuro antagonista - il re d'Inghilterra Edoardo I - che tuttavia ci viene ancora tenuto nascosto, William Wallace torna a casa da grande, e incontra la donna della sua vita. Segue una sottotrama sentimentale volutamente riposante, in cui lo spettatore si adagia al ritmo lento delle scene d'amore, tutte intrise di un romanticismo bucolico. Una volta ottenuto l'effetto soporifico voluto, Mel Gibson fa irrompere nel racconto la violenza, nel momento in cui il pubblico meno se lo aspetta. Il trauma dello spettatore indignato coincide con quello del protagonista colpito nei suoi affetti, l'identificazione con William Wallace è definitivamente compiuta. E il film può procedere ormai senza intoppi psicologici, scatenando la rabbia repressa dello spettatore nella violenza liberatoria delle magistrali scene di battaglia, senza dubbio le più spettacolari, realistiche e cruente che si siano mai viste al cinema.
Non è la prima volta che un famoso attore ci sorprende nelle vesti di regista, battendo sul proprio terreno esperti artigiani del mestiere. Lo aveva fatto alcuni anni fà Kevin Costner con "Balla coi lupi", oggi è la volta di Mel Gibson con questo suo bellissimo "Braveheart". Essendo la semplicità il principio fondamentale di questo tipo di cinema - semplicità nelle motivazioni dei personaggi, semplicità nella costruzione del racconto, nella messa in scena - la capacità di questi attori di affrontare il cinema epico non dovrebbe stupirci. Solo questi meravigliosi spiriti semplici (ma non ingenui) che sono le star del cinema, sono in grado di indentificarsi con gli eroi da leggenda senza contraddizioni esistenziali, restituendo la dignità dell'evidenza ad un arte in cui la complessità è ormai diventata complicazione.