| Fabrizio De Andrè
Se oggi in Italia pensiamo al termine cantautore, quasi sicuramente ci verrà in mente per primo Fabrizio "Faber" De Andrè. E questo perchè dalla sua morte nel 1999 il suo mito è cresciuto in maniera esponenziale, trasformandolo nel prototipo del cantautore Italiano. Prima, quando il suo genio era all'opera, non aveva avuto un'oncia (relativamente parlando, è ovvio) del successo commerciale dei suoi contemporanei, ad esempio il molto più popolare (in ogni possibile senso del termine) Lucio Battisti. Questo non lo sminuisce. Ed anzi, è indice dell'idiozia di molta gente. Pur tuttavia De Andrè, anche in vita, ha avuto il suo nutrito pubblico tra gli appassionati di musica...e di poesia.
De Andrè è un mondo, l'ascoltatore non sa nemmeno dove girarsi, quale ascoltare per primo tra quei tredici dischi, così diversi tra loro, così importanti, tutti, a loro modo. Un mondo, quello del cantautore Genovese, essenzialmente testuale, scandito da quella voce baritonale e stentorea che lo contraddistingue. Ma anche ricco di sfumature musicali davvero grandi, grazie alla sua abilità di circondarsi di musicisti originali e preparati. Musiche di stampo barocco, con classicismi da conservatorio e tocchi elettronici (Pagani e Piovani) oppure di influenza gitana, sempre con un occhio a Dylan e al rock (Bubola e De Gregori). Di suo, De Andrè univa al calderone gli chansonniers Francesi, e tanto Medio Evo, entrambi rintracciabili soprattutto nei primi dischi. Sebbene sia anche una spropositata ruffianeria, c'è un valido motivo per definire De Andrè il "poeta" per eccellenza della musica Italiana. Intanto, come abbiamo visto, si occupava solo relativamente delle musiche, dando loro solo l'impronta con i suoi testi. Aveva nei propri album un ruolo non dissimile da quello di Mogol negli album dell'odiatissimo collega Battisti (lui e Faber si detestavano cordialmente). Solo che qui erano i testi a trascinare la musica. Le canzoni integralmente di De Andrè sono (pensate!) soltanto otto su centoquattordici. Ma poeta vorrà ben dire anche qualcos'altro. E infatti. Roba che, a vederle scritte su carta, le sue canzoni le puoi prendere per Foscolo, Leopardi, per gli scritti di Pasolini. basti pensare alla "Domenica della Salme": "I Polacchi non morirono subito e inginocchiati agli ultimi semafori, rifacevano il trucco alle troie di regime lanciate verso il mare..i trafficanti di saponette mettevano pancia verso Est..chi si convertiva nel '90 ne era dispensato nel '91..la scimmia del quarto Reich ballava la polka sopra il muro, e mentre si arrampicava le abbiamo visto tutti il culo...." Oppure la geniale "Morire per delle Idee", un testo che è un risultato ancor più incredibile se consideriamo che è una canzone di Brassens adattata all'Italiano: "Mi avevano avvisato, e la mia musa insolente, abiurando i suoi errori aderì alla loro fede, dicendomi peraltro in separata sede, moriamo per delle idee..."
Eh si, le traduzioni. Perchè De Andrè ha sempre avuto un debole per gli adattamenti. E ne fece da solo, come nel caso appena citato, con De Gregori (la Dylaniana "Desolation Row-Via della Povertà") e con Bubola (L'altrettanto Dylaniana "Romance in Durango-Avventura a Durango").
De Andrè ha l'aura quasi mistica di "Cantore degli ultimi", cosa vera perchè effettivamente grossa parte del suo canzoniere è dedicato alla fasce più bistrattate della popolazione: prostitute, alcoolizzati, omosessuali, zingari ecc. Ma falsissima se significa cucirgli addosso una veste di santo. Non c'è cosa più sbagliata, ci troviamo di fronte ad una statura artistica immensa ma direttamente proporzionale all'ego e alla bruschezza di modi dell'uomo De Andrè.
Album che ritengo più doveroso citare:
-Non al denaro, non all'amore né al cielo: non conosco nessun altro disco in cui, come in questo, ogni canzone sia un pezzo raro. Liberamente ispirato a nove poesie dell'Antologia di Spoon River del poeta americano Edgar Lee Masters, mantiene l'acutezza poetica di quei versi trasfigurandoli in forma canzone e donandogli una vitalità pulsante. In sintesi, dopo la canzone introduttiva "La Collina", troviamo un mosaico di otto personaggi morti, che da sotto la terra di quella collina raccontano la loro storia più o meno miserevole: Un Matto, Un Giudice, Un Blasfemo, un Malato di Cuore, un Medico, un Chimico, un Ottico, il Suonatore Jones. Un concept album!! Ognuna di queste canzoni è una perla di dramma e poesia, in un disco non conosciutissimo ma che dal mio punto di vista è forse la vetta più alta di De Andrè
-Storia di Un Impiegato: Unico album in cui De Andrè si sbilancia politicamente, è la storia di un impiegato dalle idee confuse e nitidissime, indeciso tra la sicurezza dei sogni (incubi) e l'esternazione della violenza. Per il messaggio anarchico che veicolava (questo l'orientamento politico del Faber) fu subito bollato come sovversivo e senza possibilità di lode. Fu rivalutato progressivamente. Questo è il disco in cui meglio la musica si lega alle liriche, disperate, drammatiche, rabbiose di una rabbia incontenibile, a volte sorprendentemente dolci. I testi sono eccezionali. Recuperatelo al più presto.
Dopo questi due colossi, per me i migliori, posso farvi nomi e nomi: Volume VIII (con De Gregori), Rimini (con Bubola, contiene canzoni celebri come Andrea e Volta la Carta ma si fregia di pezzi come il capolavoro poetico "Parlando del Naufragio della London Valour"), Tutti Morimmo a Stento, Le Nuvole, Creuza de Ma (il capolavoro etnico in genovese che il genio musicale David Byrne, dal cui cognome prendo il mio nick, definì "Uno dei dieci più importanti dischi degli anni '80), La Buona Novella, "L'indiano" (in realtà questo album si chiama Fabrizio De Andrè, ed è stato ispirato dal rapimento del cantautore in Barbagia ad opera dell'Anonima Sequestri Sarda, nell'album Faber paragona la perdita d'identità degli indiani a quella dei Sardi, difendendo i suoi rapitori).
Sbandierato come pochi, ultimamente sembra esserci una continua gara a chi meglio lo comprende, cita, analizza. Lo ritengo, come pochi cantautori Italiani, troppo grande e complesso per essere compreso fino in fondo. Si può però meravigliarsi delle sue parole, si può apprendere qualcosa, lo si può idealizzare. Tanto lui ci sfuggirà sempre, sarà già dall'altra parte del mondo, viaggiando, come ha sempre fatto (ed ecco che arriva la doverosa citazione) In Direzione Ostinata e Contraria.
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