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Racconti, I nostri racconti

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Acrocanthosaurus94
view post Posted on 5/12/2010, 16:49




Non mi risulta esista già.
E' un topic dove ciscuno può postare i propri racconti non a tema AVP.

Ecco i primi (di paleoarte):



Il giovane Deltadromeus agilis si sente solo e spaesato.
E' alla ricerca della sua famiglia, da cui si è separato a causa di un uragano che due giorni fa ha devastato le coste del Nordafrica.
Il Deltadromeus lo ricorda bene: era riuscito a sfuggire alla sua potenza distruttiva soltanto nascondendosi sotto ad un enorme tronco che protetto chissà perché dalla furia degli elementi aveva resistito, mentre tutt'intorno a lui le raffiche di vento sollevavano anche i possenti Paralititan del peso di 40 tonnellate, per poi scagliarli al suolo e ucciderli.
Ricordava ancora più intensamente il giorno successivo al disastro.
Aveva aperto gli occhi arancioni come piccoli soli per la prima volta dall'inizio del disastro naturale e, voltando qua e là il capo aguzzo, si era guardato intorno.
Una cappa di nebbia color piombo copriva la laguna salmastra nei pressi della quale aveva trovato riparo e oscurava il sole.
Enormi alberi ostruivano il cammino, perciò bisognava o scavalcarli o girare attorno ad essi.
Erano piante di tale mole che mai il Deltadromeus avrebbe osato pensare che potessero essere abbattuti.
Vicino ai tronchi d'albero c'erano masse d'alghe e pezzi di corallo.
Tutt'attorno, poi, vi erano le carcasse degli animali meno fortunati di lui.
Piccoli pterosauri erano adagiati sulla sabbia, il delicato patagio lacerato dalla caduta conseguente le raffiche di vento.
Strane creature, nascosti abitanti degli abissi si erano venuti a trovare all'esterno del loro elemento e dopo aver boccheggiato sulla sabbia, avevano incontrato la fine.
Bizzarri animaletti con sei zampe che correvano di lato uscivano dagli scogli dai quali avevano tratto riparo per nutrirsi del materiale in decomposizione.
Ovunque un odore penetrante di salmastro, di piante recise e di cadaveri.
Della sua famiglia nessuna traccia.
Aveva strepitato e strepitato, chiamando invano gli altri Deltadromeus, ma senza esito.
Probabilmente aveva passato indenne quel giorno solo perché altri e più grandi predatori erano troppo impegnati a nutrirsi delle carcasse per badare a lui.
Oggi finalmente un raggio di sole ha bucato la coltre di nubi, illuminando il "nostro" Corridore del Delta, accucciato sotto un altro tronco per passare la notte.
Il Teropode si è mostrato essere di corporatura slanciata, con un grosso cranio, arti anteriori lunghi e quattro dita per mano di cui tre munite di artigli, quello sul primo dito più grosso, e il quarto atrofizzato e più sottile.
Poi è emerso dalla vegetazione, stiracchiando al sole i suoi 8 metri di lunghezza, dalla punta del muso fornito di creste davanti agli occhi fino a quella della lunga coda per il controbilanciamento.
Il cranio di grandi dimensioni, come detto, è fornito di due paia di creste ossee, uno davanti agli occhi, uno sopra.
Dalla punta dal muso fino alle creste, grigie con i bordi blu, il muso è nero, tracciando fino alla mandibola un disegno simile a quello che sarà il logo della Nike.
Per il resto il cranio è marroncino chiaro, le palpebre sono blu e gli occhi arancione chiaro.
Dalla nuca parte una fila di lunghe spine cornee che terminano in fondo alla coda, ogni spina mostra bande trasversali nere, marrone e bianco.
Il corpo è marrone chiaro, più scuro sulla sommità del dorso, l'addome grigio chiaro.
Le lamelle conee sulle dita sono di un marrone più scuro rispetto a quello del corpo, gli artigli di un nero lucido.
Dalla gola fino alla base del collo scende una giogaia rosso acceso orlata di spine cornee nere
Altre spine cornee, stavolta marroni, ornano la mandibola, il rilievo corneo che delimita l'orbita e i gomiti.
Il Teropode sbadiglia mettendo in mostra un’impressionante chiostra di zanne affilate e poi si volta, pensando a come procurarsi il pasto.
Non si è rassegnato nella ricerca di altri membri della propria specie, ma ci sono altre necessità più urgenti...

Il branco di Nigersaurus pascola tranquillo nella radura.
I grandi animali, ognuno di essi tranne i cuccioli misura 15 metri circa, rumina con il proprio buffo muso le piante della radura.
Ogni tanto un animale alza il lungo collo per sorvegliare i dintorni, poi riprende a mangiare.
Il loro cranio, così diverso da quello degli altri sauropodi da suscitare ilarietà, è la chiave del successo di questi animali.
Quando vuole nutrirsi un Nigersaurus spalanca la larga bocca e chiude sull’obiettivo 600 piccoli denti che recidono efficacemente i vegetali.
Il corpo dei Sauropodi è verde oliva con strature orizzontali più scure, le parti inferiori giallo ocra.
Il nostro Deltadromeus osserva già da tempo i dinosauri dal collo lungo.
Si è spinto lontano dalla costa per evitare alcune grandi sagome che ha visto muoversi all’orizzonte.
Con cranio gigantesco e arti anteriori ridotti.
Carcharodontosaurus saharicus.
Ha già avuto pessime esperienze con questi animali… l’anno prima lo zio, fratello della madre, era tornato al nido con orribili ferite provocate dalle immense fauci di un Carcha, il più grosso predatore della regione, al quale aveva tentato invano di rubare la preda.
Il solo cranio è lungo un metro e 60 centimetri, la lunghezza totale può oltrepassare i 13 metri per un peso di 3-4 tonnellate.
Lo zio era morto quella notte per dissanguamento, è la loro tecnica di caccia, adatta ad aggredire grandi prede come i Titanosauri.
Un Deltadromeus giovane sarebbe facilissimo da uccidere per tali predatori.
Il dinosauro scaccia questi pensieri dalla mente e torna a concentrarsi sui Nigersaurus dalla bocca a spatola, cercando di individuare nel branco un esemplare più debole.
E sì, tra i corpi dei giganteschi sauropodi scorazzavano alcuni animali più piccoli…lunghi circa un metro.
Cuccioli.
Il Deltadromeus si sposta in silenzio dietro le piante, attento a non sollevare il benchè minimo rumore.
Qualche fruscio, sì, ma nulla di allarmante per i giganteschi animali.
Come spesso accade, anche questa volta i cuccioli sono creaturine irruente, e la presenza degli esemplari adulti infonde loro una sensazione di sicurezza che li porta ad abbassare la guardia contro i pericoli del mondo esterno.
I dinosaurini giocano allegramente nella radura, nascondendosi dietro le enormi zampe degli adulti.
Un piccolo Nigersaurus, forse più coraggioso degli altri, si allontana dal branco nascondendosi dietro ad alcune foglie di felce.
Dietro le quali ovviamente c’è qualcuno che lo aspetta.
Il muso aguzzo del Deltadromeus cala e prima che il piccolo possa emettere un gemito gli spezza il collo.
Il Teropode solleva di scatto il capo, guardingo, per prevenire eventuali reazioni aggressive da parte degli adulti.
Che non si sono accorti di nulla e continuano a brucare ignari.
Che animali ottusi.

La lingua rosata e barbata del dinosauro struscia contro le ossa dell’animaletto, cercando di afferrare minuti pezzetti di carne che ancora resistono attaccati alle ossa.
Il Deltadromeus con uno scatto della testa strappa gli ultimi brandelli dalla carcassa del piccolo, ormai completamente scarnificato.
Quindi con una torsione del capo spezza le costole, alzandosi in piedi.
Il poco che resta del corpo sarà a disposizione degli spazzini della foresta.
Il nostro Teropode si volta e, incerto se lasciare la sicurezza della foresta, infine si decide e torna verso la costa, dove ritiene ci siano più possibilità di trovare gli altri.
Il Nordafrica in questo periodo è molto diverso da come sarà fra milioni di anni, e d è composto in gran parte da lagune ed estesi delta fluviali.
A far da contorno alle sponde dei fiumi sono le foreste di mangrovie, che con le loro radici aeree si sono adattate perfettamente a quest’ambiente.
Nelle zone in cui l’acqua si confonde con la terra si è insidiato un notevole ecosistema di spazzini, quali granchi, tartarughe acquatiche e coccodrilli, alcuni di questi enormi animali in grado di affogare i Sauropodi quali il Sarcosuchus imperator lungo più di dieci metri, altri agili predatori terrestri come il Kaprosuchus saharicus, una feroce creatura dotata di zanne affilate e lunghi arti che le permettono di raggiungere una discreta velocità, che misura circa sei metri, e altre forme più piccole ma ugualmente bizzarre.
Una densa nebbia si è alzata sulla costa, impedendo di vedere oltre un paio metri di distanza.
Il giovane deltadromeus comprende dai rumori e dagli odori che si sta muovendo in una laguna, sente lo scrosciare dell’acqua e occasionalmente il terreno sotto i piedi, banchi di sabbia trasportati dalle maree, e con il naso riesce a percepire gli odori del mare, sommati a quelli delle devastazioni: piante recise…carcasse…pesci morti…più un misto di pesce marcio e animali morti, un qualcosa che non riesce ad identificare.
D’improvviso una folata di vento solleva la nebbia e il Deltadromeus impietrisce.
Dinnanzi a lui, al massimo una decina di metri, c’è una creatura orrenda.
E’ un enorme teropode di almeno quindici metri e probabilmente di più.
Il suo muso è lungo, simile a quello di un coccodrillo, con lunghi denti che si incrociano quando la bocca è chiusa.
Subito davanti agli occhi c’è una piccola cresta ossea e sotto la gola una giogaia orlata di spine che cade formando pieghe cutanee.
Il resto del corpo è grande e massiccio, con un collo allungato e una lunga coda.
Gli arti posteriori sono piuttosto corti, quelli anteriori lunghi e possenti, terminanti con enormi artigli curvi, in special modo quello del dito più interno di ciascuna “mano”.
Ma la caratteristica più impressionante del mostro è un’enorme struttura sul dorso, una sorta di gobba o vela, in alcuni punti lacerata a lasciar intravedere la struttura ossea sottostante.
Una fila di lunghe spine cornee parte dalla nuca per orlare tutto il corpo.
La gigantesca creatura poggia il piede su un pesce Sarcopterigio di 4 metri morto.
Il cranio e la vela sono di un rosso scuro che talvolta, spesso sui bordi della stessa, diviene nero, la giogaia sotto il collo sfuma in giallo ocra con il corpo grigio alabastro screziato di nero.
Le creste davanti e sopra gli occhi sono azzurre.
Gli artigli sono marrone chiaro.
Il Deltadromeus non aveva mai visto un animale simile prima d’ora.
Non si fa illusioni: i denti e gli artigli lo indicano quasi certamente come un carnivoro.
Il mostruoso Teropode ruggisce violentemente.
Poi, avanzando, ripete il suo maestoso verso.
Al secondo ruggito il nostro dinosauro capisce che il vela sul dorso sta solo difendendo la preda.
Ben lieto di lasciargliela, corre al riparo.
Il grande Teropode lo osserva ancora per un po’, poi volta la testa e riprende il pasto dove lo aveva interrotto.
E’ un dinosauro che discende da una stirpe di avi europei, creature che chissà perché si erano adattate a vivere sulle coste e lungo i fiumi, cacciando i pesci e nutrendosi talvolta di carcasse.
Forse alla ricerca di cibo, o spinti da malattie, o per qualche altra causa hanno attraversato il mare grazie ad alcune lingue di terra alcuni milioni di anni fa.
Qui hanno trovato un habitat ideale, ma per proteggersi dagli altri carnivori locali, sono aumentati di dimensioni esponenzialmente.
La forma attuale, la più grande della famiglia, misura da adulta circa 16 metri per più o meno 6 tonnellate di peso, e possiede sulla schiena una cresta che la rende ancora più impressionante.
Il suo aspetto spaventoso serve a terrorizzare gli altri Teropodi quando deve appropriarsi del loro cibo, e anche per incutere timore ed evitare di essere attaccati, in quanto, sebbene sia un potente predatore non è molto abile nel combattimento.

Fra una settimana il Deltadromeus riuscirà a ricongiungersi con il proprio nucleo familiare.
Si stabiliranno lì, in quella zona abitata dal pescatore unghiuto.
Al nostro animale capiterà non di rado, durante le cacce, di trovare feci con lo stesso odore acuto e penetrante e sovente marchiature sui tronchi d’albero.
Solo una volta riuscirà ad intravedere di nuovo la creatura, una sagoma sfumata all’orizzonte, confusa nella bruma.
Ma ne sentirà spesso l’impressionante grido squarciare le nebbie della costa.
Il ruggito dello Spinosaurus aegyptiacus



Il secondo...
potevo non postare nulla sul mio teropode favorito?

Hyperpredator

E’ ormai calata la sera e un sole morente mostra i suoi ultimi raggi all’orizzonte, segnando profonde ombre sul terreno.
Quello che sarà un giorno lo Utah è una vasta piana intervallata da boschi, con occasionali laghetti e ampi delta fluviali.
Numerosi dinosauri popolano questo ecosistema.
Piccolo e grandi.
Erbivori e carnivori.
Una folata di vento attraversa la pianura, subito aspirata e analizzata da due enormi narici.
Una femmina di Tenontosaurus tilleti da una tonnellata mastica rumorosamente le gustose foglie di una bassa cicadacea.
Con le forti mascelle a becco recide le foglie coriacee, simili a quelle di una palma e con i bordi seghettati taglia senza sforzo il tessuto legnoso della pianta.
La sua lingua appallottola automaticamente i pezzi di foglie recisi e li impasta con la saliva.
Lentamente e con metodo trasferisce il cibo appallottolato nella zona deputata alla masticazione, la cavità orale situata tra due grosse file di molari ricoperti di smalto.
Un giorno questo sistema di masticazione verrà perfezionato dalle più perfette macchine per mangiare mai esistite: gli Adrosauri.
Il rumore della masticazione, proveniente dal profondo della bocca dell’iguanodontide, somiglia a quello di un gigantesco macinino per il caffè.
I possenti molari superiori ed inferiori si incontrano due volte al secondo.
Due volte al secondo le punte frastagliate e ricoperte di smalto di cento denti fortemente ravvicinati scivolano l’una sull’altra, stringendo il boccone e facendolo a pezzi.
Due volte al minuto la sua lingua appallottola la massa di cibo vegetale spingendola in fondo alla bocca.
Una volta al minuto si vede un rigonfiamento in corrispondenza della gola.
Il boccone scorre lentamente verso il corpo della creatura.
Fra i vegetariani del cretaceo inferiore gli Iguanodontidae sono quelli che posseggono il più sofisticato sistema di trasformazione del cibo, in grado di convertire le dure foglie delle cidadacee in una polpa facilmente digeribile.
Questa specializzazione, unita alla comparsa delle nuove piante con i fiori, sta mettendo in crisi i giganteschi Sauropodi, che cominciano a declinare, spinti dalla pressione evolutiva di nuove specie.
Tuttavia il nostro esemplare è all’erta.
La sua livrea, screziata di verde e marrone, la aiuta a mimetizzarsi, fondendosi quasi perfettamente con le ombre della sera.
Frequentemente alza la testa dal suo pasto per controllare la posizione del branco, a mezzo chilometro di distanza.
Dal cielo alcuni dattili lanciano alte strida, simili a quelle dei gabbiani.
In lontananza si odono i richiami sociali degli Astrodon e dei Sauroposeidon.
La femmina si innalza sulle zampe posteriori per inalare l’aria che spira dal bosco fino alla piana dove è riunito il suo branco.
Niente di preoccupante da quella direzione.
Ma sa che i pericoli maggiori vengono dal folto della foresta…

Nascosta dietro il tronco di una conifera, una femmina di Deinonychus antirropus tiene d’occhio il Tenontosaurus.
Gli occhi gialli dalla grande iride nera seguono con attenzione i movimenti dell’animale.
L’iride, rotonda e nera, non si acquieta un istante.
Con 30 chili di peso è un esemplare di taglia media, per la sua razza.
Si sposta leggermente di lato, controllando la posizione dei suoi simili che, silenziosamente, hanno circondato la radura dove si sta nutrendo l’erbivoro.
Contrae e poi rilassa i muscoli delle zampe posteriori, preparandosi a scattare.
Il corpo snello è tenuto in equilibrio dalla lunga coda.
Il manto piumato freme al movimento.
Grazie alla grossa taglia, il manto di piume che copriva i suoi antenati si è via via diradato. Ora il corpo del raptor è piumato sulla nuca, sulle spalle e sugli arti anteriori.
La gerarchia è stabilita grazie alle dimensioni e al colore dei ciuffi di penne e il capobranco, il compagno della femmina, ne ha uno di molto grosso e colorato.
Anche sulla coda vi sono penne colorate, che possono essere usate sì per mettersi in mostra, ma i raptor le utilizzano solitamente come stabilizzatori nella corsa.
Questa specie infatti raggiunge velocità elevate e un buon equilibrio è essenziale.
La pelle scoperta dalle piume è beige sporco con strisce grigie, azzurra intorno agli occhi.
Le zampe anteriori e posteriori culminano con dei lunghi artigli di cheratina nera.
Il sickle claw ticchetta nervosamente al suolo, attutito dalla copertura di foglie secche.

La brama di uccidere aumenta e ad ogni istante che passa vorrebbe balzare addosso alla preda, ma l’istinto le dice di trattenersi.
Non manderà in fumo una caccia solo per questo.
Ultimamente per il branco sono stati tempi duri.
Intanto il vento cambia pigramente direzione.
Il Tenontosaurus interrompe bruscamente la nutrizione e si guarda intorno, spaventato.
L’erbivoro emette il verso d’allarme.
Il branco, nella pianura, risponde e comincia a spostarsi.
I raptor capiscono di dover attaccare ora.
Come dei missili impazziti, circa cinque o sei Deinonychus, ma è difficile stimarne il numero a causa della velocità, si proiettano fuori dalla radura, verso l’erbivoro.
Il Tenontosaurus si rizza immediatamente sulle zampe posteriori e comincia a correre con i raptor alle spalle.
I dinosauri hanno ormai percorso un centinaio di metri e il vegetariano comincia a sperare di farcela, quando una sagoma sfocata emerge dagli alberi, colpendolo a grande velocità.
Il maschio di Deinonychus ruggisce sonoramente.
La femmina di Iguanodontide, accasciata sulla schiena a mostrare il ventre pallido, agita convulsamente le zampe nel tentativo di rimettersi in piedi.
Il sangue scorre copiosamente dalle ferite.
Uno alla volta i raptor le balzano addosso, cercando, nella mischia, di colpire un punto vitale e di evitare i calci disperati della preda, per nulla intenzionata ad arrendersi.
I barriti dell’erbivoro, molto acuti, sono estremamente fastidiosi.
Finalmente il vegetariano smette di dimenarsi.
Quando il polverone si dirada i teropodi vedono che ha la gola squarciata.
Un colpo di fortuna, probabilmente.
Il terreno attorno è stato trasformato in una fanghiglia sanguinolenta che risucchia i piedi.
I Deinonychus, stremati, si salutano con complessi vocalizzi, ma quando è il turno del capobranco si ode solo un gemito.
Il maschio di raptor ha la zampa anteriore sinistra spezzata.
Probabilmente sopravvivrà, perché il branco ucciderà abbastanza prede da sfamarlo, ma non dominerà più il clan.
Alcuni dinosauri si avvicinano al Deinonychus per controllare la ferita, ma per la maggio parte i raptor sono troppo stanchi per preoccuparsi, così si acciambellano intorno alla preda, per proteggerla dagli spazzini della notte e si addormentano.
La caccia è stata molto faticosa.

La mattina seguente la femmina si sveglia e sbatte un paio di volte gli occhi, confusa e accecata dal sole.
Non riconosce il nido e le ci vuole qualche attimo per ricordarsi della notte precedente.
Annusa prudentemente l’aria intorno a sé ma non riconosce alcun segnale di pericolo.
Paziente attende che anche gli altri componenti del branco si siano destati e intanto inganna l’attesa facendo un bagno di polvere con il terreno finissimo, ideale per eliminare i parassiti.
Lentamente anche gli altri raptor si svegliano e cominciano subito a lisciarsi il piumaggio e a scuotere le penne, nervosi.
Hanno scelto come giaciglio un covo di animaletti irritanti.
La femmina si avvicina al maschio ferito, sbadiglia e comincia a ripulirgli le piume.
L’altro raptor la guarda e chiude gli occhi, godendosi il trattamento.
Una volta finite le pulizie i dinosauri ripetono il rituale di saluto, ondeggiando ripetutamente il capo e aprendo e chiudendo gli arti anteriori.
Uno alla volta i dinosauri si scambiano i saluti.
E’ un modo per sentirsi parte del branco.
Poi si concentrano sulla preda, o almeno lo farebbero senza i fastidiosi dattili che si sono autoinvitati al banchetto.
Un Deinonychus spicca un balzo verticale di più di tre metri e serra varie volte le fauci, in rapida successione.
Gli pterosauri comprendono il messaggio e lanciando strida deluse si allontanano, andando a posarsi su un albero poco distante, dove attenderanno la fine del banchetto.
Finalmente i raptor possono nutrirsi in pace.
Squittendo per il piacere cominciano ad ingozzarsi della carne dell’erbivoro e nel giro di poco tempo sono completamente coperti di sangue.
Se il clan avesse dei piccoli si sarebbero fatti da parte per lasciarli nutrirsi, ma l’ultimo dei cuccioli è morto la settimana precedente per mancanza di cibo.
E’ stato un grande lutto per il clan.
I dinosauri mangiano avidamente, ma la preda è grande e, sebbene ci mettano tutto il loro impegno, quando finalmente si saziano, c’è ancora molta carne attaccata alle ossa.
Il maschio ferito si allontana dietro ad un grosso masso, dove vi è una sorgente, per dissetarsi.
Scompare lentamente dietro alla roccia, guardandosi intorno.
Istantaneamente si ode uno stridio acuto, seguito da un rumore terrificante…
Ossa che si rompono, sangue che schizza, giunture che si slogano…
Il Deinonychus riappare, a 4 metri dal terreno.
Nella bocca di un essere terrificante.
Lungo più di 12 metri, per un peso di 3,5 tonnellate, è di corporatura possente, le squame color sabbia con strisce di una tinta simile al sangue secco, che partono dalla sommità della schiena fino ai fianchi.
L’addome è chiaro, grigio sbiadito.
Le zampe anteriori sono corte e muscolose, con tre dita artigliate, le posteriori lunghe e possenti.
Una bassa gobba percorre il dorso, sormontata da lunghe spine cornee.
Sul cranio sono disegnati larghi anelli irregolari azzurri dal contorno più scuro che circondano l’orbita, la finestra anteorbitale e quella postorbitale.
Gli occhi verdi brillano crudeli sotto due protuberanze ossee.
Il gigantesco predatore lascia cadere a terra la sua vittima.
Pesta la sua enorme zampa posteriore sul suolo e ruggisce contro i Deinonychus, che si danno ad una fuga precipitosa, abbandonando la preda.
Poi raccoglie con le fauci la caccia dei piccoli predatori, il frutto della fatica dei raptor e si allontana, facendo udire ancora il suo ruggito.
Nel nordamerica di 120 milioni di anni fa c’era un re: l’Acrocanthosaurus atokensis…

 
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Sìlfae
view post Posted on 5/12/2010, 19:05




Il finale è abbastanza ridondante, ma il resto del contesto è reso abbastanza bene.
Come suggerimento ti direi che di solito giova dare un nome proprio al protagonista (come in Raptor Red), anche se naturalmente il dinosauro non lo conosce né si riferisce a se stesso come tale, aiuta il lettore ad immedesimarsi e fa spiccare il personaggio dal resto della specie.
 
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Acrocanthosaurus94
view post Posted on 10/12/2010, 17:20




Ah... l'ho fatto per racconti più lunghi, ma in quelli brevi non l'ho mai ritenuto necessario.
Ah... Raptor Red ti è piaciuto?
 
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Sìlfae
view post Posted on 11/12/2010, 07:56




Carino, avrei preferito leggermente meno umanizzazioni, ma suppongo a quel punto non avrebbe attratto allo stesso modo.
 
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Acrocanthosaurus94
view post Posted on 12/12/2010, 09:51




E' proprio l'effetto umanizzazioni che volevo evitare.
 
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Sìlfae
view post Posted on 12/12/2010, 13:35




Sì, infatti da quel punto di vista questi racconti vanno bene; si tratta più di simpatia e immedesimazione, a volte si danno nomi anche agli animali dei documentari, non significa siano umanizzati.
 
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Acrocanthosaurus94
view post Posted on 9/1/2011, 10:29




IL CANTO DEL DIAVOLO

Prologo
“Quest’opera di straordinario valore, risalente al medioevo, è stata battuta oggi all’asta e acquistata per trecentoventimila dollari dal noto miliardario americano, Carl Russeau, stimato filantropo e collezionista di opere d’arte antiche.
Suoi sono stati i finanziamenti per il sostegno dei territori colpiti dall’uragano, il mese scorso.
L’opera sarà donata al Museo d’arte di Lampea, dove si suppone resterà in esposizione.
E ora possiamo passare alle notizie economiche: la Borsa di Wall Street è…”
Una mano si protese, allungò un telecomando, e spense la televisione.
L’altra portò un aperitivo analcolico alle labbra dell’uomo seduto sul divano di velluto.
La misteriosa figura sorrise.
Molto interessante…

Capitolo Uno: BENEFICIENZA
“Così lei ha deciso di regalare l’opera che ha acquistato, al Museo d’Arte che ha fatto costruire a Lampea, sua città natale, praticamente un regalo per gli abitanti?”
“Sì proprio così.”
“Beh, il suo gesto avrà di sicuro un’influenza sulla sua popolarità, ne è al corrente?”
“Certo, ma, mi creda, non è per questo che lo faccio.”
“La ringrazio per l’intervista, signor Russeau…”
Il miliardario sospirò stancamente.
Si trovava nella saletta privata del suo museo, o meglio del Museo d’Arte di Lampea.
Fra le condizioni di finanziamento c’era stata solo quella clausola, il poter disporre di un ambiente per una sorta di club di amanti di arte antica, di cui faceva parte, con annessa caffetteria.
Non sapeva da quanto la televisione trasmettesse quel video; erano passati tre giorni dalla donazione e ancora trovava gente per strada che lo fermava per stringergli la mano e congratularsi con lui…
Cristo, non era successo nemmeno dopo gli stanziamenti per l’uragano, non era che avesse fatto chissà che…
Allungò una mano per prendere il bicchiere quando una voce lo fermò: “Mi scusi!”
Guardò l’interlocutore: una persona distinta, sottile, vestita con uno smoking, una rosa rossa all’occhiello.
“Penso che il cameriere abbia fatto un errore, e abbia dato a me il suo vino bianco, e a lei il mio ginger.”
Il miliardario abbassò gli occhi: in effetti nel bicchiere vi era un liquido rosso e frizzante.
Con una smorfia quasi impercettibile lo tese all’uomo, che gli restituì il suo.
“E’ socio di questa associazione?” chiese, non perché gli interessasse davvero saperlo, ma più che altro perché si stava annoiando a morte.
“Io? Oh, no, sono qui su invito di uno dei soci.
Ho scritto un testo, un thriller storico su un furto di quadri medievali, che ha avuto un discreto successo.
Sono uno scrittore.
Lei è Carl Russeau, no?”
Di nuovo.
Sospirò.
“Sì…”
Suonò un cercapersone.
“Oh, la prego di scusarmi…”
Mentre l’uomo si alzava al miliardario venne in mente che non gli aveva ancora chiesto il suo nome.
Gli pose la mano.
“E lei chi è?”
“Uno scrittore, come le ho detto.”
Sembrava divertito.
“Mi chiamo Rose.
Hunter Rose.”

Non so se mai andrò avanti... la seconda parte è ispirata ovviamente a batman/grendel.
 
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Acrocanthosaurus94
view post Posted on 23/1/2011, 10:14




Nuovo racconto. E' il primo che scrivo non di fantascienza o paleoarte.
La protagonista è Dubhe di Le Guerre del Mondo Emerso (la stessa del mio avatar e della ma firma.); il racconto si svolge alla fine de Un Nuovo Regno, rappresenta il delirio di Dubhe in mano alla Bestia: all'iniio volevo usare solo frasi della Troisi, poi mi sono reso conto che era impossibile. Le parti in corsivo, invece, sono citazioni integrali dagli Halo, il Gravemind.
Inomma, se conoscete il libro commentate e capirete perchè ho scelto l frasi:

In Fera Veritas

Un colpo allo sterno.
Nonostante la pozione, la Bestia era lì e lei lo sapeva.
Non mi spaventa un pugno, pensò.
Mi spaventa come tu ci sia riuscita.

Ora io parlerò e sarete voi ad ascoltare…


L’immagine di Theenar, quel Dio Nero, quel Dio odiato, le riempì la mente…

Bugie per gli illusi! Chimere per gli sconfitti!


Dubhe estrasse l’ampolla dalla bisaccia.
Si versò in gola tutto il suo contenuto, quasi con rabbia.

Credevate forse d’avermi battuto?


Era amaro, e le colò in parte lungo il mento, e giù fino al seno.
Un calore intenso le pervase tutto il corpo.
Poi, il bianco invase tutto.

Tu ed io. Siamo una cosa sola…



Orrore per ciò che le stava accadendo, orrore per la sua pazzia. Ma anche gioia, una gioia che non era sua.

Due cadaveri nella stessa tomba…


Dubhe urlò, ma non aveva bocca. La sua disperazione non trovava sfogo alcuno, e non aveva fine, lo sapeva.

Sottomettiti…


Solo la morte, troppo distante ancora, poteva far cessare quel tormento.

Poni fine alla mia e alla sua sofferenza…


E infine capì.

Non abbiate paura…


La Bestia era sempre stata dentro di lei…

Io sono la salvezza, io sono la pace…


Era il suo lato oscuro, spogliato delle scuse in cui si ammantava quando si muoveva fra gli altri esseri umani

Tu diventerai cibo, niente di più…


Restava solo lei. La sua anima nera, la vera Dubhe…

Io sono un coro fuori dal tempo;



Mentre scivolava sempre più in fretta nella follia, il suo ultimo pensiero fu per Learco.

Unite la vostra voce alla mia nel canto della vittoria eterna…


Urlò.

Io non offro perdono…


E questa volta il suono le uscì dalla gola, frammisto al ruggito della Bestia…


Ora la porta è stata aperta, e gli ostacoli sono stati rimossi, i cadaveri cedono il passo, accettate il destino…



Perché un’altra voce, una voce che ben conosceva, si era insinuata in quell’ultimo lampo di consapevolezza.

Io sono un monumento a tutti vostri peccati…




Una voce riaffiorava da quell’abisso di dolore…

Ora capisco…


Una voce che la chiamava, mani che la stringevano…

Sei venuto per lei...



Non ce la faceva! Ma doveva… doveva…

Ma di lei non rimane nulla…


Learco…
Dubhe lo riconobbe dopo qualche istante, e gli occhi le si riempirono di lacrime. Si tirò su con difficoltà, gli strinse le braccia attorno alle spalle con disperazione, come aveva fatto nella soffitta del palazzo.
“Siamo morti?” chiese.
“No, grazie a te.”
Non voglio perderti mai più!” disse lei, singhiozzando come una bambina. “Io senza di te non esisto.”
Learco la strinse tra le sue braccia. “Non accadrà.” Le sussurrò all’orecchio.

Questa non è la tua tomba, ma ti do ugualmente il benvenuto…




Il giorno della sua incoronazione.
Il discorso del suo sposo le giungeva ovattato, distante.
Troppi pensieri solcavano la sua mente tormentata.
La Bestia aveva fosse atteso quel giorno per uscire, per finire la sua opera, per ucciderla davanti a tutti?

Creatura arrogante, le vostre morti saranno istantanee mentre noi soffriremo all'infinito…


Udì il boato della folla.
Dubhe dimenticò l’etichetta, lasciò la mano di Learco e gli cinse i fianchi con un braccio, stringendosi a lui.
Quanto sarebbe durata?
Nessuno poteva saperlo.
Ora quella gente guardava Learco con occhi adoranti, domani forse avrebbe di nuovo sentito l’oscuro richiamo della guerra.
Del resto anche lei continuava a sognare la bestia.
Ma c’era una certezza.
Avrebbe lottato.
Non avrebbe permesso che il sogno di un mondo giusto venisse soffocato dalla sete di sangue.
Sentì Learco stringerle le spalle in un abbraccio, e allora seppe che ce l’avrebbero fatta.
Non sarebbero bastati mille ostacoli a fermarli.
Era pronta a diventare regina…

Il silenzio riempie la tomba vuota, ora che sono morto…



No, per gli dei, no! Per Shevrar, no! Per favore, NO!

Ma i miei pensieri non riposano…


Learco guardò gli abissi scuri che erano gli occhi della ragazza, commosso.

Perché molte domande sono ancora senza risposta…


Ma, Dubhe lo sapeva, fraintese il perché erano lucidi e pieni di lacrime.

Io le porrò e tu risponderai.



…lo sai che il cielo è sempre stato vuoto, per me…

 
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view post Posted on 26/2/2014, 20:59
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FAVORITO DELLA RAZZA

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Il pomodorino
by
Lt. Ripley





C’era una volta, in un orto inondato dal sole, un pomodorino. Aveva già la sua bella pelle rossa lucente, però non era un pomodorino felice. Era il più piccolo in tutto l’orto, venendo ignorato dai suoi simili e dileggiato dalle altre specie vegetali, le quali lo prendevano in giro accusandolo di volersi spacciare per qualcosa che non era: un frutto che si faceva considerare una verdura. Il pomodorino non raccoglieva, di solito, le provocazioni e le offese, però il suo nucleo di semini ne soffriva terribilmente. I più maligni, per avvelenargli l’esistenza, lo terrorizzavano prospettandogli un futuro quale schizzo di ketchup nell’hamburger, venduto a 0,99 euro, di un MacDonald’s. Piuttosto, avrebbe preferito finire in una lattina di Chappi…
Capiamoci: il pomodorino aveva tentato di inserirsi nell’ambiente dell’orto ed aveva avvicinato con discrezione le rape, ad esempio, le quali non erano antipatiche, però un tantino dure di comprendonio sì. Le cipolle, poi, erano improponibili: non ci si poteva avvicinar loro poiché erano troppo melodrammatiche, ed ogni volta che si cadeva nel tranello di fermarsi a far quattro chiacchiere, che tu lo volessi o meno, finivi col ritrovarti le lacrime agli occhi. Il pomodorino aveva anche tentato di allacciare una qualche amicizia con l’uva, la quale era indubbiamente una buontempona… anche troppo, forse: era perennemente alticcia e non esitava a far sbronzare il suo malcapitato interlocutore. Sui meloni non era saggio contare, visto che erano le maggiorate dell’orto, soggette ad attenzioni particolari provenienti da ognidove. Tipi dal temperamento gaio erano indubbiamente i finocchi, però se la tiravano un po’ troppo da “alternativi”, ed avevano fatto una comunella tutta speciale. Non lontano da dov’era ubicato il pomodorino si trovava anche un melo, però le sue ospiti s’erano rivelate delle spocchiose presuntuose poiché, da quando una loro antenata aveva perso l’equilibrio e, per puro caso, s’era sfraccellata sul capoccione di Isacco Newton in pieno abbiocco, favorendo la scoperta della teoria della gravità, ecco che tutte le mele erano diventate frutti scientifici.
Alla fine, il pomodorino si arrese e non cercò più di fare amicizia con qualcuno dell’orto. Ma venne ricompensato per la sua pazienza e sopportazione: di lì a poco, sarebbe stato trasformato nella merenda, una bruschetta, di un bimbo che sapeva ancora apprezzare le cose genuine.
 
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view post Posted on 17/10/2017, 14:49
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DITA CONSUMATE

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La prima notte di George
Un particolare omaggio a George A. Romero


Scritto quest'estate.

Tutto era stato predisposto, ordinato secondo la sua volontà. Erano in cinque a lavorare su quella scena. Quattro erano i morti, una la vittima da uccidere e divorare.
La stanza era illuminata ad arte, il tecnico delle luci faceva faville come sempre. Il momento della morte del co-protagonista sarebbe stata la scena clou, un'intensa emozionante scena di morte.
George se ne stava in piedi, a dir la verità un po' nervoso, temeva che ci sarebbero voluti un paio di ciak in più per rendere al meglio il dramma di quella scena topica.
Le comparse se ne stavano in ginocchio sul corpo dell'attore che doveva essere “ucciso”, leccandosi dalle labbra il sangue finto.
“Che saporaccio!” si lamentava una ragazza con occhi rossi come l'inferno.
Belle lenti a contatto, pensò il regista. Ma non fanno recitare meglio. Questi zombie li dovrò licenziare.
“Insomma, Katarina, vuoi fare il tuo lavoro? Non puoi strappare a morsi il braccio destro di David, come han già fatto Ruth e Bobby? Ti fa tanto schifo?” prese a dire George, quasi con voce alterata. Si grattò la testa, si scosse la polvere del set dalla camicia a quadretti rossi e blu.
“Ok, scusate, beh, vengo qui da Pittsburgh e vorrei un pochino più di attenzione per il lavoro che fate. Costate un occhio della testa a questa produzione scalcinata...”
Ruth rise come pazza, sfilandosi improvvisamente qualcosa dalla faccia con le mani decomposte.
“Ma no, accidenti....quella è la scena dopo...stai ferma con le mani...”
Che comparse sbadate. Ruth si era appena dimenticata che la scena dopo interessava proprio il suo occhio finto, che il protagonista avrebbe dovuto strappare via apparendo dal nulla per sorprendere positivamente gli spettatori ansiosi di vedere carne di zombie fatta a pezzettoni.
“Scusa tanto George, lo so che per te è un impegno venire qui a L.A e farti il culo per noi viziati attori di Hollywood...”
“Allora dillo che lo fai apposta!” scattò il regista, alzandosi di scatto dalla sedia. Si erse in tutta la sua altezza, fissando le comparse con aria non troppo severa. Difatti poco dopo prese a ridere, seguito da cast e troupe.
Si lisciò la barba e dette l'ok ad un uomo poco lontano da lui.
Le comparse ricevettero un bel gavettone di sangue. Sangue da cinema, ma sempre e comunque sangue di un bel rosso vivo e...disgustoso.
“Più splatter e meno recitazione, del resto dalle comparse non si può pretendere sempre il massimo!” disse George, ridacchiando mentre sentiva gli zombie lagnarsi.
Per sua fortuna , nel giro di un paio di ciak, andò tutto a suo favore. La sua intuizione era stata giusta: con il geyser li aveva fatti arrabbiare, li aveva resi più convinti e aggressivi nell'uccidere il personaggio di David.
Così Katarina si era prodigata nel finire di spezzettare le braccia della vittima, mentre Ruth e gli altri ingurgitavano con voracità le salsicce che estraevano violentemente con le mani dalla sua pancia finta.
Ulteriori spruzzate di sangue sui corpi di chi banchettava e di chi moriva, poi George si costrinse a battere il cinque con tutti.
La bionda Ruth era stata la più cattiva, pareva esser rimasta nel personaggio poiché si stava accarezzando in modo inquietante la faccia tutta insanguinata.
“Ok, Ruth...ora è finita! Dai!” le disse George mettendole una mano sulla schiena.
“Qui abbiamo finito, vedremo domani come recuperare quel poco di occhio che hai fatto rimanere da David...”
“Scusa, George-disse lei, sorridendo dolcemente- sono sicura che il nostro fenomenale truccatore rimedierà e Frank l'eroe mi farà comunque scoppiare la testa con tanto di fuoriuscita di occhi...”
Appena tutti uscirono dalla casa, l'atmosfera di macabra gioia per l'horror subì un brusco stop, tutto cambiò in qualcosa di molto serio.
Nel buio della notte che reclamava il proprio spazio nel mondo, fantomatiche silhouette di roulotte e camion apparvero in strada avvicinandosi.
George e tutta la troupe erano già tutti fuori a sgranchirsi le gambe quando uno dei camion si fermò. Ne uscì una donna vestita di nero, piuttosto accigliata.
Il cineasta si ritrovò preso di mira dalla luce di una torcia, la sconosciuta guardò lui e tutti gli altri con estrema attenzione. Non pareva agitata, bensì un bel po' minacciosa.
George si affrettò nel cercar di aprir bocca ma lei lo interruppe senza garbo: “Non dovreste essere qui! Vi pare il momento di fare una cazzo di gita?”
“Beh, insomma, i nostri permessi, signora...sono regolari...stiamo girando un film se non lo sa!”
La donna replicò, con gli occhi in fuori: “Non dovete stare qui! Non vi rendete conto di cosa sta succedendo? A fatica siamo riusciti a tornare nel nostro rifugio stamani! Mio padre è morto stasera!”
Cosa diavolo sta succedendo?, si chiese George.
“E quel sangue...che cazzo è? Ne siete pieni!” esclamò la donna, estraendo un fucile dalle pieghe del suo lungo cappotto scuro. Un Remington calibro 12, per la precisione.
George mantenne la calma, fra la troupe e gli attori c'era invece chi si stava già agitando per quella pessima situazione.
“Signora, è un maledetto film, nulla di più! Vuole spiegarmi...?”
“Cazzo, state zitti e ascoltatemi. Io e la mia gente stiamo cercando un nuovo posto dove stare, se lei non pensa che la famiglia sia importante e che sia meglio star qui a girovagare per case a fare puttanate beh...io non glielo permetto. Ci faccia strada, ci sono case dove stava girando la sua cazzata?”
George si infervorò: “Signora, non ci ha detto nemmeno come si chiama e pretende di darci dei cazzo di ordini! Chi si crede di essere?”
“Non mi credo di essere ma sono Steph Carver e vi garantisco che se non ci farete strada verso quelle case di merda vi farò fuori con il fucile di mio padre!”
Nessuna replica né dalla troupe del cineasta né dalla scalcinata truppa della donna.
“Ok!- disse George, sbuffando non poco- andiamo! Poi mi dovrà spiegare!”

La spiegazione fu semplice e molto visiva, fin troppo.
Tre uomini e quattro donne, tutti più o meno giovani, si erano asserragliati vicino alla porta, come se stessero cercando qualcosa. Quando il gran gruppo di uomini capitanati un po' da Steph e un po' da George si unirono per entrare furono interrotti da una visione sconvolgente.
Quando i sette strani figuri con le vesti lacere si voltarono verso di loro, George capì che non poteva esserci nessun truccatore per simulare tale orrore.
Le facce di quelle persone erano devastate, mezze strappate, come del resto quasi ogni parte del loro corpo.
Una ragazza in bikini aveva i pochi indumenti ridotti in stracci inzuppati di rosso, la pelle nuda era scavata come da morsi.
Un vecchio aveva la testa aperta quasi a metà, quando cominciò ad avanzare si potè vedere il cervello colargli pian piano da un'orrenda vasta ferita.
Una coppia di sposini si era già scambiata notevoli amorose effusioni: il ventre di lui era squarciato e le budella fuoriuscivano via via come grossi serpenti. Lei teneva in mano il braccio che doveva avergli strappato poco prima e di tanto in tanto lo mordicchiava con gusto.
George trattenne il respiro per secondi che sembrarono ore agli occhi della troupe, mentre Steph agì. Premette il grilletto, senza emettere un fiato.
Le teste esplosero quasi in simultanea, quando Steph ordinò ad un certo Braddock di far fuoco a volontà.
Litri di sangue schizzarono su tutta la troupe di George, stavolta sangue vero!
Il cranio della ragazza in topless finì sbriciolato sulla faccia di Ruth, spalmato come burro di arachidi su un pezzo di pane.
La ragazza farà strada, ha già dei cazzo di soldati ai suoi ordini!, pensò sconvolto George, sputando un pezzo di carne.
A forza di farli vedere nei film, sono arrivati davvero... i morti viventi!
“Cazzo, gente, mi dispiace!” gridò Steph, vedendo le facce dell'intera troupe, i loro vestiti. Erano completamente coperti di sangue e pezzi di cervello.
“Tu sei pazza!” brontolò George, quasi piangendo.
“Ehi, ehi, amico, piantala. Questa è la realtà, adesso e dovete affrontarla! Come la sto affrontando io. Siccome non sono stronza come pensate, state per ricevere una bella fornitura di armi dai miei uomini! E George, ricorda, se vedi tua moglie che cerca di abbracciarti con troppo vigore...beh, lo sai meglio di me!”
Barbara, tesoro, sto arrivando!, pensò lui, annuendo.
 
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9 replies since 5/12/2010, 16:49   1433 views
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