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The Doors

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view post Posted on 9/1/2013, 18:32
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Ed eccomi a parlarvi della mia band preferita. Sono un'amante della musica, tutta la musica, e posso dire con orgoglio di averne ascoltata pedissequamente e appassionatamente davvero tanta, con un po' di stizza di non averne ascoltata nemmeno lontanamente a sufficienza.
Con i Doors e con il loro mito ho un rapporto molto particolare, senza dubbio il più appassionato che io abbia mai avuto con la musica e la testualità di chicchessìa. La loro fama davvero notevole (80 milioni di dischi venduti in tutto il mondo, più all'incirca un milione in più ogni anno) ne oscura atrocemente il talento e l'unicità. E tende ad appiattirli banalmente all'interno dei "grandi del rock", senza la minima considerazione per il loro trascendere, inesorabilmente, qualsiasi etichetta, e ci hanno provato in molti. Certamente è difficile giudicare con razionalità la mostruosa spinta innovativa di Hendrix, il camaleontismo ermetico di un David Bowie, la sfrenata passione di una voce come Janis Joplin, ma alla fin fine a mio parere sono solo tre i veri "inclassificabili": Bob Dylan, i Beatles, e i Doors. Dylan perché si rifiuta di affezionarsi ad alcunché, sembra la perfetta incarnazione dell'osservazione di Oscar Wllde secondo cui "non c'è crimine più grave della coerenza", mantenendosi senza vuoti moralismi, con geniale antipatia e con sottile sagacia sempre una decina di passi avanti al suo pubblico, senza però tentare mai di accontentarlo, casomai di adattarselo con maestrìa. I Beatles perchè hanno un'influenza eccessiva per sapere quanto ne siano stati artefici, quanto del loro genio sia stato compreso persino da loro, quanta consapevolezza vi fosse dietro alle allucinazioni. E i Doors perché sono realmente unici musicalmente, sul versante dei testi e su quello degli intenti.

Intenti non semplici: fondere in un unico ibrido rock, blues maledetto, jazz, pop ed echi lontani di musica classica, far sì che un tale corpus di generi non fosse mai pretenzioso ma sempre abbagliante, fondere questo ibrido con la poesia e a sua volta il risultato con un'estetica aggiornata e al contempo immortale ed una teatralità di stampo Brechtiano. Il tutto sotto la spinta distruttiva e creativa del leader Jim Morrison, il dionisiaco che non si è mai piegato al tentativo di apollineizzazione che i musicisti dovevano per forza di cose operare per far si che la band non cadesse a pezzi, ma che è riuscito a farne un' ulteriore punto di forza. E la band in pezzi non c'è mai caduta, sebbene sia durata solo cinque anni.



La musica

Per quanto concerne il lato musicale e teatrale, possiamo già da subito notare l'assoluta bizzarria degli elementi. La band era composta da:
- Robbie Krieger, chitarrista esile e pragmatico con un talento inusuale per la creazione di atmosfere e un malcelato disprezzo per la spigolosità del rock n'roll classico, ottimo compositore e influenzato timbricamente dalle ritmiche Latine come il flamenco e da quelle hawaiiane.
-Ray Manzarek, tastierista di formazione classica appassionato di blues, il cui organo è forse l'elemento caratterizzante del sound del gruppo, in grado di dare teatralità quanto le scomposte e geniali performance di Morrison, e di colorare di originalità le melodie. Manzarek aveva un'altra rarissima peculiarità, sostituiva il bassista di cui la band era da sempre sprovvista, componendo ed eseguendo semplici ed efficaci linee di basso con la mano sinistra sul suo fender piano bass.
-John Densmore era un altro elemento anomalo, batterista di chiara formazione jazz, e in virtù di questo adattabile e fantasioso oltre che tecnicamente valente, unico batterista della storia del rock i cui virtuosismi fossero completamente al servizio dei testi e del loro personale incedere, piuttosto che dell'andamento musicale generale.

Si aggiunga a questo Morrison, che a fronte di un (completo!) analfabetismo musicale aveva dalla sua abilità interpretative e drammatiche che inutilmente si cercherebbero in qualunque cantante "pop" (termine orribile e fuorviante in riferimento a questo essere così bizzarro), oltrechè un carisma assoluto e trascinante, un gusto per la trasgressione che è l'unica cosa che lo può accomunare ai suoi colleghi (anche se nel suo caso c'era una ragione ben precisa e studiata per vivere follemente) e quell'aspetto fisico da vero Adone dell'acid rock che gli guadagnava istantaneamente il favore del pubblico femminile.
E come cantante? Anche qui niente tecnica, tutto al servizio del teatro e della recitazione: una voce bassa e suadente come quella di Sinatra e duttile e luciferina come quella di Presley, ma con un timbro corrosivo capace di latrati acuti e lancinanti.

Principalmente questi sono gli elementi del successo dei Doors, eppure sono un millesimo del loro vero valore. Per queste caratteristiche Morrison è stato innalzato a livello di icona generazionale, di idolo delle folle, di personaggio delle magliette e di rimessa di aforismi da diario. Destino davvero orribile per un personaggio della sua levatura. Krieger ad esempio, senza avere un briciolo dell'ispirazione del frontman, fu capace di scrivere "in Morrisoniano", facendo un uso furbesco degli stilemi mitici del vivere del Re Lucertola. Ecco come sono nate Light My Fire, Love Me Two Times, Love Her Madly. Brani piacevoli ma alla fin fine solo brani rock n' roll, solo imitativi di ciò che Morrison poteva davvero sprigionare. Per la precisione in Light My fire un solo verso è stato scritto da Morrison, e un amore così carnale che diveniva una pira funeraria non piacque ne' all'autore ne' al produttore, pur tuttavia fu accettato.



La Poesia

I testi dei Doors sono frutto di un continuo esperimento letterario operato da quello che, imprigionato nei panni in pelle nera di un rocker maledetto, avrebbe anelato a vedere riconosciuto il proprio talento poetico ("è bellissimo...è la prima volta che non mi hanno fottuto" pare che abbia detto in lacrime di fronte alla copertina del primo libro di suoi componimenti che vide pubblicato). Influenze musicali e testuali della media dei cantanti dell'epoca: Dylan, Elvis, Stones, Beatles ecc. Influenze testuali (e perché no, anche musicali) di Morrison: Poe, Rimbaud e i Maledetti, Nietzsche, Baudelaire, la tragedia greca e l'epica Omerica, il carisma assoluto di miti come Alessandro Magno, il cinema francese e italiano, i riti sciamanici, la poetica degli indiani d'america, del deserto e dell'acido e chissà quanti altri...
Ascoltate in particolare i primi due folgoranti album, "The Doors" e "Strange Days", e scoprirete non solo un poeta, ma forse il poeta del '900 che ha scritto meglio dell'alienazione e dell'ossessione, dell'istintualità e della solitudine, proprio perchè imprigionato nel limbo di successo di una rockstar. Ma il Morrison che vedete ghignare sui diari e le magliette delle ragazzine altro non è che il carcere odiato e amato da un Morrison egocentrico ma terribilmente sincero, e quindi impossibilitato a sopportare quell'immagine di sé. E così nei testi della band, come anche nelle poesie scritte che nei suoi 27 anni di vita James Douglas Morrison ha prodotto, troverete una galleria di personaggi grotteschi, donne orribili dai volti distorti, tragedie nelle tragedie nelle tragedie. Ma anche (e quanta gente sembra volerlo disperatamente ignorare!) miraggi di momentanea e fulgida speranza, descrizioni ispirate (penso a pezzi recitati come "Horse Latitudes", "Latitudini Equestri", descrizione raggelata e rabbiosa di un quadro in cui durante una tempesta i marinai di un galeone spagnolo gettavano in mare i cavalli per ridurre il peso) e travolgente, pungente ironia. Negli ultimi tempi il leader dei Doors sembrava sempre più interessato alla lettura e alla scrittura, sempre meno alla musica della sua band: continuava ad essere provocatorio, processò letteralmente in diretta i poliziotti saliti sul palco ad arrestarlo, ma divenne (se possibile) ancor più lunatico, e cambiò radicalmente aspetto fisico, sostituendo lentamente i lineamenti angelici in una maschera barbuta, il bell'Adone si trasfigurava dolorosamente nel saggio e solenne Zeus.



Sempre più disperato, sempre più incompreso, sempre più geniale e più mitizzato per lati di se' che quasi odiava, Morrison forse è diventato instabile come Van Gogh, forse si è negato come Rimbaud (che smise volontariamente di scrivere a vent'anni appena), forse ha perso il senno come Nietzsche per aver troppo pensato e scritto.
Il 3 luglio 1971, appena ventisettenne, Morrison fu trovato morto nella stanza che occupava a Parigi. E tanti, al giorno d'oggi come allora, lo trattano con superficiale sufficienza ("non montarti troppo la testa, Morrison, è solo rock n' roll, e tu sei solo un'altro cantante rock")
Ma provate ad ascoltare qualche canzone: la funerea e romantica The Crystal Ship, il corrosivo ed estremo dramma edipico di The End, il delirio musicale di "When the music's over", il Kubrickiano sangue per le strade di "Peace Frog" e diverse altre decine di perle.

Quanti possono dirsi star maledette e poeti maledetti, cibo per le masse e filosofi dal genio indiscutibile al contempo?

Quanti gruppi rock possono dire di aver unito lo spettacolo all'antica concezione cerimoniale dell'esibizione? Quanti di aver colpito direttamente la Mente Universale?




Edited by Byrne - 10/1/2013, 14:15
 
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Deacon Master
view post Posted on 9/1/2013, 18:36




Io non sono un appassionato di musica, ma questo gruppo è senza dubbio uno dei migliori che io abbia mai ascoltato.
 
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view post Posted on 9/1/2013, 18:39
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view post Posted on 9/1/2013, 22:02




Io a sentire the End mi copro..altro che i Brividi. Mi fa entrare in Ipotermia.
 
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view post Posted on 9/1/2013, 22:53
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view post Posted on 9/1/2013, 23:26
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Bravo Byrne,hai fatto una gran bella descrizione.Grazie a mio papà io ci sono cresciuto con i Doors,a tre anni in camera mi aveva messo un poster di Jim con la corona di spine,che matto!Pensa che il mio "vecchio" ha tutti i dischi originali dato che negli anni 60 lavorava in radio,non ti so dire quanto ci tenga,c'è gente che ha cercato di comprarli ma lui non ne ha mai ceduto uno,senza contare che la collezione è enorme dato che c'erano un'infinità di altri gruppi.Quanto mi piacerebbe essere stato li in quegli anni!Un grande gruppo che secondo me non molti sanno apprezzare nel modo giusto.A me piaciono in particolare le canzoni meno comuni come Blue Sunday,You're lost little girl,Black train,ecc..anche se non disdegno affatto le classiche,ma se devo scegliere tra Light my fire e Ghost Song,scelgo la seconda,poi ovviamente ognuno ha le sue preferenze!Dopotuttto sono stupende anche le loro cover,il loro sound è inconfondibile!Altro che i gruppetti di adesso :sick:
 
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view post Posted on 10/1/2013, 14:07
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Ti odio ed ammiro per i dischi originali, io ce li ho in vinile ma sono tutte riedizioni tranne Strange Days. Anche secondo me ci sono molte loro belle canzoni semisconosciute, e nella mia classifica dei loro pezzi Light My Fire figura negli ultimissimi posti.
 
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view post Posted on 11/1/2013, 21:18
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Locandina di The Doors (1991) di Oliver Stone con Val Kilmer, film-biografia sul gruppo che più propriamente si concentra sul magnetico Morrison. Ben diretto, ben interpretato, musiche (quelle originali del gruppo, alcune cantate da Kilmer stesso) ben utilizzate, ottime scene di massa, spettacolare e realmente folleggiante. Ma pecca ignobilmente di poca aderenza all'uomo Morrison, finendo per descrivere anzichè un artista acuto ed ironico un ubriacone esagitato che (queste le parole del tastierista dei Doors Ray Manzarek) "in tutto il film non si vede nemmeno una volta sorridere".



Questa fotografia invece è stata usata per le locandine di When you're strange (2009) di Tom DiCillo, trascinante ed appassionato documentario zeppo di filmati ed immagini inedite, efficace sia nella descrizione del lato musicale che di quello poetico-intellettuale-filosofico del gruppo, molto più potente del film di cui sopra nell'immergerci negli anni '60 e nella loro follia. Nella versione originale la voce narrante appartiene ad un Johnny Depp percettibilmente orgoglioso del suo ruolo, in Italiano a Morgan.
 
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view post Posted on 16/1/2013, 13:57
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Un po' alla volta recensirò i loro album..

T H E D O O R S



anno: 1967

Voto: 10 ( a mio parere unico album nell'intera storia del rock a meritare questo voto assieme a Andy Warhol dei Velvet Underground)

Il primo album della band losagelina è uno degli esordi più fragorosi e bizzarri che si ricordino forse l'unico in cui la loro istintività tanto originale e inquietante viene espressa in pieno, senza limitazioni di sorta. Album di (forse apparenti, comunque vincenti ed ammalianti) contraddizioni: blues acido e stridulo e rock crepuscolare, l'ombra del jazz e della psichedelia (più sbeffeggiata che abbracciata, non fate mai l'errore di considerare i Doors come figli dei fiori o sessantottini), classicismi barocchi e violenza sonora e poetica. Da questo album viene almeno metà del successo dei Doors, che seppur sfornando un altro capolavoro e diversi buoni album non riusciranno mai più a ripetersi a questi livelli.

Side A

-Primo pezzo, ed è già un pugno nello stomaco: Break On Through (to the other side) è un rock raffinato e allucinato, propulsivo e d'atmosfera. L'elemento blues-rock è dato soprattutto dalle linee di basso di Manzarek e dalla chitarra di Krieger, ma Manzarek sfodera anche un assolo d'organo davvero fulminante che spazza via qualsiasi dubbio di banalità. A farla da padrone comunque è il declamare di Morrison, grave e stentoreo nelle strofe, rauco e rabbioso nei ritornelli, sostenuto ed accompagnato da una batteria che vira sulla bossanova.
Il testo è un'esortazione ad abbattere le barriere preimposte (lo stesso che ritornerà in modo ben più incisivo ma meno accessibile in The End), ad oltrepassare il varco che divide il noto dall'ignoto, a darla vinta alla curiosità ed al lato selvaggio. Il nome dei doors viene infatti da una celebre frase di Blake: "Se le porte della percezione fossero spalancate, tutte le cose apparirebbero quali sono in realtà. Infinite". Frase ripresa da Huxley nel suo celebre saggio "Le porte della percezione" sull'esperienza mescalinica, e che condensa i propositi della band in maniera esemplare, esattamente come Break on Through. Mai nessun primo brano ha dato una visione così ampia del percorso di una band e del suo progetto artistico, e guai se sento dire "Welcome to the Jungle".
-Soul Kitchen, pezzo in apparenza più leggero ed innocuo, è in reltà foriero di un messaggio non dissimile, qui intuibile, sotto il tappeto ritmico d'organo e l'orecchiabilità del tutto, solo dalla frase "learn to forget", "impara a dimenticare", nuova e più smaliziata esortazione ad andare oltre le convenzioni.
-Poi arriva uno dei capisaldi del disco, una di quelle canzoni che (modesto parere del sottoscritto) sono in grado da sole di tirare su un album non eccelso (e questo per fortuna è un capolavoro), come Space Oddity di David Bowie salva il disco omonimo: The Crystal Ship. Tappeto musicale e ritmico di insolita dolcezza, con un breve splendido passaggio di pianoforte nella parte centrale, cantata con un fare romantico che ricorda più le seduzioni di un demonio che quelle di un amante innamorato. Zeppa di suggestioni nordiche (prima tra tutte l'immagine che dà il titolo al pezzo, il "Veliero di Cristallo"), ovattata ed inquietante, una nenia baritonale e priva di qualunque elemento melenso, semmai malsana ma tremendamente affascinante e stordente.
-Twentieth Century Fox, gioco di parole sulla celebre casa di produzione cinematografica, è il primo dei ritratti femminili della galleria dei Doors, volutamente ridondante (la protagonista sembra alquanto kitsch), trascinante e piacevole all'ascolto.
-Arriviamo così alla prima delle due cover presenti nell'album: Alabama Song (Whisky Bar), risalente al 1927, scritta nientepopòdimeno che da Bertold Brecht e musicata da Kurt Weill. Brano simbolo dell'infatuazione letteraria e teatrale di Morrison, nella versione dei doors assume sfumature malinconiche e decadenti nel cantato, ma anche una certa allegria musicale che ben si adatta all'atmosfera decisamente poco sobria del pezzo e dell'album. Tanti artisti, seguendo il loro esempio, ne eseguiranno versioni più o meno valide, ma nessuna si avvicina al valore di quella dei Doors.
-Il lato A termina (nel migliore dei modi) con Light My Fire, prima canzone scritta da Robbie Krieger, una filastrocca dal successo esplosivo colorata ancora una volta dall'organo e dalla batteria ed interpretata ( anche se un poco controvoglia come tutti i brani di Krieger) da un Morrison in stato di grazia che involontariamente scolpisce la propria immagine di dio del rock e del sesso, a lui tanto odiosa. Che si sia d'accordo o no, è storia del rock e, perchè no, anche un gran bel pezzo..

Side B

-Back door man, seconda cover, è invece l'appassionata dichiarazione d'amore di Morrison e Manzarek per il blues. Cover davvero di lusso di un brano del bluesman Willie Dixon, decisamente (quale termine migliore?) incisiva.
-I Looked at You, unico momento debole dell'album, tratta banalmente di un'inarrestabile storia d'amore. Non che sia una brutta canzone, o che sia suonata o registrata male. Solo che è di infima importanza rispetto al resto. Si vede che Morrison quel giorno era indispettito, innamorato no di certo.
-Ci si dimentica in fretta di questo piccolo neo nel momento stesso in cui inizia il brano successivo: End of the Night è un pezzo di assoluto valore, breve, lento senza essere noioso, gemello di The Crystal Ship nella portata emozionale senza in alcun modo ricalcarne la musicalità o il messaggio, organo indeciso e spettrale, chitarra acuta e vagamente Hawaiiana, batteria che riesca a dare valore aggiunto in fatto di senso del drammatico, voce carezzevole, apertura finale che strizza l'occhio alla classica, testo crepuscolare.
-Take It As it comes è ciò che Light My fire non riesce ad essere: un brano sensuale ma non ridondante, orecchiabile ma non banalmente pop, avvolgente come pochi, trascinante e ritmato con decisione. Ultimo raggio di positività prima della Fine.
-The End. Un nome che va ben oltre l'essere un semplice titolo. Nessuna (nessuna!) canzone, ne' prima ne' dopo il brano finale di questo disco ne ha, nemmeno alla lontana, la portata visionaria, la viscerale disperazione, il lucido delirio, lo "sconvolgimento deciso e razionale di tutti i sensi" tanto auspicato da generazioni di poeti. Morrison secondo Morrison, aedi e rapsodi, Apollo e Dioniso, simboli fallici e teatro, violenza estremizzata ed ironia delicata, immagini classiche e romantiche, orrore e sommo tentativo di catarsi (riuscito?). In sottofondo una chitarra ipnotica e l'organo, più funereo che mai, le percussioni impazzite come il testo stesso. Che inizia con il lasciarsi di due amanti, per farsi progressivamente sempre più malsano e terrificante, sviluppandosi in un monologo che riprende il dramma di Edipo Re e della sua vita d'incubo, accompagnato da una serie di squarci di deserto, morte, sessualità, ebrezza, per arrivare agli estremi versi "Father..Yes, son? I wanna kill you. Mother? I want to..fuck you!!!" che suscitarono tanto scandalo quando il poeta li improvvisò in un'esibizione dal vivo divenuta leggenda, ma che sono sincerità distillata ed intelligenza incisa su vinile. Uccidere il padre: tagliare tutti i ponti, liberarsi, spezzare le catene dell'educazione e della razionalità. Congiungersi con la madre: abbracciare la vita e l'istintualità, abbandonarsi all'ebrezza. Scandito da un satiro imprigionato nel rock, qui veramente al suo apice artistico ed intellettuale, senza alcun freno inibitorio a sciuparne il folle e sincero cerimoniale. Non per niente Francis Ford Coppola, compagno di classe di Morrison all'università di cinema U. C. L. A., incluse la canzone in due scene simbolo del suo capolavoro Apcalypse Now, non un film sul conflitto in Viet Nam, ma un film immerso nell'Orrore.
 
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view post Posted on 21/5/2013, 13:46
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Oggi, all'età di 74 anni, Ray Manzarek ha perso la sua battaglia contro il cancro. Non che sia mai stato perfetto, nemmeno artisticamente, più volte si è visto demolire da riviste pianistiche specializzate. Poi le liti col cantante sul palco, in cui i due scoprivano di essere agli antipodi da un punto di vista intrettenitivo e funzionale, quelle per l'uso delle canzoni a fini pubblicitari, gli strascichi di polemiche con Densmore per lo sfruttamento del nome della band dopo la morte di Morrison (e il buon John aveva nettamente ragione). Eppure questo Proteo dell'organo era capace di dare un volto a una canzone, di colorare una melodia con nuovi ed esotici echi, di abbandonarsi ai ritmi del gruppo tanto quanto gli altri con le scarne linee di basso che suonava senza guardarle. Il classicista con gli occhi sempre al blues. Ciao, Ray.



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