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La maledizione di Dubhe, Le Guerre del Mondo Emerso

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Aesìr
view post Posted on 15/7/2012, 13:58




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Mi hai negata a lungo, schiacciandomi tra cuore e diaframma. Ho dovuto respirare l'aria mefitica dei luoghi oscuri in cui mi hai confinato, ma io ci sono sempre stata. Ero il tuo piacere quando hai ucciso Gornar; ero la tua follia quando ti sei vendicata. Ora sono tornata, e non potrai più incatenarmi. Sono la tua essenza più profonda, il volto vero delle cose spogliato delle scuse di cui ti ammanti quando ti muovi tra gli altri esseri umani. Resto solo io. La tua anima nera, la vera Dubhe.

Dubhe ha diciassette anni, ed è una ladra. Ma il suo passato è molto più complesso.
Da bambina, abitava in un villaggio della Terra del Sole chiamato Selva. Quando aveva otto anni, per errore uccise un suo compagno di giochi, Gornar.

Cadono sul bordo del torrente, si dibattono sul greto, tra le pietre che li feriscono. Gornar mette la testa di Dubhe sott'acqua. La ragazza improvvisamente ha paura. Fuori e dentro l'acqua, fuori e dentro, con l'aria che le manca, e la mano di Gornar che stringe con forza i suoi capelli, i suoi bei capelli, il suo vanto.
Con un ultimo tentativo disperato, riesce a girarsi, e adesso è Gornar a essere sotto di lei. Dubhe lo fa d'istinto. Tira su la testa del ragazzino di poco, la sbatte a terra. Basta quel colpo. Immediatamente le dita di Gornar scivolano via dai suoi capelli. Il corpo si irrigidisce un attimo, poi diventa come molle.
Dubhe si sente improvvisamente libera, e non capisce. Si ferma, a cavalcioni del ragazzino.
«O dei…» mormora Pat.
Sangue. Un rivolo di sangue colora l'acqua del torrente.
Dubhe è paralizzata.
«Gornar…» prova a chiamare. «Gornar…» più forte, ma non riceve nes-suna risposta.
È Renni a tirarla via da lì e a buttarla sull'erba. Sams prende Gornar e lo porta fuori dall'acqua, a riva. Lo scuote, lo chiama con insistenza sempre maggiore. Nessuna risposta. Un pianto, quello di Pat.
Dubhe guarda Gornar, e quel che vede le si imprime per sempre nella mente. Occhi spalancati. Le pupille fisse e piccole. Occhi senza sguardo, che però lo stesso la osservano. E la accusano.
«L'hai ammazzato» grida Renni. «L'hai ammazzato!»
(Citazione: La Setta degli Assassini)


Venne condannata all'esilio, e mentre vagava in direzione della Terra del Mare, si imbattè in un Cavaliere dei Draghi la cui figlia era morta di malattia. Dubhe aveva pressapoco la sua età, e l'uomo decise di portarla con sé all'accampamento. Ma il Mondo Emerso era scosso dalla guerra fra Dohor, despota della Terra del Sole, e l'Alleanza delle Acque (comprendente la Terra del Mare e dell'Acqua). L'accampamento venne attaccato e distrutto. Quando la ragazza – che durante l'assalto si era nascosta – tornò in cerca di cibo, venne aggredita da uno dei soldati di Dohor, ma un misterioso uomo incappucciato la salvò. Dubhe decise che con lui sarebbe stata al sicuro. Iniziò a seguirlo, fino a scoprire che quell'uomo era un assassino. Durante uno dei suoi lavori alcuni clienti (dei soldati) decisero di eliminarlo. Dubhe lo avvertì, consentandogli di salvarsi, ma venne ferita. Per riconoscenza l'uomo la prese con sé, dicendole che le avrebbe permesso di stare al suo fianco finchè le ferite non si fossero rimarginate. Ma al termine di quel periodo Dubhe lo supplica di farne la sua allieva:

«Tu hai detto che un assassino non ha amici. Io non sono tua amica e mai lo sarò, e so anche di non poter essere tua alleata, piccola come sono. E allora sarò tua allieva.»
L'uomo scuote la testa.
«Non voglio insegnare a nessuno.»
«Io invece voglio imparare. Il giorno in cui ti ho parlato per la prima volta mi hai raccontato la storia dei bambini che ammazzano. Io ti ho chiesto se ci credevi, e mi hai detto di non credere a niente. Io invece ci credo. E voglio che mi insegni a diventare un assassino.»
L'uomo si siede, scopre il volto, e lei quasi si spaventa. È pallido. Ap-poggia la fronte al tavolo. Non ha nulla dell'uomo forte e sicuro che Dubhe ha imparato a conoscere. Alza la testa, e le pianta in viso occhi velati di profonda tristezza, e la bambina quasi si pente di quanto ha detto.
«Non ti lascio qui perché non ti voglio, ti lascio per evitarti una strada terribile. Perché non riesci a capirlo?»
Dubhe si avvicina, per la prima volta da quando lo conosce, lo tocca. Gli mette una mano sul braccio e lo guarda seria.
«Tu mi hai salvato la vita e io ti appartengo. Senza di te non posso anda-re da nessuna parte. Voglio seguirti e imparare da te. Non c'è nulla per me di peggio che stare da sola. Peggio la solitudine, che fare l'assassino.»
«Parli così perché non sai.»
Dubhe congiunge le mani sul tavolo, ci appoggia sopra la testa.
«Te ne prego, Maestro, accettami come tua allieva.»
L'uomo la guarda a lungo, poi le appoggia una mano sulla testa. La sua voce è bassa e roca, quando parla, e colma di tristezza.
«Prendi la tua roba, andiamo.»
Dubhe alza la testa, e sorride felice. Per un istante la sua espressione sembra essere tornata quella gioiosa e innocente di un tempo.
«Sì, Maestro!»
(Citazione: La Setta degli Assassini)


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Dubhe apprendeva in fretta, ma c'era una cosa che per quanto si sforzasse non riesciva a fare: uccidere. L'uomo lo sapeva, e sapeva anche che era così che dovrebbe essere.

A sera, nel letto, ci ripensa. Pensa ai complimenti del Maestro per l'arco e le frecce, ripensa all'uomo, a Gornar, a tutti i morti che ha visto, a quanto poco ci voglia a uccidere un uomo.
Si gira nel letto senza poter dormire. Ancora una volta si sente confusa, combattuta tra sentimenti e desideri opposti che la dilaniano.
Dubhe affonda la faccia nel cuscino e scoppia in un pianto dirotto.
(Citazione: La Setta degli Assassini)


In questi anni la ragazza era felice, forse per la prima volta da quando aveva lasciato Selva. Un giorno, a Makrat, capitale della Terra del Sole, rivide sua madre. Il mondo le crollò addosso; la spiò di nascosto: lei si era rifatta una vita, suo padre era morto per cercarla. Dubhe capì che della bambina che aveva lasciato Selva non era rimasto più nulla. È un'adolescente, a questo punto del racconto. Pian piano, si scopre innamorata del Maestro; vive ogni giorno per le sue parole per i suoi insegnamenti. Poi venne il primo omicidio:

Tutto si svolge in un attimo. L'uomo salta dalla cassetta e si getta nel bosco. Il Maestro fa un balzo, ma non riesce a prenderlo.
«Dubhe!» urla.
È il suo corpo, prima ancora della sua testa, a rispondere. Dubhe scatta. Agile come non avrebbe mai creduto di essere. Pronta. Non c'è spazio per la paura né altro. È tutto troppo rapido.
Le sue mani corrono ai coltelli, le dita li afferrano con leggerezza, quindi il lancio, preciso. L'uomo è un'indistinta macchia scura davanti a lei. Du-bhe non sa neppure che sta facendo, non ha tempo di pensare.
Poi, un urlo soffocato, e la realtà prende di nuovo i suoi contorni.
L'ho colpito, si dice, improvvisamente incredula. L'ho ammazzato.
(Citazione: La Setta degli Assassini)


Dubhe era sconvolta, e il Maestro, oltre a spiegarle che era per questo che non l'aveva voluta con sé, le giurò che mai e poi mai l'avrebbe costretta di nuovo a fare una cosa del genere. Tutto andò per il meglio, finchè un giorno un uomo bussò alla porta della casa che Dubhe condivideva con il Maestro, nelle Terra del Mare, in riva all'oceano. Era un Assassino della Gilda. Così Dubhe apprese il nome del suo Maestro, Sarnek, e che la Gilda la cercava. La Setta degli Assassini, infatti, devota alla sanguinaria divinità Thenaar, riteneva che i bambini che uccidevano in tenera età fossero consacrati a Thenaar: i Bambini della Morte.
Sarnek affrontò l'Assassino e lo uccide, ma venne ferito. Dubhe prese a curarlo con delle erbe, ma scoprì poi che il Maestro aveva messo del veleno in quegli impiastri, perchè fosse lei ad ucciderlo. Il perchè lo spiegò nella lettera d'addio che lasciò alla ragazza:

Cara Dubhe,
so bene che ti risulterà impossibile comprendere quel che ho fatto. Ti conosco meglio di qualsiasi altro, e lo sai, per questo capisco come ti senti, quanto spaesamento e dolore ti stia costando il mio gesto. Ho scritto proprio per spiegarti. Non ti chiedo di perdonarmi e non mi pento di quanto ho fatto. Era necessario. Ti chiedo piuttosto di chiudere questo capitolo
della tua vita, di prendere il mio ricordo, i miei insegnamenti e buttarli, dimenticarli, e ricominciare a vivere, come facevi ai tempi di Selva.
Sono stanco, Dubhe, immensamente. Per la gente sono giovane, e i miei anni sono pochi, ma io li sento che mi pesano addosso indicibilmente. Mi sento vecchio di secoli, e consumato. Ho fatto tutto quel che potevo, se vi-vessi ancora non aggiungerei nulla alla storia della mia vita. Semplice-mente mi trascinerei ancora, e trascinerei me con te. È questo il primo motivo per cui ho scelto di morire. Non ne potevo più. È questo il prezzo che paghiamo noi assassini, Dubhe. Quelli come noi, che non hanno conosciuto altro nella vita, che hanno visto altri scegliere per loro e infilarli in un'esistenza che detestano, muoiono un poco a ogni omicidio. Sei giovanissima, ma so che già hai scoperto anche tu questa verità. L'omicidio ci appesantisce e alla fine il peso diventa insopportabile.
Non l'ho fatto però solo per stanchezza. L'ho fatto per la Gilda. L'altra sera ho ucciso un mio vecchio compagno della Casa. Ci conoscevamo fin da bambini, e io forse lo odiavo, e lui odiava me, ma siamo cresciuti as-sieme. L'ho ucciso perché voleva portarti con sé e tu non meritavi il mio stesso destino. Ma non si uccide uno della Gilda impunemente. Mi sarebbero stati addosso in molti, non mi avrebbero più dato pace, ci avrebbero cercato ovunque. Io non ce la faccio a sopportare questa battaglia. Non posso ricominciare a disputarmi la mia anima con la Gilda. Ma se io me ne vado, se muoio, tu sarai libera di fuggire senza la mia zavorra. Ti cercheranno, certo, ma sarà più difficile. Perché loro conoscono molto bene me, ma non te. Se io me ne vado, tu sarai libera.
Dubhe, sei stata la cosa migliore di questi anni. Quando ti ho trovata, ero disperato. Non era neppure un anno che avevo lasciato la Gilda. Era stato molto difficile andarmene. Ero stato con loro per così tanto tempo, conoscendo solo l'omicidio e il culto di Thenaar. Sono nato da una delle sacerdotesse della Gilda, e non ho mai conosciuto i miei genitori. Sono stato allevato dagli Assassini col solo scopo di diventare un'arma, e per lunghi anni, dall'infanzia fino alla maturità, ho fatto tutto quanto loro mi dicevano, considerando i loro insegnamenti veri, sacrosanti.
Uccidere mi dava piacere, mi faceva sentire forte, e non mi mancava la vita di una persona normale. Per me nella Gilda c'era tutto quel di cui avevo bisogno.
L'incantesimo si ruppe per colpa di una donna. Non c'è amore nella Gilda, ma la stirpe degli Assassini deve continuare.
Anche lei era una sacerdotessa. Una sacerdotessa esiste per un solo
scopo: offrire figli a Thenaar. Quando raggiunge l'età dell'infertilità, viene uccisa. Fino ad allora, ogni due anni deve mettere al mondo un figlio. Se fallisce, viene uccisa.
Era una ragazza piuttosto comune, nulla di che. La Gilda era piena di donne molto più belle, più spietate, più brave. Prima di me aveva avuto due figli che le erano stati strappati appena nati. Non se ne rammaricava, sapeva che quello era il suo destino. Il secondo era stato un parto molto difficile, il sacerdote le aveva detto che sarebbe stato un miracolo se aves-se potuto ancora avere figli. Lei non l'aveva detto a nessuno.
Non so perché mi innamorai di lei. Era candida, forse questo. Era inno-cente, qualcosa che non avevo mai avuto e neppure conosciuto. Aveva ucciso da ragazzina, prima di diventare sacerdotessa, ma nonostante questo aveva mantenuto una specie di purezza che mi affascinava. Facemmo l'amore per la prima volta, e io già mi scioglievo quando la vedevo passare in giro per la Casa, col suo passo svagato e l'aria assorta. Anche lei mi amava, in un modo dolce e gentile che me la rendeva ancora più affascinante.
Non rimase incinta per un mese, poi per un altro, e un altro ancora. Per quattro mesi non rimase incinta, sebbene ci vedessimo quasi ogni sera. All'inizio non ci interessava, anzi ci faceva piacere. Più a lungo ritardava la sua gravidanza, più tempo potevamo passare assieme. Poi però la Su-prema Guardia mi parlò, mi disse che una sacerdotessa che non dà figli è inutile, e che se non fosse rimasta incinta nei prossimi due mesi l'avrei dovuta uccidere.
L'angoscia ci avvolse. Facemmo l'amore con disperazione, ogni volta temendo fosse l'ultima, ma lei non restò incinta per tutti e due i mesi successivi. Mi confidò quanto le aveva detto il sacerdote un anno prima, e in lacrime si disse che era perduta, che era tutto finito. Sapevo cosa mi attendeva. Avrei dovuto ucciderla io, così volevano le regole di quel posto.
Decidemmo di fuggire. In verità fui io a decidere per entrambi. Lei era legata a quel posto da una sciocca forma di riconoscenza. Era una Bambina della Morte, sua madre era morta di parto e la Gilda l'aveva raccolta in fasce, quando non le era rimasto nessuno al mondo.
La convinsi, studiai tutto nei minimi particolari. Era strano come quell'amore avesse cambiato le mie prospettive, quasi avesse scacciato via tutte le convinzioni che avevo sulla Gilda e l'omicidio. Non volevo più es-sere un Vittorioso, non volevo più offrire doni a Thenaar. Volevo solo vi-vere in pace con lei.
Scappammo di notte. Non è facile scappare alla Gilda, per niente, ma noi provammo ugualmente. Lei però non stava bene, non so di preciso cosa avesse. Mentre fuggivamo cadde, e loro gli furono sopra immediata-mente. Non so cosa mi prese. Ogni volta che ci penso mi sento male, sempre di più. I miei piedi furono più forti del mio cuore. Scappai. Non mi fermai a salvarla. I miei dannati piedi mi portarono via da lei, a condurre una vita misera.
In seguito provai a riprenderla, provai a salvarla. La trovai cadavere tra i cadaveri, nella fossa comune dove la Gilda gettava le sue vittime. L'ho lasciata morire, capisci? L'unica donna che abbia mai amato. L'ho lasciata morire per paura, per desiderio di una stupida libertà di cui non ho mai usufruito.
Era passato un anno da allora quando ti incontrai. Non volevo nessuno con me, lo sai bene. Avevo già iniziato a morire. Stare con te mi ha dato la forza di sopravvivere fino a oggi. Sei stata il mio scopo per molto tempo, sei stata la mia speranza. Ancora una volta, però, ho sbagliato. La mia vita intera è un errore, e a pagare sono sempre state le persone che ho amato. Non avrei mai dovuto portarti con me. Avrei dovuto capirlo dal modo in cui mi guardasti quando ti salvai la prima volta, e tutte le altre volte che mi hai guardato adorante. Ma io avevo un bisogno infinito di te, intollerabile. Avevo bisogno della tua vita per risvegliare la mia, avevo bisogno della tua adorazione per sentire di contare ancora qualcosa per qualcuno.
Addestrarti, pervertire la tua innocenza, è stato un peccato imperdonabile, una cosa che non avrei mai dovuto fare. Ti ho costretta a uccidere, ti ho consegnato il mio destino di morte, te l'ho cucito addosso, soltanto per non sentirmi solo nel mio dolore, solo per far tornare un fantasma.
Ogni volta che ti ho guardata, mi hai sempre ricordato lei. Quando eri piccola eri la figlia che io e lei non eravamo riusciti ad avere, la bambina che forse ci avrebbe permesso di stare assieme. Più tardi, nei tuoi occhi ho visto i suoi occhi, nella mia mente le assomigliavi sempre di più. E quando vedevo che mi amavi, quando addirittura me lo dicevi, io ripensavo a lei, e pensieri terribili mi attraversavano la mente. Credo di amarti. Amo lei attraverso te. E questo è un altro motivo per cui devo andare.
Io sono le tue catene, Dubhe, io sono la tua rovina. Ma tu devi essere libera, come quando ancora non mi avevi incontrato. Eppure tu mi dici che per te sono tutto, che senza di me sei perduta. Dimentica l'amore che provi per me, ci saranno altri uomini, che amerai di più e che sapranno amarti per quel che sei, e non per ciò che in te vedono.
Ora io muoio, e i conti tornano al loro posto. Ti ridò la tua libertà, ti rendo di nuovo una persona normale. È per questo che ho voluto che fossi tu a farlo, è per questo che ho messo la foglia di velluto nel cataplasma. Volevo morire per tua mano, che fossi tu, a cui voglio così bene. Ricorda per sempre quest'orrore. Non voglio che tu faccia il sicario. Tu adesso penserai che non c'è scelta, che è l'unica cosa che sai fare, ma non è vero, non lo è! Me lo devi giurare, Dubhe, mi devi giurare che non lo farai mai. Non è un lavoro che fa per te. Il destino non esiste, Dubhe, affatto. Tutte le sciocchezze sui Bambini della Morte, su Thenaar che sceglie le sue vittime e i suoi santi, tutte idiozie. Ognuno sceglie la propria strada, ognuno può cambiare la propria storia. Tu almeno puoi farlo.
Dubhe, te ne prego, è il mio ultimo desiderio. Se farai il sicario finirai come me, divorato dalla stanchezza, morto dentro, e un giorno anche tu cercherai un'erba che può darti una morte rapida e indolore.
Fa' in modo che la Gilda trovi il mio cadavere. Devono sapere che sono morto. Tu invece scappa, cambia vita e usa un altro nome. Per qualche tempo ti converrà muoverti molto, per far perdere le tue tracce, ma dopo un po' potrai stabilirti in qualche posto, ricominciare da capo.
Io ho fiducia in te. Me ne vado con serenità perché so che ce la farai. Se solo lo vorrai, se solo taglierai i ponti, ce la farai.
Dimenticami, Dubhe, dimenticami e perdonami, se puoi.

Sarnek
(Citazione: La Setta degli Assassini)


A questo punto non mi resta che citare Licia Troisi.

Dubhe capisce. Non c'è altro che sappia fare. Entrare furtiva-mente nelle case, nelle locande, nei palazzi, e rubare. Non è una cosa che le piaccia, ma neppure può dire che le dispiaccia. Semplicemente non ha scelta. Vagabonderà, cercherà con tutte le proprie forze di sfuggire al suo destino alla Gilda, e ruberà. Il Maestro aveva torto. Per vivere deve ricordare i suoi insegnamenti, deve metterli in pratica. Così, la storia ha inizio.
(Citazione: La Setta degli Assassini)

L'assassina era diventata una ladra. Per due anni Dubhe sopravvisse di furti, mettendo a frutto l'addestramento ricevuto. È abile, la migliore.
Un giorno ricevette una strana commissione. Veniva da Forra, il luogotenente di Dohor: si trattava di rubare alcuni documenti dalla casa di un mago. Ma un episodio inquietava la giovane ladra: alcuni giorni prima, era stata attaccata da quello che sospettava essere un Assassino della Gilda. Lo aveva ucciso con facilità – infrangendo così il patto fatto sul corpo del Maestro – ma il ragazzo aveva fatto a tempo a colpirla con una cerbottana. Peccato che non ci fosse traccia di veleno nell'ago. Dubhe, mentre compiva il furto, venne colta da un malessere, tanto che non fu in grado di mettere in campo l'abituale furtività e venne scoperta; riuscì a fuggire con i documenti, ma Forra addusse la scusa dell'aver richiesto “totale discrezione” per pagarla ben meno del dovuto. A Dubhe non importò così tanto: doveva capire perchè era stata male, ma le sue indagini non approdarono a nulla. Bisognosa di soldi, preparò un altro furto, una rapina alla diligenza di un nobile. Ma mentre era pronta con i sonniferi:

Adesso lo vide: il carro che procedeva, lento, i quattro cavalli, i tre uomini che avanzavano.
Sete.
Carne.
Sangue.
I suoi riflessi furono ancora più rapidi di quanto avesse creduto, e con sgomento si guardò dall'esterno tirare il filo e lanciare in un secondo i tre coltelli.
Dalle foglie secche si alzò una spessa corda, e i cavalli vi inciamparono cadendo rovinosamente a terra. La carrozza si fermò di botto. Allo stesso tempo i coltelli colpirono con precisione il cocchiere e i cavalli, uccidendoli. Tre zampilli di sangue rosso sgorgarono dalle ferite bagnando le foglie a terra.
Fu quel colore, o forse l'odore del sangue.
Sangue.
Dubhe saltò a terra ed estrasse i suoi pugnali. No, non era questo che doveva fare, non era questo. Eppure non riusciva a fermarsi, il suo corpo le sembrava non appartenerle più.
I due uomini a cavallo si ripresero dalla caduta e si avventarono su di lei.
Il primo cercò di colpirla con la spada, ma Dubhe schivò il fendente appiattendosi più che poteva. Lo afferrò per una caviglia e lo gettò a terra, poi si avventò sulla sua gola. Immerse il pugnale fino all'elsa, e la sensazione del sangue sulle sue mani le infuse un'ebbrezza folle, un'ebbrezza di cui al contempo gioiva e che la terrorizzava. Allora estrasse il pugnale, e
colpì ancora, e ancora, e ancora.
L'uomo urlava sotto le sue mani, si contorceva, ma Dubhe continuava. Urlando, ululando. Poi, un dolore alla schiena, forte, bruciante.
Dubhe si volse in un istante, il pugnale alla mano, ma il secondo uomo si scansò in tempo.
La ragazza ne fiutava la paura, e il suo sguardo era terrorizzato. Il primo uomo, sotto di lei, aveva cessato di muoversi. L'altro soldato provò ad attaccare di nuovo, ma lei fu rapida a lanciare il pugnale. Lo colpì alla mano, costringendolo a lasciare la presa sulla spada.
Fu allora che l'uomo perse ogni ritegno. Provò a scappare, ma Dubhe gli piantò l'altro pugnale fra le scapole. Lui cadde, ma non si diede per vinto, cercò di strisciare a terra.
Dubhe gli si gettò sopra e prese a infierire ancora con il pugnale. Colpì più e più volte, come già aveva fatto col primo. Tutto si mescolava nelle sue percezioni: il sangue, le urla. Era una follia che la inebriava e della quale si sentiva spettatrice. Vedeva il proprio corpo muoversi, sentiva sotto le dita il sangue, e i suoi occhi fissavano quelli della vittima, ma non pote-va fermarsi. Osservava con orrore la scena, mentre qualcosa in lei esultava selvaggiamente. Continuò a colpire a lungo, finché la lama non si ruppe. In mano non le rimase che l'elsa.
Allora si alzò. La vista le si annebbiava, le gambe le cedevano, ma sentiva che c'era ancora qualcuno, ne sentiva l'odore, come un animale.
Iniziò a correre a perdifiato, a una velocità che non credeva di poter rag-giungere, seguendo una pista invisibile. Poi vide innanzi a sé la schiena magra del mercante.
Scappava tenendosi le vesti, le gambe ossute scoperte, e inciampava, si graffiava, ma continuava la sua corsa disperata.
Dubhe non ci mise molto a raggiungerlo. Lo afferrò per le spalle, lo voltò, ed ebbe tutto il tempo di vedere il terrore dipinto sul suo volto. La Be-stia che era in lei lo assaporò a lungo, poi si avventò con i denti sul collo, e lo morse.
L'urlo dell'uomo fu terribile. Cadde a terra, più morto che vivo. Senza armi, Dubhe gli strinse la mani attorno alla gola. I suoi occhi erano fissi in quelli della vittima, e godevano di ogni attimo della sua agonia. Solo quando l'uomo esalò l'ultimo respiro, finalmente tutto ebbe fine.
Dubhe sentì ogni forza abbandonarla, le mani lasciarono la presa, cadde in ginocchio. Il dolore alla schiena la assalì. L'odore e il sapore del sangue in bocca le diedero la nausea, ed ebbe un conato di vomito. La mente cercava impazzita di capire, di ricostruire, ma quando alzò gli occhi sulla scena che la circondava non riuscì a formulare alcun pensiero. Un massacro. Sembrava un campo di battaglia. I corpi a terra in posizione scomposta, gli sguardi colmi di orrore. Dubhe provò a portarsi le mani al volto, ma le vide rosse, completamente coperte di sangue.
Allora fu lei a urlare. Urlò come mai in vita sua, atterrita, sconvolta.
(Citazione: La Setta degli Assassini)


Mentre si curava la ferita sulla schiena, lo vide per la prima volta:

Era nuda, nella penombra rischiarata da un candela. Stese la benda innanzi a sé e fece per prendere il flacone. L'occhio le cadde su una macchia scura che le sembrava di aver visto sul braccio. Guardò meglio. Lì dove l'ago dell'assassino della Gilda l'aveva colpita c'era ora un simbolo assai chiaramente visibile. Erano due pentacoli sovrapposti, uno nero e uno rosso, e all'interno di essi un cerchio composto da due serpenti intrecciati, anche loro rossi e neri. Al centro, dove l'ago era penetrato, un punto d'un rosso vivo, come se ne stesse ancora sgorgando del sangue fresco. Dubhe vi passò sopra il dito, ma né il punto di sangue né il simbolo scomparvero.
(Citazione: La Setta degli Assassini)


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Gli unici che potevano darle spiegazioni erano gli Assassini. Il loro capo, Yeshol, la costrinse ad entrare nella Gilda, spiegandole che solo la loro Guardia dei Veleni, Rekla, aveva la cura. Dubhe fu costretta a farsi assassina e a fare ciò che più odiava: uccidere. La maledizione, altrimenti, l'avrebbe consumata e sarebbe morta di una morte orrenda. Non poteva nemmeno tentare il suicidio, perchè il sigillo, che Dubhe chiama la Bestia, le avrebbe impedito di uccidersi. Finchè un giorno un giovane mago infiltratosi nella Gilda, Lonerin, non le rivelò che la setta la stava ingannando: la pozione che le davano non guariva la maledizione, la teneva solo a bada. Non era una maledizione, ma un sigillo, cioè un incantesimo che non può essere spezzato se non dal mago che l'ha lanciato o da uno molto più potente di questo. Decisero di fuggire, non dopo aver scoperto che lo scopo ultimo della setta era resuscitare Aster, il Tiranno che per poco non aveva distrutto il Mondo Emerso quarant'anni prima. Ma mentre attraversavano la Grande terra, vennero attaccati da un Assassino. E il filtro smise di far effetto:
«Vattene o non rispondo di me!»
Non lo guardò per controllare se avesse capito. Sentiva il proprio auto-controllo svaporare, e adesso aveva solo desiderio di sangue.
Avvertì però confusamente i suoi piedi toccare terra e poi scalpicciare sui sassi. Aveva capito.
Dubhe si raccolse chiudendo gli occhi. Forse poteva ancora controllarsi, ritrovarsi. Socchiuse lo sguardo, e nei turbini di polvere le apparve una figura nera, con un pugnale nelle mani. Tutto il mondo scomparve, e rimase solo l'uomo armato davanti a lei. Il suo corpo fu dominato dalla Bestia, ed ebbe inizio il massacro.
Lonerin si era allontanato, ma non di molto. Quanto bastava per non es-sere a tiro dell'ira di Dubhe. All'inizio si era chiesto da cosa potesse dipendere, poi aveva visto una figura nera davanti a loro, non molto distante. Aveva vissuto poco nella Gilda, ma a sufficienza per riconoscere un Assassino.
Era un ragazzo, e sorrideva spavaldo. Dubhe invece tremava sul suo ca-vallo, ansimava, e i muscoli, che tanto sottili ed elastici sembravano di so-lito, si gonfiavano sotto la pelle.
«Vi ho trovato. Dove credevate di andare? Gli occhi di Thenaar sono ovunque.»
Dubhe restò a cavallo, senza muoversi. Così fu l'Assassino a fare la prima mossa.
Scattò in direzione della ragazza, rapido in un modo quasi innaturale. Dubhe balzò giù da cavallo con un solo salto e cadde direttamente su di lui. Era più magra e bassa, ma lo stesso parve sovrastarlo. Lonerin vide distintamente la lama di lui colpirle di striscio il fianco, e un sangue denso e nero erompere violento dalla ferita.
«Dubhe!»
Giacquero entrambi a terra per un istante appena, poi lei saltò su, come se non fosse stata colpita, ed estrasse il pugnale.
Il ragazzo giaceva sotto, e lei lo teneva a terra con una mano, bloccando ogni suo movimento. Era intontito, e provò debolmente a divincolarsi. Lei urlò, un urlo che non aveva nulla di umano, e calò il pugnale su di lui con violenza inaudita. Lo immerse nel petto del ragazzo fino all'elsa, quindi lo estrasse e lo reimmerse, e ancora, e ancora. Il sangue schizzava, e il ragazzo gridava dimenandosi. La presa di Dubhe era d'acciaio, e l'Assassino non ebbe alcuno scampo.
Lonerin era impietrito. Fu un massacro, il pasto di un mostro. Dubhe rideva sguaiatamente. Il suo viso era stravolto da una gioia folle, traboccante.
Lui avrebbe voluto scappare, ma era incapace di qualsiasi azione. Perché Dubhe era lì, da qualche parte, nascosta in quel corpo che ormai non le apparteneva, e non poteva lasciarla.
(Citazione: La Setta degli Assassini)


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Lonerin riuscì a bloccare Dubhe con la magia e a far intervenire il Consiglio delle Acque. Lì Dubhe rivelò tutto quello che sapeva sulla Gilda, e lo gnomo Ido, eroe della resistenza contro il Tiranno, rivelò che Sennar il mago, il più potente mago in vita, era ancora in vita, nelle Terre Ignote, dove si era trasferito con sua moglie Nihal, la mezzelfo che aveva sconfitto il Tiranno. Dubhe fece due più due, intuendo che Sennar magari avrebbe potuto aiutarla con il sigillo, e si offrì volontaria per accompagnare Lonerin.
Purtroppo Rekla, la Guardia dei Veleni della Gilda, li trovò nelle Terre Ignote. Dubhe, per sconfiggerla, fu costretta a spingere la Bestia a infrangere il confinamento della pozione

Divelse il pugnale con violenza e Dubhe per un attimo si sentì mancare. Ma subito dopo reagì. Prese con la mano sana uno dei coltelli caduti per terra e lo gettò nella direzione di Rekla con tutta la forza che aveva in corpo. La sua vista era annebbiata, ma riuscì lo stesso a ferirla a una spalla. Era stata così rapida, che la sua aguzzina non ce l'aveva fatta a evitare in tempo la mossa. Quando Dubhe rialzò la testa, la vide tenersi stretta la spalla, e intanto il sangue, nero e viscido come inchiostro, colava sul corpetto.
«Come hai osato...» ringhiò Rekla.
Fu fulminea. Si gettò contro di lei, sbattendola a terra. Quando le fu sopra, la pugnalò a una spalla. Dubhe urlò ancora, disperata. Ma stavolta c'era qualcos'altro in quell'urlo, una nota terribile che conosceva.
Ora Rekla era sopra di lei, sentiva tutto il peso di quel corpo decadente premerle sul ventre.
«Ti porterò alla piscina di Thenaar, fosse l'ultima cosa che faccio. Ma questa volta mi assicurerò che tu non mi dia nessun problema durante il tragitto. Non mi importa in che condizioni arriverai, sono già stata fin troppo clemente. E non ho intenzione di sbagliare ancora.»
La sua voce giunse distorta e lontana alle orecchie di Dubhe. Un altro suono la stava assordando. Conosceva bene quel grido che sentiva crescerle nelle viscere, lo aveva sempre temuto, ma ora era la sua unica salvezza.
Rekla si tirò su e colpì Dubhe con un pugno all'addome. Per un attimo la ragazza contrasse i muscoli per il dolore, poi non sentì più nulla. Era come se il suo corpo stesse diventando lentamente insensibile.
Allora capì. Le dita cominciarono a formicolare, e quello strano torpore si diffuse gradualmente alle braccia fino ad arrivare al petto. Sotto lo sterno, la Bestia premeva per uscire.
«Sei tu la causa per cui Thenaar ha smesso di parlarmi! Mi odia perché ho fallito con te, perché non ti ho tenuta fin da subito legata a una catena come un animale! Sono stata una sciocca a lasciarti libera di frugare tra le cose di Sua Eccellenza Yeshol, avrei dovuto catturarti non appena sei fuggita con quel Postulante! Ora pagherai per quello che hai fatto!»
Urlò la sua rabbia al cielo, e il suo grido acuto si sovrappose a quello di un drago. Gli animali, tutto intorno, erano agitati. Compresa la Bestia. Dubhe la sentiva pulsare dentro di sé, stava cercando una via d'uscita, ma la pozione di Lonerin le impediva di venire allo scoperto. Doveva trovare immediatamente una soluzione. Doveva abbattere quel muro, altrimenti sarebbe morta.
Rekla la colpì con un calcio, poi le strinse le mani attorno al collo. Non aveva intenzione di ucciderla, ma solo torturarla. Un piacere che voleva godere fino alla fine.
«Ecco quello che merita una traditrice come te!» disse in estasi. «Sei in trappola, senza speranza, e il dolore ti accompagnerà fino al tramonto dei tuoi giorni!»
Dubhe cercò di concentrarsi. Pensò alla sua prima strage nel bosco, agli occhi colmi di terrore delle sue vittime, al rumore della sua lama che trafiggeva le loro carni. Una parte di lei provava un rimorso incontenibile per quell'azione, e contemplava terrorizzata l'abisso in cui sarebbe finita se la Bestia fosse uscita e avesse preso possesso del suo corpo. Un'altra parte, però, gioiva, e assaporava l'odore del suo stesso sangue, smaniosa di divorare il nemico che aveva osato sfidarla.
Rekla prese il pugnale e la ferì di nuovo al petto. Dubhe non sentì quasi dolore. Le sue mani erano agitate da spasmi convulsi e la sua mente iniziava già a perdere contatto con la realtà.
«Una volta che avrò regalato la tua vita a Thenaar, tutto tornerà come prima, capisci? I miei anni e la mia bellezza sono un prezzo che pago volentieri per questo!»
Dubhe sentì chiaramente la sua volontà abbattere l'ultima barriera. La mente si ritrasse volontariamente, con la stessa disperazione con cui il suicida compie l'ultimo gesto, quello senza scampo.
I suoni dell'esterno scomparvero, e il silenzio l'avvolse. Stava cadendo nell'abisso, nel buco nero che dimorava dentro di lei. In fondo, due occhi rossi come la brace illuminarono quel luogo di desolazione. Sarebbe potuta risalire, resistere, perché la pozione gliene dava facoltà. Ma ormai aveva fatto una scelta. Respirò a pieni polmoni l'odore acre del corpo di Rekla e si mise da parte. Un calore micidiale la pervase, i due occhi rossi riempirono il nero della sua perdizione e sentì la Bestia prendere il suo posto.
D'improvviso le parve che Rekla si muovesse lentamente, come sott'acqua. Di fronte a lei, c'era solo la figura patetica di una vecchia fanatica divorata dall'odio. Dubhe scattò in avanti, e la Bestia ruggì.
Vide il proprio corpo muoversi a una velocità sovrumana. Si rialzò in un attimo, come se non fosse sfinita e prossima a cedere. Rekla si sbilanciò, finendo a terra. Durò una frazione di secondo.
«Neppure la Bestia può uccidermi, illusa» mormorò con un ghigno sicuro.
Dubhe attaccò, rapidissima, e sentì le proprie mani adunche come artigli. La voce era irriconoscibile, così roca e inumana. Lo scorcio dell'immagine di un suo braccio la fece rabbrividire, perché non era il suo. La maledizione l'aveva trasformata in una macchina perfetta per uccidere. I muscoli guizzavano impazziti, e la sua sete di morte era enorme, nulla avrebbe potuto esaurirla. La sua coscienza era schiacciata da quell'istinto ferino, non sarebbe mai più potuta tornare indietro.
Colpì Rekla più volte, poi l'afferrò per il collo e la gettò contro la parete di roccia. Il rumore delle sue ossa che si frantumavano la riempì di soddisfazione.
Avrebbe voluto smettere, subito, ma ormai era troppo tardi.
La sua nemica reagì nonostante il colpo tremendo che aveva ricevuto. Strinse il pugnale in una mano e con l'altra impugnò un coltello da lancio.
«La mia fede è più grande della tua maledizione. Sarà Thenaar a darmi la forza!»
Iniziò a colpire alla cieca, muovendo le mani con enorme agilità. Ferì Dubhe più volte di striscio, e sottili archi rossi andarono a disegnarsi in aria, mentre il penetrante odore della battaglia riempiva la radura. I draghi ripresero a ruggire impazziti: Dubhe li sentì lontani, quasi fossero un sogno. Non provava niente, solo un'eccitazione folle.
Sollevò Rekla in alto, come fosse un fuscello. Quindi prese a colpirla con la mano libera. I suoi pugni erano taglienti come lame.
La sua mente inorridì. Era come divisa in due. Lei non voleva quello scempio. Ebbe chiara la sensazione di aver superato il punto di non ritorno, di essere andata troppo oltre, e che la Bestia non si sarebbe mai più fermata. Provò a urlare, ma non ci riuscì. La sua gola non le apparteneva più.
Non poté fare altro che udire le grida di Rekla, sempre più disperate, il suo corpo che cedeva sotto i colpi.
Dubhe si sentì impazzire, capì di non poter più resistere in quelle condizioni, era troppo. Il suo corpo non le apparteneva più, per questo non riusciva a chiudere gli occhi su quanto stava compiendo, non riusciva a fermarsi, o almeno a smettere di gustare a una a una quelle grida.
Infine prese Rekla e la sbatté a terra. Era quasi in fin di vita, ma per la Bestia non era sufficiente. Dubhe le mise le mani attorno al collo e strinse, strinse, mentre sentiva i piedi della sua vittima che si dibattevano convulsamente.
Basta!
Le ossa del collo si ruppero sotto la sua presa, e Dubhe sperò di poter morire, di potersi perdere per non dover continuare ad essere spettatrice di quell'orrore.
Infine mollò la presa. Un urlo la attirò. Si volse. Svariate pietre erano state rimosse dalla zona della frana, e nel buco che si era aperto intravide Lonerin, attonito, e Filla che urlava di dolore.
La Bestia ghignò maligna.
(Citazione: Le Due Guerriere)


Questa è la prima volta che allo scatenarsi della maledizione Dubhe muta il proprio aspetto, cosa che accadrà ogni volta che forza i filtri per scatenare la maledizione.
Di là dalla frana c'erano due persone: Dubhe e una figura nera, vestita inequivocabilmente come un Vittorioso. Ma Dubhe non era in sé, il suo volto era già trasfigurato, i suoi muscoli pulsavano sotto la pelle con movimenti ritmici e innaturali.
Fino ad allora, ogni volta che la Bestia era emersa, Dubhe aveva sempre e comunque mantenuto intatto il proprio aspetto. Era solo il volto che si trasfigurava in una folle espressione di ferocia. Ora invece tutte le sue membra erano gonfie di quella forza occulta che solo la maledizione poteva dare. Il suo aspetto era selvaggio, animalesco, segno che la Bestia era riemersa nonostante la pozione.
(Citazione: Le Due Guerriere


Morta Rekla e trovato Sennar, questi rivelò alla ragazza che la maledizione era inizialmente destinata a Dohor, ma che grazie ad un incantesimo inventato da Aster era stata deviata su un capro espiatorio, Dubhe. Se la ladra voleva liberarsi della maledizione, doveva uccidere Dohor.

Dubhe partì per Makrat in compagnia di Theana, la ragazza di Lonerin, che conosceva un altro modo per confinare la maledizione. Purtroppo le prime applicazioni lasciavano Dubhe così indebolita che vennero catturate dai soldati del re e vendute come schiave. Furono salvate da Learco, il figlio di Dohor, e Dubhe cogliendo l'occasione, lo supplicò di portarle al palazzo per trovare un lavoro. Intanto iniziava a sentirsi attratta da quel ragazzo. Al palazzo, la sera in cui la ladra rubava i documenti, veniva sorpresa da Learco e, comprendendo di non poter uccidere la persona che amava (il principe contraccambiava i suoi sentimenti, ed era da un po' che i due si vedevano), gli rivelò tutto. Learco le disse che piuttosto che vederla morire l'avrebbe aiutata ad ogni costo. Arrivò a farla partecipare ad una congiura, ma vennero scoperti e i congiurati, Learco e Theana vennero imprigionati, anche se Dubhe riuscì a sfuggire. Liberò Learco, ma quando si accorse che stavano torturando theana, la maledizione ebbe la meglio. Fu così che il principino venne a conoscenza della Bestia.
Era come stare nella Casa. L'orrore si mescolò alla rabbia, e la maledizione ruppe definitivamente il sigillo. Dubhe sentì la Bestia urlare. Non riuscì a fermarsi, o più ancora, non lo volle. L'ultima cosa che vide fu l'ometto che si voltava stupito. Learco rimase inorridito. Vide Dubhe scattare in avanti con un balzo ferino e gettarsi sul torturatore col pugnale tra le mani. Il suo volto era irriconoscibile, i suoi muscoli guizzanti sembravano esplodere sotto il velo della pelle. Non era più lei. Il pugnale affondò nella carne più volte, mentre la vittima si dibatteva disperata. Il sangue era ovunque, gli schizzi arrivarono fino alla parete del-la cella. Learco era come paralizzato. Ogni pensiero era volato via dalla sua mente, e ora cera posto solo per quello che i suoi occhi stavano contemplando. Poi il ricordo del racconto di Dubhe gli fece capire tutto. «Fermati!» urlò gettandosi su di lei. Dubhe si dimenava tra le sue braccia con una forza incredibile. Alla fine riuscì a divincolarsi e lo atterrò. Sopra di lui, Learco vide due pozzi neri che lo guardavano come voragini, mentre il pugnale era già alzato per sferrare il colpo. Mi uccide, pensò senza paura. Era una constatazione, nulla di più, perché tutto era stato troppo veloce. Invece Dubhe si bloccò. Lira svaporò in pochi, lunghissimi istanti, e isuoi occhi tornarono normali. Si accasciò di colpo, svenendo sul petto di Learco. «Dubhe, Dubhe!» gridò lui, scuotendola per le spalle. Dovette ripeterlo un paio di volte prima che lei riaprisse lentamente gli occhi e lo guardasse. «Di nuovo» mormorò con le lacrime agli occhi. «L'ho fatto di nuovo»ripeté con un singhiozzo.

Sempre in fuga, vennero trovarti da Forra e dai suoi soldati. Il generale fece prigionieri Learco e theana e li fece portare alla Setta perchè fossero sacrificati a Thenaar, e si lasciò dubhe, pensando si sconfiggerla facilmente e “divertirsi” un po'.
Invece Dubhe lo uccise.

Dubhe pensò agli altri omicidi che aveva compiuto in passato: al terrore, all'angoscia, al disgusto che infinite volte l'avevano tormentata. Si era ripromessa di non sporcarsi più le mani, ma ora quel voto non aveva più importanza. Valeva la pena di perdersi definitivamente per una speranza.
«Questo è per Learco» disse a mezza voce, e affondò la spada nel cuore di Forra.
(Citazione: Un Nuovo Regno)

A questo punto la ladra, convinta che “ho trovato una ragione per vivere, quindi adesso posso anche morire”, raggiunge la sede della Gilda, il tempio del dio ner Thenaar e lascia libera, per quella che crede essere l'ultima volta, la Bestia.
Dubhe estrasse l'ampolla dalla bisaccia. Si versò in gola tutto il contenuto, quasi con rabbia. Era amaro, e le colò in parte lungo il mento e giù fino al seno. Un calore intenso le prese tutto il corpo. Era terrorizzata, ma non aveva più importanza.
Sono morta, pensò con sgomento. Non devo avere paura perché sono già morta. Sentì appena Oarf che si poggiava a terra con un tonfo, e rumore di voci. Poi giunse la pazzia, devastante e terribile. E tutto divenne bianco.
Sete di sangue. Fame di morte. Un desiderio impellente e devastante, intollerabile. No, non voglio! Ma resistere non aveva alcun senso. A un certo punto tutto si tinse di rosso. Gocce di sangue si mescolarono in complicati arabeschi in quel lago di latte. Il vagito della Bestia le spaccò la mente in due, riempiendogliela di orrore. Il corpo divenne una certezza dolorosa, e più struggente ancora era non poterlo comandare. Dubhe sentì di essere soltanto una spettatrice impotente di quello che stava accadendo. E quella certezza cancellò anche l'ultima speranza di poter fare ritorno. Mi hai negato a lungo, schiacciandomi tra cuore e diaframma. Ho dovuto respirare l'aria mefitica dei luoghi oscuri in cui mi hai confinata, ma io ci sono sempre stata. Ero il tuo piacere quando hai ucciso Gornar, ero la tua follia quando ti sei vendicata. Ora sono tornata, e non potrai più incatenarmi. Sono la tua essenza più profonda, il volto vero delle cose, spogliato delle scuse di cui ti ammanti quando ti muovi tra gli altri esseri u-mani. Resto solo io. La tua anima nera, la vera Dubhe. Si sentì risucchiata verso il basso, e i suoi occhi si spalancarono di col-po. Davanti a lei, il buio in cui era immerso il tempio era squarciato dal bagliore degli incendi. Sulla piana, i draghi si battevano con tutta la forza del loro fuoco, mentre con gli artigli e le zanne riducevano a brandelli i muri di cristallo nero. A terra, come patetiche formiche, piccoli uomini si agitavano scomposti correndo da tutte le parti. Carne. Carne per la sua fame. Sangue per la sua sete. La Bestia si abbatté su di loro senza pietà. Non gioisci con me? Non percepisci la magnificenza di tutto ciò? È per questo che sei nata, e lo sai. Dubhe urlò, ma non aveva bocca. La sua disperazione non trovava sfogo alcuno, e non aveva fine, lo sapeva. Solo la morte, troppo distante ancora,poteva far cessare quel tormento. Devo resistere, devo farlo per Learco. Lui vivrà. Ido rimase senza parole. Sotto i suoi occhi, la ragazza minuta che aveva portato in groppa a Oarf si trasformò. Il suo volto si deformò in un ghigno disumano, le sue membra si gonfiarono, la pelle si ricoprì di peli irsuti. Ogni traccia dei suoi occhi neri e profondi fu inghiottita da una furia senza fine, e al suo posto comparve un mostro, senza nome né coscienza di sé. Un aborto di natura, lo scherzo malvagio di un dio scellerato. Ruggì, la bocca aperta su una chiostra di denti acuminati come lame, le dita armate di artigli lunghi e taglienti.
(Citazione: Un Nuovo Regno)

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Edited by Aesìr - 1/5/2013, 21:46
 
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