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Cantautori Italiani

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view post Posted on 23/11/2012, 16:30
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Se la musica Italiana ha saputo mantenere una propria identità particolare, lo dobbiamo in gran parte alla figura del cantautore, affermatasi in Italia a partire dagli anni '50, mentre all'estero si sviluppavano simili personaggi come Dylan e joan Baez. Ma qui, a differenza che in America e in Inghilterra, i cantautori hanno acquisito l'assoluto predominio, in termini di stima e successo, su chiunque altro.
A volte assimilabili a veri e propri poeti in musica, spesso a metà strada tra il musicista e lo scrittore, i cantautori hanno monopolizzato la nostra scena musicale, rendendola unica. Soprattutto perchè i vari personaggi hanno adottato stili differenti, preso in prestito i più disparati generi musicali, introducendovi la lingua italiana al massimo livello ottenibile in una canzone.

In questo topic, di volta in volta, creerò le schede dei cantautori che ritengo i migliori, o comunque importanti, particolari, degni di nota. Descriverò il loro stile musicale e letterario, e magari citerò qualche canzone o disco.
Per ogni scheda, gradirei i vostri commenti sul personaggio preso in esame...

Iniziamo con...


Luigi Tenco



C'è un solo personaggio la cui breve parabola, e la cui tragedia, sono perfettamente assimilabili a quelle del leggendari personaggi del rock americano e britannico. A Sanremo, nel 1967, nella stanza d'albergo in cui alloggiava durante il festival, Luigi Tenco si tolse drammaticamente la vita sparandosi in testa un colpo di pistola. Aveva solo ventinove anni. La sua morte fu un evento mediatico senza alcun precedente, e sconvolse fin dalle fondamenta il pubblico e gli artisti della penisola. De Gregori avrebbe dedicato "festival" alla memoria del giovane cantautore, e De Andrè, suo grande amico, ne sarebbe stato sufficientemente colpito da scrivere la splendida "Preghiera in Gennaio": "Signori benpensanti, spero non vi dispiaccia, se in cielo in mezzo ai santi Dio tra le sua braccia...soffocherà il singhiozzo di quelle labbra smorte, che all'odio e all'ignoranza preferirono la morte".
La terribile vicenda personale di Tenco però, assieme alla sua morte prematura, rischia di offuscarne il lascito artistico inestimabile.
Musicalmente, il cantautore di Cassine era in tutto e per tutto un adepto del jazz. E in quante delle sue canzoni troviamo fiati, andamenti swing, assoli di sax. Lo stile jazzistico ed esuberante però, accostato ai testi che Tenco scriveva, ha il doppio merito di ritmarli piacevolmente e sottolinearne lo spessore drammatico.
Dal punto di vista testuale, Tenco è un Giuseppe Ungaretti della musica italiana. Forse è stato in assoluto il cantautore meno verboso, meno altisonante e più intimista di sempre. Intendo dire che, mentre per De Andrè e Guccini arrivare ad uno spessore poetico deve per forza passare per l'utilizzo di parole colte, per Tenco non è così. Per lui contano di più gli abbinamenti, l'amarezza di fondo, gli scenari, le impressioni. Ma parole come acqua, grano e casa sono davvero più che sufficienti. Non è per nulla epico, Tenco, non si sbilancia mai politicamente, non gli interessa nulla di ciò che interessa agli altri cantautori. A lui interessa indagare intorno alla frattura tra sè stesso e il mondo, scisma che dopo un periodo iniziale spensierato ed allegrissimo lo porterà ad una costante (seppur ironica) malinconia di fondo. E perciò, inevitabilmente, la sua poetica tocca tutti i gironi infernali della miseria umana, sempre con un occhio istrionico rivolto all'amore e alle sue contraddizioni.

"Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perchè sono stanco della vita (tutt'altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda io tu e le rose in finale ed una commissione che seleziona la rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi."

Il biglietto del Tenco suicida è il monito disperato e solenne di un essere schivo ed inusuale, che aveva anticipato i tempi con un fragore di cui ancora risuona l'eco, trasformato barbaramente dai media in un eroe romantico. La sua fine è uno dei grandi misteri irrisolti del novecento italiano, la sua arte vale più di un miliardo di elucubrazioni.




 
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view post Posted on 24/11/2012, 10:15
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Rino Gaetano



Il genio e sregolatezza del cantautorato si è imposto (per la verità lentamente) come vero e proprio autore di culto, grazie ad alcune hit indimenticabili ma che celano una discografia di tutt'altra levatura. Chi non si ricorda "Gianna", "Ma il cielo è sempre più blu", "Berta filava"? Volontariamente o per assimilazione da spot e programmi che le massacrano, le hanno sentite tutti. Queste e molte altre ancora. Pur tuttavia, come anche Tenco, Rino Gaetano rimane, come personalità, una figura di secondo piano, esclusa ingiustamente dal pantheon dei celebratissimi professoroni che tutti conoscono...
Gaetano è assolutamente, fieramente bizzarro. La musica che si accende di folk, di reggae, di rock classico, di medievalismi alla Carlo Martello di De Andrè (e infatti sempre in chiave ironica), di soul, di disco e di chissà quanti altri stili, nascosi furbescamente sotto le rime e i giochi di parole. La voce è quella di un novello Joe Cocker, rauca e sforzata, ma anche potente e con una sua miserevole grazia.
E poi c'è il contenuto di quei pezzi. Bene, anzi benissimo. Perché da un certo punto di vista Rino Gaetano è portatore di quella meridionalità incontenibile (era un calabrese trapiantato a Roma) che caratterizzava ad esempio Modugno. Con tutti i suoi vezzi melodici. Ma è anche, e soprattutto, la satira politica. Mai critiche seriose in stile Vecchioni o Guccini, ma molto più efficaci e divertenti sferzate di umorismo nero. I suoi testi sono particolarmente moderni, tanto che molti, se non descrivessero l'italia degli anni '70 e inizio '80, sarebbero tranquillamente riutilizzabili ora. E ci sono spaccati di straziante disperazione ("mio fratello è figlio unico") toccanti ed intelligenti descrizioni dell'italia (come quella di epoca fascista in "Aida"), sentimentalismi seri e mostruosamente spiritosi ("escluso il cane"), puri distillati di critica antiautoritarista e politica (la esilarante "Nutereggaeppiù"). Ma c'è anche una dimensione fiabesca ed allucinata ("La vecchia che salta con l'asta"), l'elogio del meridione italiano ("Ad esempio a me piace il sud"). E potrei stare delle ore a citare universi narrativi e rispettive canzoni di Gaetano.

2 giugno 1981: A Roma, il non ancora trentunenne Rino Gaetano, sotto l'effetto di alcool, si rende partecipe di un tremendo incidente automobilistico. Rifiutato in ben cinque ospedali, per ragioni non ancora chiare, muore.
Ma come dimenticare un menestrello stralunato che si presentava a Sanremo a cantare "Gianna" in frac e scarpe da ginnastica? Uno che, infastidito dal dover cantare in playback "Aida" in una trasmissione televisiva, fece di tutto per farlo capire al pubblico (riuscendoci benissimo)? Uno che ballava un curioso valzer con un cocker tra le braccia cantando "Escluso il cane"? Il rischio, con Rino Gaetano, è di bollarlo come semplicemente eccentrico, come solo vendibile o solo commerciabile. Non c'è errore più grande che si possa fare.

 
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view post Posted on 26/11/2012, 19:33
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Ivan Graziani



Eh già. Parecchio bruttino, nevvero? Con quegli occhiali alla Elton John... Ebbene, questo sgraziatissimo personaggio di origine sarda è stato uno dei più grandi chitarristi che l'Italia abbia mai visto. E già quand'era giovane se n'erano accorti in parecchi, tanto che fu per anni uno dei turnisti più richiesti ed apprezzati sulla piazza. E in definitiva, uno dei pochi veri interpreti di un particolarissimo rock nostrano, intriso del linguaggio dei cantautori e ammirato anche all'estero.

Ivan Graziani ha la sua particolarità nella perizia tecnica e nell'inventiva sulle corde del suo strumento, davvero rara nell'Italia dei "tre accordi in croce", ma il suo rock, sebbene molto più americaneggiante di quello di altri esponenti della nostra musica, possiede una carica energetica elettrizzante, e una dimensione testuale mai banale.
I suoi pezzi sono spesso ritratti di personaggi, descritti con pochi tratti memorabili: In "pigro", ad esempio, ci troviamo di fronte ad un essere quasi parassitario che "cita i classici a memoria, ma non distingue il ramo da una foglia". E così via.
Oppure invettive ferocissime e ghignanti, come "Dr. Jeckyll - Mr. Hyde", "I Lupi", "Taglia la testa al gallo".

E infine c'è la dimensione live di Graziani, potente e trascinante, come quella dei suoi idoli d'oltreoceano.

 
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view post Posted on 29/11/2012, 09:55
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Fabrizio De Andrè



Se oggi in Italia pensiamo al termine cantautore, quasi sicuramente ci verrà in mente per primo Fabrizio "Faber" De Andrè. E questo perchè dalla sua morte nel 1999 il suo mito è cresciuto in maniera esponenziale, trasformandolo nel prototipo del cantautore Italiano. Prima, quando il suo genio era all'opera, non aveva avuto un'oncia (relativamente parlando, è ovvio) del successo commerciale dei suoi contemporanei, ad esempio il molto più popolare (in ogni possibile senso del termine) Lucio Battisti. Questo non lo sminuisce. Ed anzi, è indice dell'idiozia di molta gente. Pur tuttavia De Andrè, anche in vita, ha avuto il suo nutrito pubblico tra gli appassionati di musica...e di poesia.

De Andrè è un mondo, l'ascoltatore non sa nemmeno dove girarsi, quale ascoltare per primo tra quei tredici dischi, così diversi tra loro, così importanti, tutti, a loro modo.
Un mondo, quello del cantautore Genovese, essenzialmente testuale, scandito da quella voce baritonale e stentorea che lo contraddistingue. Ma anche ricco di sfumature musicali davvero grandi, grazie alla sua abilità di circondarsi di musicisti originali e preparati. Musiche di stampo barocco, con classicismi da conservatorio e tocchi elettronici (Pagani e Piovani) oppure di influenza gitana, sempre con un occhio a Dylan e al rock (Bubola e De Gregori). Di suo, De Andrè univa al calderone gli chansonniers Francesi, e tanto Medio Evo, entrambi rintracciabili soprattutto nei primi dischi.
Sebbene sia anche una spropositata ruffianeria, c'è un valido motivo per definire De Andrè il "poeta" per eccellenza della musica Italiana. Intanto, come abbiamo visto, si occupava solo relativamente delle musiche, dando loro solo l'impronta con i suoi testi. Aveva nei propri album un ruolo non dissimile da quello di Mogol negli album dell'odiatissimo collega Battisti (lui e Faber si detestavano cordialmente). Solo che qui erano i testi a trascinare la musica. Le canzoni integralmente di De Andrè sono (pensate!) soltanto otto su centoquattordici.
Ma poeta vorrà ben dire anche qualcos'altro. E infatti. Roba che, a vederle scritte su carta, le sue canzoni le puoi prendere per Foscolo, Leopardi, per gli scritti di Pasolini. basti pensare alla "Domenica della Salme": "I Polacchi non morirono subito e inginocchiati agli ultimi semafori, rifacevano il trucco alle troie di regime lanciate verso il mare..i trafficanti di saponette mettevano pancia verso Est..chi si convertiva nel '90 ne era dispensato nel '91..la scimmia del quarto Reich ballava la polka sopra il muro, e mentre si arrampicava le abbiamo visto tutti il culo...."
Oppure la geniale "Morire per delle Idee", un testo che è un risultato ancor più incredibile se consideriamo che è una canzone di Brassens adattata all'Italiano: "Mi avevano avvisato, e la mia musa insolente, abiurando i suoi errori aderì alla loro fede, dicendomi peraltro in separata sede, moriamo per delle idee..."

Eh si, le traduzioni. Perchè De Andrè ha sempre avuto un debole per gli adattamenti. E ne fece da solo, come nel caso appena citato, con De Gregori (la Dylaniana "Desolation Row-Via della Povertà") e con Bubola (L'altrettanto Dylaniana "Romance in Durango-Avventura a Durango").

De Andrè ha l'aura quasi mistica di "Cantore degli ultimi", cosa vera perchè effettivamente grossa parte del suo canzoniere è dedicato alla fasce più bistrattate della popolazione: prostitute, alcoolizzati, omosessuali, zingari ecc.
Ma falsissima se significa cucirgli addosso una veste di santo. Non c'è cosa più sbagliata, ci troviamo di fronte ad una statura artistica immensa ma direttamente proporzionale all'ego e alla bruschezza di modi dell'uomo De Andrè.

Album che ritengo più doveroso citare:

-Non al denaro, non all'amore né al cielo: non conosco nessun altro disco in cui, come in questo, ogni canzone sia un pezzo raro. Liberamente ispirato a nove poesie dell'Antologia di Spoon River del poeta americano Edgar Lee Masters, mantiene l'acutezza poetica di quei versi trasfigurandoli in forma canzone e donandogli una vitalità pulsante. In sintesi, dopo la canzone introduttiva "La Collina", troviamo un mosaico di otto personaggi morti, che da sotto la terra di quella collina raccontano la loro storia più o meno miserevole: Un Matto, Un Giudice, Un Blasfemo, un Malato di Cuore, un Medico, un Chimico, un Ottico, il Suonatore Jones. Un concept album!!
Ognuna di queste canzoni è una perla di dramma e poesia, in un disco non conosciutissimo ma che dal mio punto di vista è forse la vetta più alta di De Andrè

-Storia di Un Impiegato: Unico album in cui De Andrè si sbilancia politicamente, è la storia di un impiegato dalle idee confuse e nitidissime, indeciso tra la sicurezza dei sogni (incubi) e l'esternazione della violenza. Per il messaggio anarchico che veicolava (questo l'orientamento politico del Faber) fu subito bollato come sovversivo e senza possibilità di lode. Fu rivalutato progressivamente. Questo è il disco in cui meglio la musica si lega alle liriche, disperate, drammatiche, rabbiose di una rabbia incontenibile, a volte sorprendentemente dolci. I testi sono eccezionali. Recuperatelo al più presto.

Dopo questi due colossi, per me i migliori, posso farvi nomi e nomi: Volume VIII (con De Gregori), Rimini (con Bubola, contiene canzoni celebri come Andrea e Volta la Carta ma si fregia di pezzi come il capolavoro poetico "Parlando del Naufragio della London Valour"), Tutti Morimmo a Stento, Le Nuvole, Creuza de Ma (il capolavoro etnico in genovese che il genio musicale David Byrne, dal cui cognome prendo il mio nick, definì "Uno dei dieci più importanti dischi degli anni '80), La Buona Novella, "L'indiano" (in realtà questo album si chiama Fabrizio De Andrè, ed è stato ispirato dal rapimento del cantautore in Barbagia ad opera dell'Anonima Sequestri Sarda, nell'album Faber paragona la perdita d'identità degli indiani a quella dei Sardi, difendendo i suoi rapitori).



Sbandierato come pochi, ultimamente sembra esserci una continua gara a chi meglio lo comprende, cita, analizza. Lo ritengo, come pochi cantautori Italiani, troppo grande e complesso per essere compreso fino in fondo. Si può però meravigliarsi delle sue parole, si può apprendere qualcosa, lo si può idealizzare. Tanto lui ci sfuggirà sempre, sarà già dall'altra parte del mondo, viaggiando, come ha sempre fatto (ed ecco che arriva la doverosa citazione) In Direzione Ostinata e Contraria.



 
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