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Sotto la luna del cacciatore

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Aesìr
view post Posted on 1/9/2018, 17:19




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And remember, when we talk of the fittest, it is all about the context
Sure, the lion is king of the jungle but airdrop him into Antarctica and he's just a penguin's bitch

- Dennis Mille



Sebastian de Rosa stava correndo, la mano stretta in quella di Alexa.
Nelle loro orecchie echeggiava ancora l'esortazione di Weyland: il vecchio, sapendo che non ce l'avrebbero mai fatta a portare in salvo anche lui, aveva generosamente deciso di sacrificarsi per rallentare la creatura che li inseguiva. Ma quanto tempo poteva comprare loro un fragile uomo arrivato ormai al termine della sua vita?
Era strano come la prospettiva cambiasse a seconda della situazione: in un altro momento avrebbe dato un braccio pur di poter essere in quella piramide, per far scorrere le dita lungo quei bassorilievi che ora non degnava di uno sguardo e cercare di interpretare quei geroglifici che scorrevano davanti ai suoi occhi. Era il coronamento di una carriera, la rivincita sui professori che lo avevano deriso quando aveva sostenuto la tesi di antiche civiltà che avevano ricevuto visite da specie extraterrestri.
Quando però si era trovato veramente davanti un alieno, l'aveva visto falciare uomini armati come grano, quando aveva provato a colpirlo con tutte le sue forze ed era stato come cercare di abbattere un muro di mattoni, e quando la creatura l'aveva preso per la gola, sollevandolo alla sua altezza, nel riflesso del visore della fredda maschera aveva visto la propria morte. E di colpo il riconoscimento diventava meno importante, quando pensava che doveva la propria vita ad un altro mostro che aveva attaccato il primo, intrecciandolo in una lotta che era la stessa, ripetuta come un motivo, delle decorazioni murarie.
Poteva sentire i passi dell'alieno dietro di sé e questo significava che Weyland era morto, forse invano dato che la creatura stava guadagnando terreno nonostante il loro vantaggio, e allora non c'era più tempo per pensare, soltanto per correre, perché avevano rubato le armi agli dei e il loro atto di hybris non sarebbe stato perdonato.
Non appena mise piede nella stanza lo sentì: i dieci minuti erano passati, la piramide stava cambiando nuovamente conformazione. E, per grazia di qualche divinità – sicuramente non quelle che adoravano i costruttori di quel posto – una lastra di marmo si stava chiudendo fra loro due e la creatura. Ma non era sufficiente, poteva ancora raggiungerli e ucciderli con facilità, e allora si trovò a sorreggere Lex perché scivolasse nel pertugio che si stava rapidamente chiudendo fra quella e la stanza successiva, un atto di cavalleria che gli sarebbe probabilmente costato la vita, e poi di nuovo dietro la ragazza, con la lastra di pietra che si avvicinava inesorabilmente al soffitto e diventava difficile respirare e la mano di Lex che lo afferrava e lo tirava ma non sarebbe bastato...
All'ultimo istante, forse comprendendo che non sarebbe riuscito a raggiungerli, la creatura scagliò loro contro un'arma. Sebastian si ritrasse d'istinto e fu questo che gli permise di scivolare fuori dal passaggio. Batté le palpebre per liberare gli occhi dalla polvere e qualcosa gli cadde sul palmo della mano: capelli. La lama li aveva accorciati di un paio di centimetri buoni. Un secondo solo di ritardo e gli avrebbe fatto lo scalpo. Due secondi, e gli avrebbe diviso a metà la testa.
“Sto... sto bene”, rispose alle concitate richieste di Lex, rialzandosi lentamente. Erano al sicuro, per il momento... posto che non ci fossero altre di quelle creature né mostri neri nei dintorni. La ragazza sollevò la torcia ad illuminare l'arma che era stata scagliata loro contro: un disco di metallo da cui si protendevano sei lame, curve e affilate come strumenti chirurgici, tirata con tanta forza da conficcarsi saldamente nel muro. Un ricordo del fatto che per il momento potevano essere al sicuro, ma che presto i mostri li avrebbero trovati di nuovo.
Dopo essersi assicurata della sua salute, la guida si era avvicinata ad una feritoia tra la stanza che occupavano e quella che avevano appena lasciato. Sebastian avrebbe voluto dirle di stare indietro, la creatura avrebbe potuto tirar loro addosso un'altra arma, ma quando Lex lo chiamò vide che era altrimenti occupata. Nel minuto scarso che avevano trascorso a ricomporsi aveva avuto tempo di uccidere uno di quegli altri mostri, quelli simili a serpenti, e in più una bestia rivoltante che pareva una mano fornita di coda. Si era chinato sul corpo dei nemici sconfitti e si era tolto la maschera che gli copriva il volto. Sebastian si allungò in avanti, morbosamente curioso nonostante l'orrore che quel metallo poteva aver celato, ma fra la posa della creatura e l'illuminazione non riuscì a scorgere molto: solo che era dello stesso colore maculato della sua pelle e che aveva qualcosa attorno al viso, attorno al quale spiovevano lunghi e spessi capelli.
L'alieno strappò un dito ad una delle sue prede e lo passò sulla maschera, lasciandovi uno sfregio, poi, con sua sorpresa, ripeté il gesto sulla propria fronte, fremendo.
“Cosa sta facendo?”, domandò Lex.
Certo, era lui l'archeologo, l'esperto, no? “Spesso gli antichi guerrieri si marchiavano con il sangue delle loro prede”, rispose, mentre nella sua mente i pezzi andavano lentamente al loro posto. “È un rito di passaggio.”
Temporaneamente dimentico dell'alieno, della ragazza, di tutto il resto, alzò lo sguardo ai geroglifici che coprivano il soffitto. Con qualche difficoltà, riusciva a decifrarli, comando a senso i vuoti. Ed eccola lì, al di là da ogni dubbio o possibilità di mal interpretazione, la conferma delle sue teorie e la smentita della storia ufficiale: il racconto di come quegli extraterrestri avessero trovato in tempi antichi la Terra, di come avessero istruito l'umanità nelle arti, di come fossero adorati come dei. Di come periodicamente esigessero un tributo per perseguire lo scopo per il quale erano giunti fin lì: dare la caccia ai serpenti neri, la più letale delle prede. Di come il marchio fosse un segno del superamento del rito e di come il fallimento comportasse l'annientamento di ogni forma di vita presente nelle vicinanze.
Spiegava tutto, perfino come mai i satelliti di Weyland avessero rilevato l'attività della piramide: non c'era più una civiltà, nell'Antartico – anche se poteva esserci stata in tempi antichi, quando il continente era sgombro dai ghiacci. Le scritte che aveva decifrato in precedenza gli scorrevano davanti agli occhi: essi diedero la propria vita affinché la caccia avesse inizio. Quindi...
“L'aumento di calore serviva ad attirarci qui. Era tutta una trappola. Hanno bisogno di noi: senza di noi non ci sarebbe nessuna caccia.”
Fece scorrere lo sguardo tutto attorno a sé: i resti di una civiltà che venerava quegli alieni e le creature che predavano. Ogni angolo, ogni superficie era ricoperto dalla loro effige e davanti a loro c'era un'immensa porta di metallo smaltato con impresso il volto dei cacciatori. Ma i tempi in cui gli esseri umani li adoravano erano passati. Quegli alieni non potevano permettersi che si venisse a sapere delle loro scorrerie sulla Terra. Comprese che era inutile contattare la squadra in superficie, che – se non erano già morti – lo sarebbero stati a breve e che lui che Lex sarebbero stati uccisi per impedire di rivelare a qualcuno quel segreto.
Fece scorrere amaramente lo sguardo sul disco intagliato: forse quegli extraterrestri erano intelligenti, ma non erano meno selvaggi dei mostri a cui davano la caccia.
“Quando quella porta si aprirà, moriremo”, disse, amaramente.
“No, se faremo la cosa giusta.”
Sebastian si voltò: Lex era rimasta silenziosa mentre rimuginava, ma nel frattempo doveva aver fatto anche lei i suoi calcoli.
“Che cosa vuoi dire?”
“Questa piramide è come una prigione”, spiegò la ragazza. “Abbiamo portato via le armi alle guardie e ora i prigionieri sono liberi. Non hanno queste... pistole, o qualunque cosa esse siano, perché recuperarle è parte del rituale, ma noi abbiamo interferito. Se vogliamo ristabilire l'ordine dobbiamo restituire le armi alle guardie.”
Gli parve un'idea folle: il cacciatore li avrebbe uccisi nello stesso momento in cui se li sarebbe trovati davanti, quindi avrebbe proceduto a riprendersi l'arma dai loro cadaveri. Non c'era da aspettarsi nessuna pietà da loro: ricordava fin troppo bene la parete costituita interamente da teschi umani. Quanti erano morti per entrare a far parte di quella decorazione?
“Durante una caccia, le prede non armano i loro cacciatori...”
“Non siamo noi le prede”, sottolineò Lex, lentamente, come se stesse parlando ad un bambino spaventato. “Siamo in mezzo ad una guerra. Dobbiamo decidere da che parte stare.”
Per Sebastian, era fin troppo chiaro da che parte stare: da quella degli umani che si erano trovati richiusi contro la loro volontà in un'arena galattica. Ma, quando glielo disse, la guida scrollò la testa: “Dobbiamo tenere in considerazione la possibilità che potremmo non uscire vivi di qui. Ma dobbiamo assicurarci che quei mostri non raggiungano la superficie.”
Dalla parte degli esseri umani, dunque, di tutta l'umanità e contro i mostri neri, con i cacciatori come alleati. Ammesso che quella creatura accettasse un'alleanza o che un simile pensiero potesse anche solo passarle per la testa...
“Il nemico del mio nemico... è mio amico?” Disse, incredulo. Non aveva grande esperienza di lotte tribali, nella sua professione, ma la tendenza gli sembrava piuttosto che i nemici – tipo i finanziatori che negavano all'improvviso i fondi – restassero tali.
Ma Lex annuì e, con un meraviglioso tempismo, si aprì una porta: non il grande disco, ma una sottile strettoia dal lato opposto.
Lex sorrise: “Andiamo a cercare il nostro amico.”

- - -

Lo yaut'ja era irritato.
Quella caccia era stata un disastro fin dal principio. Dubitava che persino gli anziani che da secoli supervisionavano i riti di iniziazione avessero mai preso in considerazione l'idea che gli umani potessero rivelarsi un problema. E invece, mentre eliminava assieme ai suoi compagni la squadra lasciata in superficie – niente di personale, ma non potevano permettersi di lasciare tracce – gli umani avevano raggiunto il sarcofago contenente i plasmacaster e glieli avevano sottratti, attivando la prova. Il che significava che le serpi erano state lasciate libere di svilupparsi quando ancora i cacciatori erano relativamente disarmati. I suoi due compagni erano periti mentre attaccavano gli umani e probabilmente anche lui avrebbe fatto la stessa fine, se non avesse deciso di stare il più possibile incollato al plasmacaster. Questa possibilità gli era ora preclusa: le prede erano riuscite a sfuggirgli e aveva anche perso un'arma nel tentativo di fermarle.
Mentre stava fermo al centro della stanza, le appendici sensorie attorno al suo capo scansionavano l'ambiente, un residuo di un senso molto più sviluppato che milioni di anni prima aveva consentito ai suoi ancestrali predecessori di farsi strada in un mondo violento. Percepiva la presenza della serpe che strisciava lungo il muro, cercando di prenderlo alle spalle, inconsapevole di aver già perso la sua battaglia. Mentre decideva il modo migliore di eliminarla senza correre rischi inutili, un rumore di zampette su pietra lo mise all'erta. Era leggero, quasi inudibile, ma non gli era sfuggito. La larva delle serpi aveva commesso l'errore di dargli un secondo di vantaggio: e un secondo non era poco, era un'opportunità di colpire. Così, mentre la creatura spiccava il balzo, lanciò uno shuriken verso di lei.
La mira fu perfetta, il tiro preciso e la larva venne tagliata in due. Lo yautja afferrò il disco mentre le due estremità della creatura cadevano per terra, contorcendosi ancora. La serpe doveva aver deciso che quella distrazione costituiva il momento buono per attaccare, perché strisciò silenziosamente giù dal muro.
Lo yautja non fece nulla, aspettando che si portasse alla sua altezza. Quindi si voltò e le staccò di netto la testa. Le lame dello shuriken erano affilatissime e recisero il carapace senza incontrare praticamente resistenza. Il taglio fu così preciso e subitaneo che al corpo della serpe occorse qualche secondo per rendersi conto di essere morto e cadere al suolo, prima il cranio e poi il resto.
Lo yautja rimase in piedi, all'erta, ancora per un istante, ma dentro di sé era soddisfatto: aveva ucciso ben due delle prede più micidiali che potesse incontrare, nel giro di pochi secondi, senza riportare alcuna ferita e senza usare le armi ad energia. Decise che avrebbe usato quell'uccisione per marchiare il suo bioelmo, dato che difficilmente avrebbe potuto conseguire qualcosa di altrettanto perfetto durante quella caccia, e così fece, staccando le prese che sigillavano la maschera al suo volto. L'aria della piramide sapeva di polvere e di neve e del sangue delle serpi. Lo yautja si chinò, spezzando un dito alla sua preda più grande. L'acido ossidava in fretta dopo la morte, ma era ancora abbastanza caustico di marchiare sia il bioelmo sia la sua fronte. Il brivido che lo attraversò nel passare la sostanza corrosiva sulla sua carne fu parimenti di dolore e di piacere: adesso era un novizio, la sua prova era conclusa. Tutto quello che doveva fare era portare la pelle fuori da lì.
Fu mentre si alzava e sigillava nuovamente la maschera che lo sentì. Zampe su pietra. Ancora. Le larve non avevano certo fantasia nella loro tecnica, e perché avrebbero dovuto? Erano solo vettori dell'embrione alieno che portavano al loro interno. La creatura balzò verso di lui e questa volta non ebbe il tempo di tirare lo shuriken, ma riuscì ad interporre una mano fra la sua gola e la coda della larva, impedendole di stringerla. La larva era forte, ma lui non era da meno. Le zampette si aggrappavano frenetiche alla superficie liscia della maschera, ma non riuscivano a fare presa e il suo cavo orale era protetto dal metallo.
Lo yautja si mosse di scatto, sbattendo il cranio come facevano i suoi antenati nelle lotte per il territorio, ma non contro quello di un suo simile, bensì contro la parete, stordendo momentaneamente la larva. Quando fu certo che la sua presa fosse salda, fece scattare i sigilli della maschera, allontanando il suo viso dalla creatura frenetica, che istintivamente avvolse la coda sul braccio che stringeva il bioelmo. Lo yautja aveva pochi secondi, ma sarebbero stati sufficienti: con un gesto raggiunse il pugnale che portava lungo la gamba ed inchiodò la larva al muro, per poi strappare la maschera dalla sua presa. Le zampe si contorsero inutilmente, cercando un bersaglio, la coda si strinse con forza attorno al suo braccio, ma dopo qualche attimo si rilassò e si srotolò, mentre gli arti si immobilizzavano.
Lo yautja ruotò due volte il pugnale, tanto per sicurezza, allargando e approfondendo la ferita, poi fece leva sulla parete per estrarlo di colpo. Mentre si rimetteva la maschera e la sua visione evidenziava i corpi delle due larve e della serpe, un ringhio di disprezzo gli sfuggì dalle mascelle.
Ora doveva solo trovare i due umani.
E fargliela pagare.


- - - - - -
Ciao a tutti! Dopo... quanti?... anni riprendo a scrivere su Alien e Predator. Questo lavoro se ne stava seduto nella memoria del mio PC da un pezzo, ho deciso di pubblicarlo per seguire l'uscita di The Predator. Con il quale non ha niente a che fare, mi dispiace: è una trama che parte da AVP ma, come avrete notato, comincia subito a cambiare le carte in gioco. Perciò non aspettatevi una trasposizione del film. L'appuntamento (salvo problemi) sarà a cadenza settimanale. Buona lettura e, se vi piace, lasciate un commentino, che non fa mai male :)

Edited by Aesìr - 2/9/2018, 11:58
 
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view post Posted on 1/9/2018, 21:38
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PRESCELTO DELLA STIRPE

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Oh! Una fan fiction by Aesìr nel suo elemento naturale: AVP :)

Interessante questa rivisitazione "What If" del film. Mi piace come cerchi di entrare nella psicologia dei personaggi per dargli una forma un po' più profonda. Anche il punto di vista di Scar non è male, e il gergo di Aliens vs. Predator 2010 è ben azzeccato. Curioso di sapere come si evolverà la faccenda. Tienici aggiornati :)
 
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Aesìr
view post Posted on 2/9/2018, 10:55




Grazie! Aggiornamento alla prossima settimana, intanto un po' di dettagli:

1) Il termine yaut'ja: non mi fa impazzire, ma è per variare ed evitare di ripetere sempre le stesse parole (una cosa che odio). Avrei potuto usare anche Hish o inventarmi qualcosa, ma questo era immediatamente comprensibile a tutti, quindi tanto vale. Yautja è stato usato per la prima volta nel mediocre (per non dire peggio) romanzo Aliens vs Predator: Prey di Steve Perry (1994) e da allora si è imposto. Non sono riuscito a risalire all'origine del termine apostrofato, ma lo preferisco.
2) I capelli come appendici sensoriali: una teoria personale, bisogna pur spiegare perchè il predalien le eredita e l'ipotesi è buona come un'altra.
3) I predator che si prendono a testate: di nuovo, una teoria per spiegare la possibile funzione delle creste sul capo. Se queste creature si sono evolute in un mondo dove vigevano le stesse regole della Terra, dovrebbero essere "smontabili" nelle loro caratteristiche (a grandi linee, poi non è proprio sempre così).

Edited by Aesìr - 2/9/2018, 12:13
 
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view post Posted on 2/9/2018, 12:05

CAMPIONE DELLA SPECIE

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Aesìr
view post Posted on 3/9/2018, 12:26




Grazie.
 
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Aesìr
view post Posted on 8/9/2018, 13:30




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He who has a thousand friends has not a friend to spare
and he who has a single enemy will meet him everywhere

- Ronald Waldo Emerson



“Come si dice scared shitless in italiano?”
Nonostante avesse cercato di tenere basso il volume, il suono della sua stessa voce fu sufficiente a far sobbalzare Alexa. Non avevano parlato molto da quando avevano preso la decisione di restituire al cacciatore la sua arma. Non che ci fosse molto da dire. In più poteva darsi che, stando in silenzio, non avrebbero attratto nessuna di quelle creature. Non che nessuno dei due ci credesse davvero.
“Non vedo l'ora di essere fuori da questa piramide con te perché mi sto cagando addosso”, rispose Sebastian. “Più o meno.”
Erano decisamente più parole di quante Lex si sarebbe aspettata e una parte di lei si domandò se l'uomo non la stesse prendendo in giro. Subito dopo se ne dimenticò: non le importava così tanto di una risposta chiesta solo per spezzare la tensione.
All'improvviso Sebastian si fermò, pietrificato: “Aspetta... hai sentito anche tu?”
No, non aveva sentito, prima, ma ora che aveva teso l'orecchio poteva udirlo anche lei: un sibilo, come di un serpente gigantesco. Riecheggiava nei condotti, rimbalzando sulle pareti. Si voltarono entrambi verso le profondità della galleria da cui erano venuti, in tempo per vedere una coda inarcarsi graziosamente dal soffitto.
“Corri!”
Non avrebbe saputo dire se l'esortazione fosse stata pronunciata da lei, o da Sebastian, o da entrambi. Erano come dei topi in un labirinto... e il gatto li aveva trovati. Corse come non aveva mai fatto in vita sua, certa che la creatura avrebbe potuto raggiungerla in pochi istanti. Corse senza nemmeno controllare se Sebastian era al suo fianco, dietro o davanti a lei: non per egoismo – non c'era il tempo di pensare – ma per puro e semplice istinto di sopravvivenza. Corse, i piedi che martellavano ritmicamente sul sulla pietra della pavimentazione, e assieme ai suoi i piedi di Sebastian e, sotto tutto, quasi inudibile, la bestia che li inseguiva. E poi, di colpo, il suolo scomparve davanti ai suoi occhi.
Era stato un ponte, prima di crollare – secoli o millenni prima. Ora era una voragine senza fondo che minacciava di inghiottirla.
Saltò.
Non fu abbastanza. Era rimasta senza fiato per la corsa? Avrebbe avuto bisogno di più spazio per prendere lo slancio? I blocchi erano stati indeboliti dal passaggio di Sebastian? Non importava: stava cadendo. Le sue mani afferrarono i mattoni, scalzandoli uno dopo l'altro, i suoi piedi si agitarono convulsamente alla ricerca di un appiglio. Sapeva di poter contrastare la forza di gravità che l'attirava verso il basso solo per pochi secondi ancora, e che non sarebbero stati sufficienti. Di nuovo fu l'istinto, più che la ragione, a farla gridare mentre perdeva la presa per l'ultima volta... e poi le mani di Sebastian si chiusero attorno alle sue.
All'ultimo secondo, come nei film. Il sollievo la travolse come un'ondata, tanto che rischiò nuovamente di cadere. Alzò lo sguardo per ringraziare l'archeologo... e spalancò gli occhi per l'orrore nel vedere un altro di quei mostri proprio dietro di lui. Un istante dopo anche Sebastian se ne accorse, ma era ormai troppo tardi. Per un attimo furono le mani di lei a trattenerlo, poi le fu bruscamente strappato. Lex era sicura che avrebbe ricordato per tutta la vita – che poteva essere molto, molto breve – il terrore nel suo sguardo mentre veniva trascinato via dalla bestia.
In mano le restava un'unica cosa: il tappo di Pepsi Cola che l'uomo portava al collo, trovato ad appena un passo dallo strapiombo. E la paura: fra il salto e il mostro, si sentiva in un bagno di sudore: che quelle creature potessero identificarla con l'olfatto? Era un pensiero alquanto inquietante, soprattutto perché non poteva farci nulla. Chiamò il nome di Sebastian un paio di volte, ma le rispose solo il silenzio.
Era sola.

Alexa Woods aveva fatto conoscenza molte volte con la paura, anche a voler considerare soltanto quella giornata. Aveva perso il conto delle volte che era stata ad un passo dalla morte. Nonostante questo, scoprì che essere sola portava il terrore a livelli completamente nuovi. Era irrazionale, lo sapeva bene: non era stata più al sicuro in compagnia di Sebastian – o dell'intera spedizione, dato che, per quanto ne sapeva, a quel punto erano tutti morti – ma avere qualcuno accanto in qualche modo smorzava la sua inquietudine. Adesso ogni ombra poteva essere uno di quei mostri oppure l'altra creatura, quella che stava cercando. Che avrebbe potuto ucciderla ancora prima che se ne accorgesse. Avrebbe fatto volentieri a cambio con il tizio di quella leggenda greca: almeno il suo labirinto non cambiava forma e il minotauro era uno solo.
Abbassò lo sguardo: il display a cristalli liquidi del costoso cronografo doveva essersi rotto in qualche momento della fuga. Ora non aveva né bussola né orologio per predire i cambiamenti di forma della piramide. Si lasciò sfuggire un singhiozzo. Se aveva pensato di aver toccato il fondo...
Non avrebbe saputo dire cosa l'avesse spinta a voltarsi, perché non aveva udito alcun suono. Forse soltanto la consapevolezza che le cose erano andate così male che ora potevano solo andare peggio.
Il cacciatore era ad un paio di passi da lei, fermo come una statua. Era colossale: una parte della mente di Lex stimò che doveva avere una stazza almeno doppia della sua. Uno avrebbe pensato che il pavimento avrebbe tremato, sotto il peso di un simile gigante, invece le era arrivato alle spalle silenzioso come uno spettro. Qualcosa nella calma del suo atteggiamento le faceva credere che fosse furibondo: in un altro luogo, in un altro tempo, forse avrebbe ignorato Lex, ma lei aveva commesso il sacrilegio di rubare la sua arma. O meglio, non era stata lei a commettere il crimine, ma sarebbe stata lei a pagare. E comunque dubitava che simili sottigliezze gli importassero particolarmente. Lo vide portarsi una mano dietro la schiena ed estrarre lentamente un cilindro di metallo, che si espanse fino a diventare una lancia dall'aria assolutamente micidiale. Lancia che in un istante fu puntata al petto della ragazza, con un ringhio minaccioso.
Fu il suono, probabilmente, a sbloccare Alexa. La consapevolezza di star per morire mise il moto il sistema nervoso e, prima ancora di poter pensare a cosa stava facendo, si era buttata ai piedi della creatura, supplicandolo con parole incoerenti. La mossa giusta, a quanto pareva, dato che il mostro interruppe il suo attacco per guardarla, in apparenza sorpreso dal suo comportamento. O forse pensa semplicemente che io sia pazza, pensò Lex, ma non importava. Qualunque cosa potesse comprarle un paio di secondi di vita in più.
“Il nemico del mio nemico è mio amico”, ripeté, senza sapere perché lo stesse facendo. Quella cosa probabilmente non parlava nemmeno inglese. Ma se serviva a non farla ammazzare, tanto valeva. Rispetto ai serpenti neri, sicuramente quel cacciatore era il male minore. Con le dita che annaspavano sulle cerniere, aprì lo zaino e tirò fuori l'arma aliena, guadagnandosi un suono che si augurò non corrispondesse ad una condanna a morte...

- - -

Lo yaut'ja aveva seguito in silenzio la sua preda, confondendosi con le ombre senza neanche bisogno del sistema di occultamento. Avrebbe potuto eliminarla a suo piacimento nei precedenti minuti, ma era riuscita ad infastidirlo e a causargli non pochi problemi: per questo doveva vederlo mentre la uccideva.
Sollevò la lancia composita davanti ai suoi occhi terrorizzati: non avrebbe dovuto giocare con le prede, nella sua situazione, ma quell'umana era chiaramente sola e disarmata. Non aveva veramente bisogno della lancia, avrebbe potuto spezzarle il collo con una mano sola, ma la situazione richiedeva la dovuta teatralità.
Ringhiò, tanto spaventarla ulteriormente. Tutto si sarebbe aspettato, a quel punto, tranne che si buttasse ai suoi piedi. Avrebbe potuto cercare di fuggire – nel qual caso le avrebbe lasciato fare qualche passo per poi inchiodarla alle spalle – perché si inchinava? Sapeva che un tempo gli umani veneravano la sua specie, ma quell'epoca era passata. O no? Il gesto fu comunque sufficiente a farlo esitare, dando il tempo all'umana di armeggiare con la borsa che portava sulla schiena.
Lo yautja decisa di lasciarla fare: anche se avesse impugnato un'arma, era sicuro di riuscire ad ucciderla prima che riuscisse a farne uso, e – anche se questa eventualità sarebbe stata l'ennesimo affronto di una caccia iniziata male – era curioso.
Dalla borsa l'umana produsse un plasmacaster. Lo yautja sapeva che l'aveva con sé, la sua maschera gli permetteva di vedere attraverso il tessuto, ma sicuramente non era in grado di attivarlo ed usarlo contro di lui. Decise che le avrebbe concesso un paio di secondi, dopodiché l'avrebbe uccisa e avrebbe recuperato il cannone dal suo cadavere. L'umana continuava a ripetere una frase nella sua lingua, ma l'alieno non le prestò attenzione: era totalmente concentrato sul plasmacaster. Forse comprendendo di star sfidando la sorte, l'altra tacque e fece scivolare l'arma sul terreno, verso di lui.
Finalmente! Ora doveva solo montarlo e poi si sarebbe potuto aprire la via a cannonate fuori da quella piramide e da quel pianeta...
L'umana gridò qualcosa, non capì cosa, ma il tono era di un avvertimento. Un attimo dopo , un colpo lo scaraventò contro la parete, facendogli cadere la lancia di mano...

- - -

Alexa guardò ad occhi sbarrati le due creature collidere come leviatani, sollevando nuvole di polvere dalle decorazioni sbriciolate dal loro impatto. Il cacciatore era finito sotto e aveva perso la lancia, ma con un calcio si liberò del suo opponente, mandandolo a schiantarsi contro il muro di fronte. Il mostro nero sibilò e agitò la testa, cercando la preda più vicina. Che, sfortunatamente, era lei.
Con un ringhio il serpente balzò verso la ragazza, librandosi a mezz'aria come se fosse stato privo di peso. Le dita di Lex trovarono la lancia che il cacciatore aveva lasciato cadere e, mosse più dall'istinto che dalla ragione, la sollevarono di scatto.
Nel millesimo di secondo che spese con la lancia sollevata si sorprese di quanto leggera essa fosse – dato quanto grandi e forti sembravano gli alieni, si era aspettata fosse molto più pesante – poi il mostro nero vi impattò e la ragazza dovette usare entrambe le mani per evitare che la lancia le fosse strappata via. La sentì affondare nel corpo nella bestia, prima facendo resistenza e poi scivolando quando una lama seghettata ne bucò il corpo.
Il mostro si contorse, agitando le mani artigliate. Graffiarono la pietra e Lex dovette abbassare la testa di scatto, ma non la colpirono. Dopo un attimo, il mostro si afflosciò inerte, gravando di colpo con tutto il suo peso sulla lancia. Incapace di sostenerlo, la ragazza fece per abbassarlo... e due fauci dentate scattarono ad un millimetro dal suo naso. C on un certo distacco osservò che quelle bestie possedevano una seconda mascella dentro alla prima, ed era quella che protraevano all'esterno per uccidere la preda. Ma doveva essersi trattato dell'ultimo spasmo, perché finalmente la creatura cedette e Lex riuscì a spingerlo per terra, allontanando il volto dalle sue fauci sbavanti.
Le bruciavano le mani e i muscoli della schiena per lo sforzo di sorreggere il peso della bestia, così, quando vide una luce rossa, si limitò a sollevare lo sguardo. Dalla maschera del cacciatore partivano tre laser che si congiungevano sul volto di Lex. L'arma aveva trovato posto sulla sua spalla e si sollevava minacciosa.
Sto per morire?, si chiese la ragazza. Le sembrava ingiusto: non aveva forse restituito alla creatura la sua arma? Cosa voleva di più?
Le mani le tremavano per la fatica e lo sfinimento e dalla bocca le uscivano piccoli suoni che non erano ansiti né singhiozzi. Era già tanto che fosse riuscita ad uccidere uno dei mostri neri, e non ci avrebbe creduto se non avesse avuto il grembo fradicio della sua saliva, le mani graffiate dall'impugnatura della lancia e le spalle che dolevano per l'impatto; non sarebbe riuscita a far nulla contro l'alieno, anche ammettendo di riuscire a sollevare di nuovo l'arma.
Non seppe mai se il cacciatore l'avrebbe uccisa oppure no, perché il rumore di molti passi – passi che non cercavano neanche di nascondersi, pelle corazzata che scivolava sulla roccia – lo fecero voltare con un ringhio. Tre, cinque... troppi... di quei mostri neri si accalcavano l'uno sull'altro, strisciando lungo le pareti come scarafaggi usciti da un incubo, per cercare di raggiungerli per primi. Erano abbastanza da sopraffare il cacciatore? Probabilmente... prima che riavesse la sua arma. Sotto gli occhi di Lex, il cannone si sollevò sul suo supporto e sparò: una sfera di energia blu volò contro uno dei mostri, riducendolo in brandelli. L'arma tuonò altre volte, senza mai mancare il bersaglio, e altre di quelle bestie precipitarono dal soffitto.
Le creature parvero esitare: l'attacco stava evidentemente costando molte più perdite del previsto. Il cacciatore ringhiò, ostile, e il cannone sulla sua spalla si sollevò di nuovo in una chiara minaccia. Con un ultimo sibilo, gli attaccanti si ritirarono, scomparendo nelle feritoie tra le pareti e sul soffitto, eppure era chiaro sia alla ragazza sia all'alieno che ad essere vinta era solo una battaglia, non la guerra...

- - -

Lo xenomorfo stridette.
L'istinto l'aveva ricondotto al nido, seguendo un richiamo ancestrale trasmesso dai ferormoni della regina. Si era appoggiato al muro, costruendo per sé un bozzolo che lo trattenesse. Lentamente la parte posteriore del carapace che ne proteggeva il cranio si spaccò, lasciando espandersi lobi a forma di foglia. Similmente, le zampe anteriori, posteriori e la coda si allungavano, mentre il corpo, libero dal contenimento del vecchio involucro, poteva espandersi al pieno delle sue nuove dimensioni.
Lo xenomorfo si accasciò sul pavimento, stremato, prima di provare a sollevarsi sulle zampe posteriori, barcollando un poco. Il pretoriano stridette ancora, ma stavolta c'era qualcosa di differente nel suono, qualcosa di più profondo ed echeggiante. Nel giro di qualche minuto il carapace si sarebbe indurito e avrebbe potuto prendere il suo posto, al fianco della regina...

- - -

Una volta chiaro che i serpenti si erano ritirati, Alexa osò spostare gli occhi sul cacciatore, che dopotutto era stato sul punto di ucciderla. Per il momento, però, sembrava aver riconsiderato il suo proposito. Una volta recuperata la lancia dal cadavere del mostro ucciso da lei, si voltò senza dire una parola e si incamminò per il corridoio.
Se mi lascia, sarò sola di nuovo...
Un brivido scese lungo la schiena di Lex e le diede la forza di alzarsi e rincorrere il cacciatore.
“Ehi! Io vengo con te, mi hai capito...”
Ringhiando, l'alieno si voltò così rapido che le appendici simili a capelli gli frustarono il volto. La ragazza arretro, rendendosi conto della follia suicida del suo piano. Spostò lo sguardo a destra, a sinistra, ma non c'erano posti dove scappare o nascondersi. Rassegnata, spinse il mento all'infuori, dicendosi che se non altro quell'essere le avrebbe offerto una morte più rapida dei mostri neri.
Il cacciatore la squadrò da capo a piedi e Lex poteva sentire che la stava analizzando, considerando e infine prendendo una decisione. Rivolse un breve sguardo alla carcassa della bestia uccisa, tornò a guardarla e infine si abbassò di scatto verso il corpo. In un istante aveva estratto un pugnale – così lungo che nelle mani della ragazza sarebbe stato una corta spada – e mozzato la punta della coda del mostro, schizzando sangue tutto attorno. Quindi calò il coltellaccio sulla testa della vittima, separando il carapace nero dai tessuti sottostanti.
“Che cosa stai facendo...?”
L'alieno la guardò, quindi staccò un dito alla creatura morta e fece sgocciolare un po' di sangue sopra la pelle coriacea. Non successe nulla. Subito dopo, strizzò ancora il dito per far cadere il sangue sul pavimento, e subito la pietra iniziò a dissolversi.
Allo sguardo interrogativo dell'alieno, o almeno all'inclinazione del capo che lo sostituiva, Lex annuì. Il sangue dei mostri era un acido e la loro pelle poteva fare da scudo. Un sistema di difesa formidabile: era impossibile far loro del male senza che l'acido schizzasse ferendo anche l'aggressore. Come se non fossero stati abbastanza micidiali di per sé...
Il cacciatore si assicurò che avesse recepito il messaggio, quindi strappò dal muro un'asta e vi legò in cima la punta della coda recisa, realizzando così una rozza lancia, che la ragazza accettò assieme allo scudo fatto con il carapace della creatura.
L'altro parve considerare il suo aspetto, poi si voltò, incamminandosi nuovamente verso le profondità della piramide, questa volta con Lex al suo fianco.






Intanto, devo ringraziare Jack per aver gentilmente fornito la conferma della versione originale della frase in italiano (il doppiaggio l'ha massacrata). Quest'azione gli varrà fama e gloria imperitura (o, almeno, finchè questo lavoro sarà online).
Su questo capitolo non c'è molto da dire, eccetto che inizia a vedersi come sarà costruito il rapporto fra Scar e Lex, con lei praticamente costretta a seguirlo perchè rappresenta il minore dei mali.
Piccola curiosità: l'orologio di Lex, che qui vediamo rompersi, è un Suunto X6M, che, tra l'altro, comprende termometro, barometro, altimetro, clinometro, bussola e allarmi per l'altitudine.
 
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Aesìr
view post Posted on 15/9/2018, 09:11




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E in quei giorni gli uomini cercheranno la morte e non la troveranno,
e desidereranno di morire, e la morte fuggirà da loro

- Apocalisse, 9:6



Aveva ucciso una serpe con una delle loro armi. Lo yautja non sapeva bene come considerare la faccenda e sospettava che fosse quantomeno un terreno instabile anche per le leggi della propria gente. Il gesto faceva dell'umana una di loro? Il desiderio di eliminarla se n'era andato, sostituito da un titubante rispetto. I suoi due compagni erano stati sopraffatti nel confronto con una delle serpi, ma lei, che non era neanche la metà di uno li loro per forza, possanza e ferocia, era sopravvissuta.
E aveva dimostrato coraggio, pretendendo che la portasse con sé nonostante non avesse nulla da offrire se non rappresentare un bersaglio in più per le serpi. Dubitava che avrebbe retto a lungo contro uno di loro, ma poteva fornire la distrazione necessaria per permettergli di finire i suoi avversari senza doversi guardare le spalle. Permetterle di seguirlo poteva non rivelarsi la valutazione più saggia, a lungo termine, ma lo yautja decise che avrebbe affrontato il giudizio dei suoi simili una volta fuori da quella maledetta piramide.
Intanto, l'umana lo seguiva, trasformando il proprio passo in una breve corsa ogni pochi metri per tenere testa alle gambe più lunghe dello yautja, che, dal canto suo, si assicurava che non si stancasse troppo: se doveva combattere al suo fianco, sfiancarla per dimostrare la propria superiorità fisica era solo controproducente.
Da quando aveva recuperato il plasmacaster, in un angolo dell'interfaccia del bioelmo era apparso il percorso per raggiungere la superficie, ed era quella strada che stavano seguendo, nonostante i cambi di conformazione della piramide – che, per quanto caotici potessero sembrare, servivano solo a confondere le prede e non impedivano di proseguire. Lentamente, l'aria si fece più umida e calda. L'umana non cambiò andatura né mostrò in nessun modo di sapere che cosa significasse, ma lui sì, e non poteva dire di essere entusiasta della notizia.
Il percorso passava per il nido.

- - -

Alexa poteva non sapere che il percorso passava per il nido, ma non era stupida. Aveva notato diversi cambiamenti via via che avanzavano: prima una nebbia strisciante, che si insinuava tra le gambe portando con sé un'aria pregna di umidità; poi il calore che aumentava, tanto che ormai stava sudando copiosamente sotto la giacca termica che non osava togliersi; infine ai bassorilievi iniziò a sovrapporsi una strana resina nera e opaca, che serpeggiava sul pavimento e sulle pareti. Ma ciò che più l'aveva messa in allerta era il cambio di atteggiamento del suo compagno: abbandonata l'andatura sicura, si era fatto cauto e circospetto, rallentando al punto che anche lei riusciva a stargli dietro senza problemi. No, Lex non sapeva che il percorso passava per il nido, ma se qualcosa era in grado di impensierire un alieno di due metri e mezzo armato con lame varie ed una pistola a raggi, ebbene, questo bastava a far preoccupare anche lei. Aveva visto il cacciatore scontrarsi con un gruppo dei mostri neri senza mostrare paura, quindi ciò che li attendeva doveva essere perfino peggiore.
Non immaginava quanto.

Fu il tanfo di morte a dargliene un primo assaggio. Portato dalla nebbia, giunse l'odore ferrigno del sangue umano, prima leggero, poi ammorbante via via che avanzavano. Anche l'alieno sembrava essersene accorto, perché si chinò a tastare la resina, come a controllare lo stato di essiccamento. Non parve felice quando gli si appiccicò alle dita.
Momentaneamente ignorando il suo compagno, Alexa fece un altro paio di passi in avanti: nonostante la sua nuova, strana alleanza, non poteva dimenticare gli altri compagni che aveva, il resto della spedizione. Era la loro guida: se qualcuno era ancora vivo doveva fare il possibile per portarlo fuori di lì.
Quando girò l'ultima svolta, il respiro le si mozzò in gola per l'orrore: qualcosa nell'architettura della stanza le era familiare, ma era difficile valutare se l'avesse già vista in precedenza, visti i cambiamenti che doveva aver subito nelle ultime ore: ora la nebbia ne sfumava i contorni e resina nera si arrampicava sulle pareti, ma quel che era peggio erano i corpi umani, appesi alle pareti con le braccia aperte – come crocifissi – e il petto squarciato.
Lo sguardo corse a delle strutture vagamente a parallelepipedo, completamente coperte di resina, e all'improvviso collegò: erano le lastre su cui erano distese le mummie delle vittime immolate. Quelle con il torace sfondato.
Alzò la mano a frenare il grido che le era salito alla bocca.
Era nella camera sacrificale.

La ragazza ansimò. Stava iperventilando, non andava per niente bene. Momentaneamente dimentica del fatto che ben difficilmente sarebbe riuscita a scorgere uno dei mostri neri in quell'ambiente modellato su misura per loro, chiuse gli occhi e si lasciò andare con la schiena contro un pilastro che appariva moderatamente sgombro di resina.
Mentre faceva questo, però, il suo piede colpì qualcosa di solido, di consistenza diversa dalla superficie appiccicosa che la circondava. Riaprì gli occhi e si chinò a vedere cos'aveva calciato: una videocamera, ancora accesa. Mostrava la foto di due bambini.
“Miller!”, chiamò, ma le rispose solo l'eco della sua voce. Si avvicinò, suo malgrado, ad uno dei corpi appesi alle pareti, ed eccolo lì, Graeme Miller, la testa reclinata sul petto squarciato. Ai suoi piedi giaceva una pistola e il corpo sforacchiato dell'essere più schifoso che Lex avesse mai visto, il che non era dir poco contando la sua recente conoscenza con i serpenti neri: una specie di incrocio fra uno scorpione e una mano, dalle dita spaventosamente simili a quelle umane, giallino e coperto di viscidume. Nonostante il disgusto, raccolse la pistola e subito dopo si ritrasse istintivamente da quell'orrenda creatura, ringraziando che fosse morto e pregando che non ce ne fossero altri lì intorno, quando sentì un rumore che non apparteneva a quella stanza.
Un ansito umano.
Qualcuno era ancora vivo! Voltò l'angolo, con una mancanza di cautela che si sarebbe rimproverata, ma in quel momento non le importava. Avrebbe salvato chiunque fosse e poi non sarebbe stata sola in compagnia del cacciatore. Se ne sarebbero andati da quella piramide maledetta e tutto sarebbe stato a posto.
Legato come gli altri alla parete e madido di sudore, ma vivo, c'era Sebastian. Il sollievo quasi la travolse: l'archeologo italiano era stato uno dei pochi ad interessarsi veramente a lei, in quella spedizione, e, sebbene a quel punto avrebbe accolto con gioia chiunque, la sua presenza era doppiamente benvenuta.
“Sebastian...!”, chiamò, terrorizzata al pensiero di alzare la voce.
L'uomo sollevò lentamente la testa. Sembrava incredulo: “Lex...”
“Ti tirò fuori di lì!”, esclamò la ragazza. La resina sembrava resistente, ma forse facendo forza e aiutandosi con la lancia che le aveva dato il cacciatore...
Sebastian scosse la testa, nonostante il gesto gli costasse evidente fatica. “È... troppo tardi...!”, ansimò. “È già... dentro di me...!”
Che cosa è già dentro di te?
Ma proprio stava per chiederglielo, tre punti rossi comparvero sulla fronte dell'italiano. Lex sapeva bene cosa significassero: si voltò e incontrò lo sguardo impassibile dell'alieno. Il cannone si era sollevato sulla sua spalla e puntava dritto contro Sebastian.
Ma la ragazza non voleva sentire ragioni. Non esisteva che gli lasciasse uccidere l'amico, non ora che l'aveva ritrovato dopo averlo creduto morto! Si buttò contro il cacciatore, ben sapendo di non poter nulla in un confronto fisico con lui, che infatti ringhiò e la bloccò dopo un istante, ma abbassò anche la sua arma.
Lex sospirò. In un modo o nell'altro gliel'aveva fatto capire, anche se non sapeva esattamente cosa l'altro avesse compreso. Ma adesso avrebbe tirato fuori Sebastian, e poi ci avrebbe pensato.
“Non devono... raggiungere... la superficie!” Le sue stesse parole la colpirono che una mazza. Lo sapeva. Aveva visto i serpenti, avrebbe fatto qualunque cosa per risparmiare al mondo la loro piaga. Ma cosa...?
“Uccidimi...!”
La richiesta giunse come un fulmine a ciel sereno. Sotto i suoi occhi l'uomo si dibatteva nella sua prigione. Lei non aveva mai sparato a nessuno in vita sua. Non aveva sparato, punto e basta: prima di quel giorno, il ghiaccio era il nemico più pericoloso che avesse mai affrontato, e contro di lui non servivano armi. Ma le urla supplici di Sebastian erano strazianti e poi dal suo corpo giunse un suono rivoltante, che la ragazza si augurò di non sentire mai più: un osso che si spezzava. Dall'interno.
“Uccidimi!”
Lentamente, soffocando un singhiozzo che le montava nel petto e battendo le palpebre per schiarire gli occhi dalle lacrime, Lex sollevò la pistola di Miller, tolse la sicura e, dopo aver mirato con tutta la precisione di cui era capace tenendo conto delle circostanza, fece fuoco.
Il boato della detonazione le parve assordante. Lasciò cadere la pistola, scarica. Di colpo si sentiva la bocca piena di bile e non osava alzare lo sguardo sul corpo di Sebastian. Sapeva che il colpo era andato a segno, dato che aveva cessato di lamentarsi, e tanto bastava. Soprattutto, non voleva vedere che cosa stesse cercando di fuoriuscire dal suo corpo, perché quei suoni non erano diminuiti, ma anzi aumentavano di intensità. Il pensiero fu decisamente troppo: si allontanò e, senza curarsi del cacciatore che probabilmente la osservava, vuotò lo stomaco.

- - -

Lo yautja si domandò perché l'umana avesse esitato tanto.
Gli aveva impedito di porre misericordiosamente fine alla vita di quell'altro umano, quello imbozzolato sulla parete, e lui si era rispettosamente fatto da parte, pensando che volesse personalmente dare la morte al compagno.
Era qualcosa che poteva capire, meno perché, invece di ucciderlo in fretta, sembrasse piuttosto cercare di liberarlo. Non capiva che così prolungava soltanto le sue sofferenze? Nessuno poteva voler sopravvivere con all'interno del proprio corpo un'embrione di serpe, che si sarebbe scavata la strada verso l'esterno uccidendolo fra atroci dolori. L'umano si poteva considerare già morto dal momento in cui le dita della larva si erano chiuse sul suo volto.
Alla fine però si era decisa a fare la cosa giusta, usando la sua arma terrestre per uccidere il compagno. Lo yautja piegò la testa, incuriosito, al suono della detonazione e per poi lanciare un'occhiata all'arma che l'umana aveva scartato.
Nella sua foga, essa aveva scordato un dettaglio, ma poteva occuparsene lui: quando l'embrione squarciò il torace del morto per avventasi sul suo volto, lo yautja lo acchiappò al volo. Piccolo e relativamente debole rispetto a come sarebbe stato da adulto, non aveva possibilità di liberarsi dalla sua stretta. Il cacciatore mantenne la presa per un momento, per poi spezzargli il collo e gettarlo via.
Si guardò intorno: non era stato facile, dato che molti dei cadaveri erano stati parzialmente ricoperti di resina e si erano ormai raffreddati, ma aveva determinato il numero di umani imbozzolati e, quindi, di serpi in libertà, senza contare quelle che sapeva di aver ucciso. Ma la stanza brulicava di uova: attraverso il visore, poteva vedere le larve contorcersi all'interno per raggiungere la posizione di uscita. Alcune iniziavano già a schiudersi.
Male.
In quel momento, un lontano grido di furia belluina gli fece drizzare la testa. Doveva aver sentito qualcosa anche l'umana, perché la vide rabbrividire, chiaramente a disagio. Non poteva fargliene una colpa: il verso della regina delle serpi poteva instillare il terrore anche nel cuore del cacciatore più coraggioso. Con un rapido comando al bioelmo lo yautja ordinò di ripetere la registrazione degli istanti appena trascorsi, in modo da riascoltare il ruggito. Non fece che confermare i propri sospetti.
Malissimo.
Con un ringhio richiamò l'attenzione dell'umana e questa lo seguì, insolitamente docile. Attorno a lei aleggiava uno strano odore acre e dolciastro, ma ora lo yautja non aveva il tempo di indagare. Si augurò che non fosse nulla di debilitante: gli serviva in forze.
Aveva deciso di bonificare la piramide quando si era accorto della camera delle uova: la situazione era fuori controllo, e la bomba avrebbe eliminato tutte le uova, le serpi e la loro sovrana. Il fatto che la regina fosse andata fuori controllo era una situazione abbastanza grave da giustificare il drastico intervento. Il problema principale era la barriera linguistica: come far capire all'umana che dovevano correre se volevano salvare la vita?
Alla fine, batté un dito sul coperchio della bomba, sollevò la mano, la chiuse e la aprì bruscamente. Inclinò la testa, domandandosi se fosse stato sufficientemente eloquente, ma l'umana spalancò gli occhi e, sotto l'odore di ferro e quel puzzo penetrante, sentì una zaffata di paura ed eccitazione.
“È una bomba!”, esclamò. “Spero che faccia fuori tutti quei maledetti figli di puttana...”
Lo yautja non capì una sola parola, ma il tono era rabbioso, e tanto bastava: l'umana aveva capito.
Digitò la conferma sul display del terminale e scagliò l'ordigno in mezzo al nido, quindi si voltò verso la ragazza e ringhiò. Questa volta non ci fu bisogno di traduzione e si misero a correre entrambi.
 
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Aesìr
view post Posted on 22/9/2018, 16:41




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Through these fields of destruction
Baptism of fire
I've witnessed your suffering
As the battles raged higher
And though they did hurt me so bad
In the fear and alarm
You did not desert me
My brothers in arms

- Dire Straits, Baptism of Fire



Ho ucciso Sebastian.
Nessuno avrebbe potuto negare che si era trattato di un atto di pietà: l'archeologo stava soffrendo terribilmente e Lex non aveva potuto fare a meno di vedere – anche se avrebbe preferito di no – la cosa che era uscita dal suo corpo, ma non riusciva a credere che la prima volta che sparava a qualcuno in vita sua fosse per mettere fine alle sofferenze di un amico. Sebastian era un brav'uomo, cortese e intelligente, ed era stato uno dei pochi in quella spedizione a trattarla con gentilezza e ad ascoltare i suoi consigli. Meritava di meglio che morire a seicento metri dalla superficie, con un proiettile in fronte perché l'alternativa era troppo orribile. Avrebbe dovuto lasciar fare al cacciatore, che almeno sembrava farsi meno problemi di lei quando si trattava di ammazzare a sangue freddo. Ma forse facendo così gli avrebbe fatto credere di essere debole? Come si sarebbe comportato, se l'avesse ritenuta indegna della sua considerazione? L'avrebbe uccisa? L'avrebbe abbandonata lì? Non lo sapeva, né lo voleva sapere. Senza di lui, non sarebbe sopravvissuta cinque minuti.
Non le restava più niente nello stomaco da vomitare e, anche se gli occhi pungevano per le lacrime, si era sforzata di scacciarle. Non era al sicuro, non ancora. Dopo, dopo avrebbe potuto piangere quanto voleva, quando quell'incubo fosse finito. Per adesso era meglio continuare a correre e concentrarsi su quello, piuttosto che sulle grida strazianti di Sebastian, sul rumore delle ossa che si rompevano e sulla detonazione della pistola.
Era abituata ad essere una guida, ma ora era lei a seguire, dato che il suo compagno sembrava conoscere la piramide decisamente meglio: sceglieva le svolte senza esitazione e non una volta furono bloccati dai cambiamenti di forma delle stanze. Lex iniziava a riconoscere gli ambienti e, qui e là, riusciva a scorgere anche oggetti che la spedizione aveva abbandonato lungo il percorso: lì una delle costosissime torcia Xenon con cui Weyland li aveva equipaggiati, là un riflettore che, anche se non ricordava, non poteva essere stato portato da altri che loro.
Ogni tanto lanciava un'occhiata al cacciatore: era stata realmente una buona idea allearsi con lui? Dopotutto, ricordava i membri della spedizione che erano stati uccisi dai suoi simili e, se Sebastian aveva ragione, l'intera piramide non era stata altro che un enorme foglio di carta moschicida per attirarli lì e servirsene come animali da riproduzione. Poi ripensava ai mostri neri in agguato nel buio – perché non potevano averli fatti fuori tutti... - e realizzava che il cacciatore poteva non essere esattamente buono e gentile, ma costituiva sicuramente l'alternativa migliore. Sembrava, perlomeno, abbastanza affidabile, visto che non aveva fatto alcun tentativo di ucciderla una volta che lei gli aveva restituito la sua arma, pur avendone abbondanza di possibilità. Le aveva perfino costruito delle armi: Lex dubitava di essere capace di usarle, ma gli doveva almeno la sua gratitudine, se anche l'avesse fatto soltanto per non tirarsi dietro un peso morto. Sospettava inoltre che avesse rallentato apposta il passo per permetterle di stargli dietro, ma quella era solo una congettura. L'unica cosa certa era che la stava portando fuori di lì e l'alternativa a seguirlo era la morte. Quindi le conveniva farselo andare bene e continuare a correre.
Si accorse che, in quelle ore che avevano trascorso insieme, il pensiero di perderlo era diventato insopportabile. Aveva smesso di aver paura di lui e cominciato ad aver paura per lui. Per quanto fosse un assassino efferato, lasciarlo avrebbe significato un fatto impossibile da tollerare: essere di nuovo sola.

Sorprendentemente presto la ragazza si trovò nell'androne che conduceva all'ingresso della piramide. Mai avrebbe pensato di essere così felice di vedere la luce alla fine di quel corridoio! Il pensiero diede forza alle sue gambe, nonostante le articolazioni le dolessero e una stilettata le trafiggesse il fianco ad ogni respiro. Il cacciatore ringhiò, ma se fosse un esortazione a muoversi o soltanto un verso buttato là così, non l'avrebbe saputo dire. Comunque fosse, non aveva bisogno di incoraggiamenti: a parte i mostri neri, c'era sempre la bomba che ticchettava...
E quindi fuori dall'arco della porta e giù per la gradinata, cercando di non spezzarsi una gamba... quando uno stridio assordante la fece bloccare di colpo. Pochi passi davanti a lei, il cacciatore fece lo stesso. Il verso somigliava a quello delle bestie, però allo stesso tempo non era esattamente il medesimo: era più forte e profondo. E non era nemmeno lo stesso ruggito che aveva udito prima.
Dalle ombre che gettava la piramide emerse uno dei mostri, caricando come un toro. Era ben più grosso dei suoi simili e la sua testa oblunga si allargava come una foglia, coperta da graffi a forma di rete, gialli contro il nero della chitina. Ignorò totalmente la ragazza per collidere con il cacciatore, scaraventandolo giù per la gradinata. L'alieno non si fece cogliere impreparato: ancora prima di essersi rimesso in piedi tese il braccio contro il suo avversario, come a maledirlo. Dal bracciale partirono tre dardi che andarono a colpire il mostro sulla spalla e sul fianco, schizzando il suo sangue acido sui gradini. La roccia si mise immediatamente a fumare, ma la creatura non parve rallentata e approfitto della posizione sopraelevata per balzare addosso al nemico.
Lex si guardò freneticamente in giro: per un attimo le era venuta la tentazione di attivare la slitta e fuggire, lasciare che i due extraterrestri se la sbrigassero a vicenda, ma non aveva dubbi che, una volta finito con il suo alleato, quella bestia si sarebbe rivolta contro di lei. E, se riusciva a mettere in difficoltà il cacciatore, lei non avrebbe avuto la minima speranza. Le serviva un'arma, e possibilmente una più familiare di quelle che le aveva costruito l'alieno, una che le permettesse di non avvicinarsi troppo a quella cosa. Ah! Ecco! Il fucile usato per sparare i chiodi nel ghiaccio!
Si voltò verso lo scontro furioso, del quale le erano giunti solo i rumori. Fra lei e i due avversari avvinghiati era conficcata la lancia dell'alieno: probabilmente un colpo di coda gliel'aveva strappata di mano e la sua punta affilata aveva fatto il resto. Per un attimo le parve che il serpente avesse staccato un braccio al cacciatore, poi si rese conto che era solo stato ferito e che così facendo aveva astutamente intrappolato la punta della coda del nemico nella roccia per impedirgli di usarla come arma. Vide il mostro cercare di colpire l'avversario con la lingua dentata e questo deviare il colpo tirandogli un pugno a lato della mascella, ma si trovava in evidente difficoltà. Non sarebbe durato a lungo nel corpo a corpo, e gli assalti furiosi gli impedivano di fare fuoco con il suo cannone.
“Ehi, brutto figlio di...!”, urlò, più per attirare la loro attenzione che per altro, e in effetti le parve che entrambe le creature interrompessero per un attimo la loro battaglia per voltarsi verso il suono della sua voce.
Sparò. Era un utensile, non un'arma, e non era fatta per essere precisa se non sulle brevi distanze: il primo colpo si perse sopra la bestia, il secondo trapassò una delle espansioni a forma di foglia della sua testa corazzata, il terzo amputò di netto l'estremità di uno dei tubi che aveva sulla schiena. Poi il mostro liberò la coda e si scagliò contro di lei. Lex sparò ancora, ma il grilletto scatto a vuoto. Abbassò lo sguardo, incredula: no, non potevano essere finite le munizioni, maledizione! Non poteva finire così!
Gridò nel vedere le mascelle spalancate della creatura, irte di denti simili ad aghi, la seconda bocca pronta a scattare verso di lei e considerò per un attimo di tirargli l'arma scarica addosso, per quel che poteva servire, ma non voleva morire così, non ad un passo dalla libertà e per mano di una creatura da incubo... quando in un lampo di brillante luce blu la testa del serpente esplose, spargendo frammenti e materia cerebrale tutto intorno.
Si ricordò di alzare, o lo fece per istinto, lo scudo ricavato dalla calotta del cranio alieno per proteggersi dagli schizzi di sangue corrosivo, per poi sfilare di lì il braccio in tutta fretta, terrorizzata al pensiero che qualche goccia potesse scivolare lungo la curvatura e raggiungere comunque la sua giacca. Quando si fu liberata ed lo ebbe gettato via, ansimando e ancora con le gambe molli per la paura, un breve ticchettio le fece alzare lo sguardo. Il cacciatore era fermo in piedi e la fissava inclinando il capo di lato, il cannone sopra la spalla fumante. Aveva una serie di graffi sul fianco dove il mostro l'aveva artigliato e un altro più profondo sul braccio, che mostravano il sangue, verde e – si accorse – vagamente fosforescente, ma a parte questo sembrava in buona salute. Si sorprese di quanto felice fosse nel vedere che stava bene, ma probabilmente dipendeva parecchio dal fatto che le aveva appena salvato la vita.
“...grazie”, balbettò, abbassando la testa, imbarazzata, e desiderando di poterlo ringraziare in una maniera che potesse comprendere, ma dalla maniera con cui rispose, chinando graziosamente il capo con un brontolio, sperò che almeno avesse capito le sue intenzioni.
Con un ringhiò, il cacciatore si voltò. La bomba, vero! Ma finalmente Lex poteva rendersi utile in qualcosa.
“Di qua!”, gridò per attirare la sua attenzione. La slitta per l'emersione rapida, con suo sollievo, era esattamente dove l'aveva piazzata. Una cosa buona gli uomini che Weyland aveva assoldato per la spedizione erano stati capaci di farla. Digitò il codice di emergenza con dita tremanti, sbagliò, lo digitò di nuovo, consapevole dei secondi che scorrevano inesorabilmente, poi si buttò sulla slitta proprio mentre cominciava a muoversi. Il cacciatore non ebbe bisogno di spiegazioni e si gettò al suo fianco.
Dietro di loro, poteva sentire il rumore delle rocce che componevano la piramide che si sbriciolavano. Erano i primi segni dell'esplosione della bomba? Più veloce, più veloce!, supplicò, mentre scivolavano ad alta velocità nel tunnel ghiacciato. Non aveva idea della devastazione che poteva scatenare e voleva essere lontana da lì prima di scoprirlo. Poi la bomba esplose, e Lex si domandò come avesse potuto scambiare qualche roccia caduta con quello. Era come paragonare una palla di neve ad una valanga. L'ondata di fuoco sbocciò dietro di loro come un fiore, illuminando a giorno la piramide, per poi vaporizzarla. Tonnellate di roccia e ghiaccio che si era accumulato dall'ultima era glaciale furono disintegrati. Una vampata di calore risalì per il condotto, precedendo di qualche istante la fiamma dell'esplosione. La slitta sbandò e per un attimo la ragazza temette che ci sarebbero ribaltati. Era una gara contro il tempo: chi sarebbe uscito per primo dal tunnel, loro o la palla di fuoco? Qualche dio dovette ascoltare le sue preghiere, perché la slitta recuperò l'assetto e pochi istanti dopo volava fuori dalla galleria, l'inerzia della velocità che le faceva percorrere altri cinque metri sospesa nell'aria prima di schiantarsi al suolo con i suoi occupanti.
Il cacciatore si rialzò immediatamente, prese Lex prese per il gomito e non troppo delicatamente la tirò su accanto a sé. In quel momento l'esplosione raggiunse l'imboccatura del condotto. Fu come essere colpiti dal pugno di un gigante: la ragazza venne di nuovo scaraventata per terra e anche il cacciatore faticò a reggersi in piedi. I due recuperarono la stabilità e ripresero a correre: lei conosceva bene l'instabilità della crosta di ghiaccio e, a giudicare da come si precipitava, anche l'alieno doveva saperne qualcosa. Attorno a loro il villaggio di balenieri, che aveva retto un secolo perfettamente conservato, si sfasciava come se fosse stato fatto di cartone: più volte dovettero saltare un lampione caduto, la facciata di una casa o un'infida crepa che si apriva nel terreno. Ad un certo punto una frattura si aprì davanti a lei, facendo precipitare proprio la sezione dove di trovava il cacciatore; per un momento, Lex lo diede per spacciato, ma poi la creatura contrasse le gambe robuste e spiccò un balzo che lo sollevò a tre metri dal terreno, raggiungendo di nuovo la superficie solida, per poi riprendere a correre. Grazie a questo rallentamento, la ragazza era passata in testa, ma quando davanti a lei si aprì una nuova crepa, rallentò e rivolse uno sguardo disperato all'alieno: non ce l'avrebbe fatta mai a saltarla come aveva fatto con la precedente. Con un ruggito, il cacciatore serrò le dita attorno alla sua giacca e superò d'impeto la fenditura per mezzo di uno scatto formidabile.
Caddero a terra entrambi. Se quella sezione fosse crollata, sarebbero ambedue morti, ma, miracolosamente, il movimento di massa si era fermato. Lex si tirò su lentamente, facendo una smorfia per i lividi che le coprivano il corpo, e raggiunse il cacciatore, che stava contemplando la rovina. Incredibilmente, erano sopravvissuti.


- - - - - -
Niente da dire, eccetto che volevo dare un po' di spazio in più a Grid, mi sembrava giusto farlo morire per mano di Scar invece che "anonimamente" in un'esplosione.
 
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Aesìr
view post Posted on 14/10/2018, 17:42




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Her strong enchantments failing,
Her towers of fear in wreck,
Her limbecks dried of poisons
And the knife at her neck,

The Queen of air and darkness
Begins to shrill and cry,
'O young man, O my slayer,
To-morrow you shall die.'

O Queen of air and darkness,
I think 'tis truth you say,
And I shall die to-morrow;
But you will die to-day.


- Alfred Edward Housman, Last Poems



Lo yautja aveva deciso.
Pur appartenendo ad una specie diversa, quella piccola creatura si era rivelata abile e coraggiosa come uno di loro. Le doveva la vita, e lei la doveva a lui, e un debito del genere non era cosa da poco, tra la sua gente. Sapeva che la propria razza doveva mantenere segreta la loro presenza, a costo di distruggere se stessi e le proprie tecnologie piuttosto di venir catturati, e a quello scopo aveva macellato senza remore tutti gli umani che avevano incrociato la sua strada durante quella caccia, ma il pensiero di fare lo stesso con lei gli risultava intollerabile.
Si era guadagnata il suo rispetto attraverso il battesimo di fuoco della piramide, e lo yautja non era solito uccidere coloro che rispettava. In più, sarebbe stato uno spreco di valido patrimonio genetico: quell'umana si sarebbe riprodotta e avrebbe trasmesso ai suoi figli la sua forza, la sua abilità e il suo coraggio, rendendo le cacce future più difficili ed entusiasmanti.
Non sapeva però se i propri simili sarebbero stati d'accordo: il suo status di novizio gli concedeva il diritto di esprimere la propria opinione, ma poteva non essere abbastanza. Avrebbero benissimo potuto ignorare le sue obiezioni e uccidere quell'umana coraggiosa. Era per questo che aveva deciso di marchiarla: l'azione l'avrebbe – virtualmente – resa un suo pari grado, e servivano valide e ponderate ragioni perché uno yautja fosse condannato a morte. O almeno, questo era ciò che sperava.
Ora doveva, ancora una volta, oltrepassare la barriera linguistica e far capire all'umana le sue intenzioni. Alzò la mano e raggiunse i sigilli del bioelmo...

- - -

Alexa sentiva un muscolo della schiena tremare. Era il corpo che esigeva il suo prezzo. Sapeva che tutto ciò che la teneva in piedi ora era l'adrenalina che le scorreva in circolo come una droga. Domani starò malissimo, si disse, memore delle passate esperienze, ma, se tutto andava bene, domani poteva essere in un letto caldo. Se lo poteva permettere.
Il cacciatore smise di contemplare la devastazione che era stata un tempo il villaggio dei balenieri per voltarsi verso di lei, e Lex si forzò ad alzare lo sguardo per fissarlo negli occhi. Era il momento in cui l'alleanza finiva? La stava per uccidere? Poi l'alieno sollevò una mano – aveva artigli, non poté impedirsi di notare – e staccò, uno dopo l'altro, i due fili che si collegavano alla maschera, per poi abbassarla lentamente.
Lex aveva già visto il volto della creatura, ma in una stanza immersa nella penombra e da lontano, e questo le aveva impedito di farsi un'idea chiara del suo aspetto. Il cranio era ovale, con la faccia molto in basso e la fronte enormemente alta. Attorno alla piccola bocca c'erano quattro mascelle articolate che culminavano ognuna con una lunga zanna. Maculata di nero, la pelle era ocra, tranne che per un'area più scura attorno agli occhi che li faceva apparire profondamente infossati. Gli occhi stessi erano color ambra, rivolti in avanti. Visione binoculare, riconobbe assurdamente. Come un essere umano – o un predatore, almeno.
Se l'avesse visto prima dell'ordalia nella piramide, il suo volto l'avrebbe fatta ritrarre per il disgusto, ma, paragonato ai mostri neri, era sorprendentemente accettabile. Gli occhi, addirittura, possedevano un chiaro lampo d'intelligenza che lo rendevano quasi umano.
Il cacciatore irrigidì le spalle e spalancò le quattro mascelle esterne in un profondo ruggito. Lex non era Sebastian, e forse anche lui avrebbe avuto difficoltà ad interpretare un essere così alieno, ma quel gesto lo capì: stava esultando per la loro sopravvivenza e mostrandole il suo rispetto.
Lentamente la creatura staccò dalla cintura una delle dita mozzate ai mostri neri, sulla cui punta si era raccolta una piccola quantità del loro sangue caustico, e la sollevò vicino alla guancia della ragazza, inclinando il capo in quel gesto che le era diventato familiare.
No, Lex non era archeologa né antropologa, ma comprese cosa significasse quel gesto e le implicazioni che c'erano dietro. Presso quella specie marziale era un rito di estrema importanza, tanto da rischiare la vita per portarlo a termine con successo. Il cacciatore aveva marchiato la propria fronte e la maschera, e ora le stava offrendo lo stesso segno.
Piegò la testa, in modo da offrirgli più facile accesso alla guancia. Il sangue acido dei mostri bruciava, ma non tanto come si era aspettata. Forse, corrosivo com'era, aveva distrutto anche i suoi nervi, o forse aveva qualcosa a che fare l'adrenalina che le scorreva nelle vene. Qualunque cosa fosse, riuscì a sopportare il trattamento senza sussultare più di tanto, una fortuna dato che era convinta che se si fosse ritratta urlando l'avrebbe profondamente offeso, e Dio solo sapeva cosa sarebbe potuto accadere a quel punto.
Quando il cacciatore ebbe finito con il suo rito, Lex si trovò a fissarlo: e ora che succede? Ma prima che l'altro potesse darle qualche indicazione sul da farsi, ammesso che ne avesse intenzione, un rumore di ghiaccio spaccato li fece voltare entrambi...

Emerse dalle rovine del villaggio come un leviatano, scuotendosi via dal corpo i pezzi di ghiaccio e le travi spaccate e sovrastandoli con la sua stazza. Alexa si domandò come avesse potuto considerare grossa la bestia contro cui il cacciatore aveva combattuto appena prima che fuggissero in superficie: questa era grossa, grossa come una maledetta casa.
Gettò un'occhiata all'alieno, che aveva spalancato occhi e mascelle in un'espressione che in un altro momento avrebbe potuto passare per comica e non necessitava di traduzione: oh, merda...
In un attimo il cannone si sollevò sulla sua spalla e sparò un colpo di plasma, colpendo il gigantesco mostro al fianco. Gli fece male, senza dubbio, ma non fu sufficiente a fermarlo. Prima che il cacciatore avesse il tempo di ricaricare, un colpo di coda lo scagliò contro le rovine di un'abitazione. Quindi il mostro si voltò verso di lei. Lex si vide con i suoi occhi: una minuscola donna vestita di rosso, che alzava incerta una lancia fatta in casa. L'istinto prese il sopravvento: scappa, idiota!
Si mise a correre lungo un canalone creato dalle ossa di balena, sperando che rallentassero l'avanzata della bestia. Vana speranza, perché abbassò la testa corazzata e, a giudicare dai rumori che giungevano alla ragazza, le schiantò una dopo l'altra. L'ostacolo, però, le diede il tempo materiale di infilarsi sotto un separatore, un grande serbatoio che serviva ad estrarre l'olio dal grasso di balena. Doveva pesare almeno una tonnellata, ma, quando il grande alieno lo raggiunse, lo prese a testate, inclinandolo sul suo supporto e allungando le mascelle per cercare di acchiappare Lex. Lei si raggomitolò, ritraendosi ad ogni impatto e comprendendo di colpo come si sentisse il topo nella sua tana quando il gatto cercava di acchiapparlo e domandandosi quanto tempo sarebbe servito al mostro per abbattere definitivamente il separatore e raggiungerla. Già allungava le zampe come a voler scavare e strappava come fuscelli i supporti di legno che l'avevano tenuto al suo posto per cent'anni, sollevando manate di neve e ghiaccio. Quando chinò la teste per cercare di infilarla nel pertugio, Lex allungò la lancia ricavata dalla coda dell'alieno, colpendola sui tendini che si allungavano ai lati della bocca, e fu ricompensata da un verso di dolore, ma la sua speranza di spingerla ad infilzarsi da sola sull'arma, come ricordava di aver letto in qualche romanzo d'avventura, le venne bruscamente sottratta quando la creatura allungò le mascelle e le strappò la lancia di mano. La ragazza gridò e si rannicchiò per sfuggire al successivo attacco. Ora era perfino disarmata, come poteva andare peggio?
Di colpo però vi fu uno schianto e la bestia crollò contro il serbatoio, stridendo orribilmente e a quel verso fece eco un suono che Lex non avrebbe potuto essere più felice di sentire: il ruggito di sfida del cacciatore. Osò sollevare lo sguardo e vide che una gamba del mostro era scomparsa, fatta probabilmente saltare dal cannone fumante dell'alieno, che ora lo stava lentamente aggirando per attaccare di nuovo. Vi fu un'altra detonazione, poi un'altra ancora, mentre i proiettili ad energia tempestavano quel corpo gigantesco. La ragazza approfittò dell'attimo per sgusciar fuori dalla sua nicchia e precipitarsi al fianco del cacciatore e appena alle sue spalle, probabilmente il posto più sicuro in quel frangente. L'alieno aveva recuperato la sua maschera e stava cannoneggiando il gigantesco serpente con letale precisione, amputandogli le zampe in modo da smorzare la minaccia che rappresentava. Il serbatoio si era parzialmente sciolto a causa del sangue acido e il mostro sprofondato per metà al suo interno.
Ciononostante, era ancora pericoloso e Lex avrebbe voluto fermare il cacciatore quando questi cessò di sparare, aprì la lancia e iniziò ad avvicinarsi cautamente alla bestia, ma sapeva che non avrebbe sentito ragioni. Il mostro nero sembrava comunque troppo impegnato a stridere in agonia per notare il lento avanzare del suo avversario, con la sua arma pronta e sollevata. Quando sollevò la lancia e la conficcò con tutte le sue forze nel cranio oblungo della bestia, a Lex, complice anche l'ambientazione, ricordò un baleniere che dava il colpo di grazia ad una preda mille volte più grande di lui. Il corpo gigantesco ebbe ancora uno spasmo, la coda si contorse e la lingua dentata scattò fuori, e poi giacque immobile. Il cacciatore grugnì, avvicinandosi lentamente alla carcassa fumante, la prudenza non ancora accantonata, poi poggiò un piede su quel cranio enorme, forzando le fauci ad aprirsi, allargò le braccia e lanciò un ruggito di vittoria.

Mentre il suo compagno sembrava deciso a continuare la sua interpretazione di King Kong, Lex sospirò e saggiò la resistenza delle rovine di un'abitazione, prima di lasciarsi andare con la schiena contro il muro, mentre il flusso di adrenalina la abbandonava. Finita, la sua ordalia era finalmente finita. Se quei mostri erano come formiche, la bestia doveva essere la loro regina. La sua prole era stata spazzata via dall'esplosione e ora anche lei era morta. Come doveva essere: aveva ascoltato abbastanza discorsi di ambientalisti preoccupati, alla sede dell'associazione, per conoscere il risultato dell'introduzione di un nuovo predatore apicale in un ecosistema. Da qualunque pianeta infernale provenissero, non c'era spazio per quelle bestie sulla Terra.
Come si sentiva stanca! Ora che la lotta per la vita era giunta al termine, le pareva di aver trascinato ogni singola pietra della piramide con sé. Il corpo le doleva per decine di lividi che non ricordava nemmeno di essersi procurata. Avrebbe tanto voluto chiudere gli occhi e riposare, ma conosceva il freddo e sapeva che quella era proprio una delle cose più stupide da fare. Del combustibile doveva essersi sparso e ora una delle baracche bruciava allegramente, quindi la temperatura non era intollerabile, ma presto il ghiaccio sarebbe tornato a reclamare il suo dominio. Attorno a loro aleggiava un odore rancido, probabilmente a causa dei residui presenti nel serbatoio che si scioglievano per il calore. Era disgustoso, ma, per quanto le facesse arricciare il naso, a Lex non dispiaceva del tutto: il fastidio per il tanfo l'avrebbe aiutata a stare sveglia. Se si fosse addormentata, avrebbe rischiato di non rialzarsi mai più. Così si accontentò di sedere ad osservare il cacciatore, che, accanto al cadavere del mostro, sembrava un bambino in un negozio di giocattoli.

- - -

Lo yautja era davanti ad un dilemma: forse dipeso da lui, non avrebbe avuto dubbi sulla scelta del trofeo: avrebbe staccato la testa della regina delle serpi, un trofeo che gli avrebbe immediatamente conquistato l'ammirazione dei suoi simili. Già non gli aveva fatto piacere dover abbandonare il corpo del pretoriano, ma in quel momento si trattava di una questione di vita o di morte. Purtroppo, era un progetto difficile da attuare: la sua prova non si era ancora conclusa e sarebbe stato decisamente difficile tirarsi dietro il cranio. Questo non gli impediva di cercare un modo per salvare capra e cavolo, ma i suoi piani erano uno meno fattibile dell'altro. Con un verso di delusione decise perciò di prendersi come ricompensa la lama ossea con cui culminava la coda della regina: qualunque yautja che conoscesse quelle bestie avrebbe riconosciuto il trofeo e il suo valore come cacciatore. Strappò anche la lingua dentata e l'attaccò in vita, altra testimonianza delle dimensioni della serpe che aveva ucciso. Restio a rinunciare del tutto al cranio, marcò sull'interfaccia della maschera il luogo dove era avvenuta l'uccisione, in modo che i suoi simili potessero in seguito recuperarlo per lui quando fossero giunti a ripulire quel macello.
Ora però c'era un altro problema: far capire all'umana la sua situazione. Si chinò davanti a lei, attirando la sua attenzione, e, dopo qualche incertezza proiettò una serie di immagini dal suo computer da polso: la piramide, e un'onda che si propagava da essa verso l'alto, e la sua astronave che scendeva a raccoglierlo.
Vide la ragazza farsi incerta: “Ma la piramide è stata distrutta...”
Sperò che quelle parole corrispondessero a ciò che pensava e mostrò una seconda sequenza, di nuovo le onde che si propagavano da una struttura, e una mappa dell'isola dove si trovavano, con un indicatore sulla loro posizione attuale e un altro molto più all'interno.
L'umana spalancò gli occhi alla realizzazione, quindi si lasciò ricadere contro la parete di legno. Lo yautja poteva capire che fosse sfinita, non aveva la resistenza della sua specie, ma sarebbe dovuta venire con lui oppure morire: i veicoli umani, che aveva spiato dall'astronave con i suoi compagni, erano andati distrutti nel crollo, e il mezzo di trasporto acquatico era troppo distante perché potesse arrivarci a piedi. Ma forse poteva fare qualcosa per darle il tempo di recuperare le forze.


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Ehilà, scusate se sono sparito, problemi vari. Che dire? The queen is dead, long live to the queen!
 
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Aesìr
view post Posted on 30/11/2018, 21:14




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Avere una buona discussione è come avere una grande ricchezza
- proverbio keniota



Alexa Woods odiava le sorprese. Nel suo lavoro, gli imprevisti tendevano ad avere conseguenze sgradevoli, che andavano da dover aspettare per ore l'ultimo membro della squadra perché si era ubriacato la notte prima, al dover ripescarlo dal fondo del crepaccio dove si era sfracellato. E, in quella storia, di sorprese ce n'erano state fin troppe. Quando, appesa sull'orlo di un precipizio, aveva preso la chiamata di Stafford non si era aspettata un'offerta di lavoro. Quando era salita a bordo della Piper Maru, non si era aspettata che il lavoro riguardasse una piramide sepolta sotto il ghiaccio. Non si era aspettata di sopravvivere alla piramide e alla regina dei mostri e si accorse di non aver pensato a come andarsene di lì. Un'occhiata nei dintorni le confermò che la sezione dov'erano stati parcheggiati i gatti delle nevi era caduta vittima del crollo conseguente all'esplosione.
Idioti, pensò. Non era solita parlar male dei morti, ma dopotutto non le capitava spesso di trovarsi per colpa loro sperduta in uno dei luoghi più ostili del pianeta e con equipaggiamento ridotto all'osso. “Signorina Woods, li parcheggiamo il più vicino possibile al tunnel, così quando la squadra torna in superficie vi possiamo portare in fretta al campo”, e Weyland gli ha dato retta. Beh, certo, era vecchio e malato, perché non avrebbe dovuto voler far meno fatica? E io avevo già il mio daffare ad impedire che, per le sue pretese di fare il più in fretta possibile, nessuno restasse ammazzato, ha!
Aveva consigliato che prendessero come precauzione l'invio di una squadra di soccorso dopo dodici ore dall'interruzione dei contatti radio, ma chi poteva sapere che non avessero ignorato la sua raccomandazione come avevano fatto con molte delle altre? Inoltre, con la tempesta che ancora infuriava, forse davano per scontato che le linee di comunicazione fossero disturbate: i venti catabarici potevano soffiare a centinaia di chilometri orari e per giorni interi, non si sarebbe stupita a sapere che erano totalmente isolati dal mondo esterno. Aveva l'impressione che sarebbe stato meglio non contare troppo sull'invio di soccorsi in tempi ragionevoli. Era chiaro inoltre che la squadra di trivellazione e i mercenari avevano incontrato la morte per mano del cacciatore o dei suoi compagni, altrimenti a quel punto avrebbe già dovuto farsi vivi, quindi non poteva aspettarsi nessun aiuto da quel fronte. Sapeva la direzione di massima della Piper Maru, ma un conto era affrontare il viaggio comodamente seduta su un gatto delle nevi, tutt'altra faccenda era dover tornare indietro da sola. Lex conosceva i propri limiti: non ce l'avrebbe mai fatta a percorrere i quindici chilometri che separavano la nave dal villaggio dei balenieri, tanto più che la tempesta in corso avrebbe costretto la Piper Maru ad allontanarsi dalla banchisa per evitare di andare a sbattere. Che senso aveva essere sopravvissuta fin lì per poi essere uccisa dalle temperature rigide e dai venti sferzanti?
Il cacciatore le offriva un'alternativa, e la ragazza immaginava che, una volta sulla sua astronave, avrebbe potuto chiedergli di darle uno strappo verso un luogo civilizzato... no, alla nave, decise. Aveva già abbastanza cose da giustificare senza dover spiegare anche la sua improvvisa comparsa dall'altra parte del mondo. Oltre al fatto che contrariare l'alieno non sembrava una buona idea. No, proprio per niente. Dubitava che quelli che lo facevano vivessero a lungo per raccontarlo. Raggiungere il luogo che le aveva indicato, oltre il Lykke e l'Olav Peak, avrebbe significato una marcia più lunga, ma anche la presenza di un compagno preparato per affrontarla e, se doveva scegliere, sapeva che la seconda era di gran lunga preferibile. Ma quelli erano problemi aleatori: non sarebbe riuscita ad alzarsi e seguire l'alieno nemmeno a volerlo.
La creatura ringhiò e fece due passi nella sua direzione, scuotendo Lex dai propri pensieri. Curioso come basti il giusto stimolo per fare un'inversione di centottanta gradi sulle proprie decisioni. Mettersi a marciare in mezzo alla neve? Ok! Subito! Quando vuoi!
Con sua sorpresa, tuttavia, il cacciatore non pretese di vederla scattare immediatamente in piedi, ma cominciò con il passarle la lancia ricavata dalla coda del mostro. Nonostante fosse stata scagliata via dalla regina, sembrava ancora intatta. Lex la accettò, ringraziando imbarazzata – aveva una mezza idea che dimenticarsi un'arma, nella cultura del cacciatore, fosse un grave peccato – e dicendosi che, se non altro, avrebbe potuto usarla come sostegno per la marcia. Non c'era poi molto da infilzare, là intorno, a parte i pinguini.
L'alieno indicò la lancia, poi la carcassa smembrata della regina, chiuse la mano a pugno e se la batté una volta sul petto. A Lex occorsero diversi istanti per decifrare il tutto e qualcuno in più per far breccia nell'incredulità: si stava complimentando con lei. Il suo gesto era l'equivalente di una pacca sulla spalla seguita da un: “Ottimo lavoro!”
“G... grazie!”, esclamò, sorpresa. Aveva interpretato le sue azioni come una strategia, piuttosto che gli atti indotti dalla disperazione che erano in realtà? Non che avesse intenzione di obiettare: il rispetto di quella creatura era sicuramente meglio del suo disprezzo.
L'alieno accettò il ringraziamento con un basso brontolio e le porse un oggetto: una lastra di metallo segmentato e ornato. Lex se lo passò fra le mani, meravigliandosi per la sua leggerezza e domandandosi da dove fosse mai saltato fuori, quando si accorse che era identica alla protezione che il cacciatore aveva legata al braccio sinistro e che sul destro invece mancava. Rigirandolo, notò un laccio reciso: doveva essersi danneggiato durante il combattimento con la regina. Le stava forse chiedendo di ripararlo?
Provò a porgerglielo, incerta, ma l'alieno glielo prese dalle mani con sorprendente delicatezza, lo ruotò in modo che il lato concavo fosse verso l'esterno e l'indentatura verso il basso e glielo premette contro il petto: data la differenza di statura tra i due, lo copriva per una buona parte. Lex comprese: le aveva dato un'armatura. Naturalmente, non le aveva spiegato come far sì che le stesse addosso, ma a questo poteva pensarci lei: anni prima le si era strappata una cinghia dello zaino durante una scalata e, al di là dello strattone che aveva subito l'altra spalla per via del peso che improvvisamente vi gravava, si era trovata a dover completare la discesa in quelle condizioni. Da allora, portava sempre con sé un paio di cinghie in più che, con un po' di ingegno, si potevano adattare alla corazza.
Dopo un paio di prove, risolse ad usare la lastra come pettorale: se la legava sopra al seno, la copriva più o meno fino all'ombelico. Non era una soluzione ottimale e il lato inferiore le si conficcava in pancia ogni volta che si piegava, ma a caval donato non s'apre bocca... né sembrava una buona idea contraddire un alieno che aveva già dato prova dei suoi istinti omicidi. Poteva tirarsi dietro quella piastra, se ci teneva tanto. Nessun problema.
Il cacciatore, soddisfatto della soluzione, abbassò un ginocchio al suolo per chinarsi alla sua altezza e cliccò qualche bottone sul dispositivo che portava al braccio, lo stesso che aveva usato per azionare la bomba. Come prima, lo utilizzò per proiettare un'immagine: Lex fu sorpresa di riconoscere se stessa, disegnata in linee rosse e fluttuante una decina di centimetri sopra il computer dell'alieno. La sua riproduzione sollevò il braccio destro.
Il cacciatore era fermo, in attesa. La ragazza iniziava a capire: “Vuoi... vuoi che ti insegni come si dice?”
Nessuna risposta, anche se non se l'aspettava veramente, quindi provò a dire: “Destra!”, in tono affermativo. L'alieno emise un verso soddisfatto e l'ologramma cambiò, stavolta alzando il braccio sinistro. In tempi relativamente brevi si era impossessato di un vocabolario base di inglese, aggiungendo copie del suo ologramma e facendogliele sommare e sottrarre per ottenere “più”, “meno”, “uguale”, “diverso”, “giusto” e “sbagliato”. Dopodiché fece spostare l'immagine, in modo da procurarsi i termini per “avanti”, “indietro”, “lento”, “veloce”.
Lex si prestò volentieri a quel gioco, che le permetteva di riposare e non richiedeva altro che un po' di concentrazione per interpretare i vari concetti. Quando a quanto pareva l'alieno giudicò sufficiente il proprio dizionario, e le risposte della ragazza avevano preso vivacità, si alzò in piedi.
Lex notò i nuovi gingilli con cui si era adornato e di colpo fu molto, molto felice di non sapere con precisione cosa fosse successo a mercenari e squadra di trivellazione. Ringraziò per la propria ignoranza, ma ricordò severamente a se stessa di non idealizzarlo e non vederlo per qualcosa che non era: poteva aver deciso di prenderla con sé, ma restava un pericoloso alieno cacciatore che gioiva nel prendere i trofei delle sue vittime.
Decisamente ignaro delle sue riflessioni nei suoi riguardi, il pericoloso alieno cacciatore che gioiva nel prendere i trofei delle sue vittime parve ricordare qualcosa che prima, durante l'”interrogatorio”, aveva tralasciato: toccò una scatola esagonale che aveva alla cintura e poi si portò la mano al volto, avvicinandola alla sezione piatta della maschera che copriva la bocca, quindi indicò nuovamente il contenitore, indicò Lex e si portò una mano alla gola. Dovette ripetere un paio di volte la sequenza, ma alla fine la ragazza ci arrivò: la stava dicendo di avere con sé delle razioni, ma che non poteva usarle per nutrire anche lei, perché probabilmente le sarebbero state letali. Dopodiché, il cacciatore fece scorrere il laser della maschera tutto attorno, soffermandosi su quello che restava delle strutture portate dalla spedizione: cercati qualche provvista.
In effetti, Lex aveva con sé degli alimenti per alpinisti, altamente energetici, ma quando li aveva presi non si era aspettata di dover avanzare sul ghiaccio per chissà quanto. Il pensiero della marcia non sembrava preoccupare il suo compagno, ma dopotutto lei non era un extraterrestre che andava in giro praticamente nudo in mezzo alla neve. Trovare altre cibarie era decisamente una buona idea e le permetteva di sgranchirsi le gambe, evitando l'accumulo di acido lattico che avrebbe portato indugiare troppo a lungo seduta dopo lo sforzo fisico compiuto – e senza metterla eccessivamente alla prova. Si rimproverò aspramente per non aver pensato all'eventualità: stava commettendo troppi errori. Per fare ammenda, si mise immediatamente alla ricerca.
Non ci volle molto per identificare, tra le rovine delle baracche, una cassetta metallica per alimenti, caduta da un gatto delle nevi, o portata lì dai mercenari di Weyland per fare uno spuntino durante una pausa. Il problema era che la cassetta era attualmente mezza sepolta sotto un tetto di lamiera, conseguenza del crollo del villaggio. Si mise poco speranzosamente a spingere contro la lastra, ma con un ringhio l'alieno la scostò, sollevò il metallo e lo gettò di lato senza sforzo apparente. Lex si premurò di ringraziarlo, chiedendosi, non per la prima volta, quanto più forte di lei fosse quella creatura.
Mentre lei frugava tra le provviste, l'alieno si era seduto, tirando fuori una serie di oggetti dalla struttura curva che portava sulla spalla sinistra e che la ragazza immaginò non fosse altro che la versione più tecnologica di uno zaino. Con la pressione della mano un dispositivo si aprì in un piatto, sotto il quale si accese un fornello. Con estrema cura, il cacciatore versò sopra la fiamma un liquido azzurro vivido e vi aggiunse i calcinacci che aveva sbriciolato nel pugno gigantesco. Quindi prese una paletta e si poggiò la mistura risultante sulla ferita al braccio destro. Lex sobbalzò per il ruggito di dolore che la creatura emise gettando indietro la testa e decise all'istante che, per quanto efficace fosse quella roba – e doveva esserlo, se qualcuno si sottoponeva ad un simile tormento – sarebbe morta piuttosto che permettergli di mettergliela addosso. L'alieno passò a curarsi le altre ferite, in ordine di gravità e sempre lanciando quei terribili ruggiti ma, per quanto dovesse far male la medicazione, si rivelò sorprendentemente efficace, perché, quand'ebbe terminato, il sangue verde era scomparso.
Si rialzò, il dolore dell'autoimposta ordalia in apparenza già dimenticato, e le rivolse un'occhiata come a domandarle se era pronta. Lex supponeva di esserlo: avrebbe voluto più equipaggiamento, un contatto radio e magari anche la giacca argentata fornita da Weyland, che si era tolta nella piramide e che a quel punto era probabilmente ridotta in pulviscolo. Incidentalmente, avrebbe anche voluto trovarsi in Florida, da sua sorella, o in realtà in qualunque altro posto che non fosse quella distesa gelata, ma non poteva farci molto. Prima di fare qualunque cosa, comunque, doveva levarsi di dosso il pezzo di corazza, visto che nemici in vista non ce n'erano e la segava a metà ogni volta che si chinava. Era preoccupata della reazione del cacciatore a vedere il suo dono infilato nello zaino, ma questi accettò la sua spiegazione - “questo”, “dopo”, “no nemici”, accompagnato da abbondante gesticolare – senza protestare, per poi voltarsi e incamminarsi fra le baracche. Dopo un secondo, la ragazza lo seguì.

Non andarono molto lontano, anche se per i muscoli brucianti e i lividi di Lex fu più che sufficiente. A dirla tutta, si limitarono ad uscire dalla conca nella quale sorgeva Razorback Point, arrampicandosi per la stessa strada seguita dai gatti delle nevi. Puntellandosi sulla lancia, la ragazza continuava a dirsi che non poteva essere troppo duro, se i veicoli ce l'avevano fatta, e che lei stessa aveva affrontato salite ben peggiori, ma, mentre il suo piede scivolava per l'ennesima volta, dovette ammettere che forse non le aveva affrontate nelle sue attuali condizioni. Il cacciatore non era di nessun aiuto mentre avanzava senza emettere un solo lamento e senza slittare di un centimetro – come diavolo faceva? Saperlo non l'avrebbe aiutata, ammise, quindi strinse i denti e continuò a salire. Non che fosse nelle condizioni di protestare, anche se avesse voluto. Come una vocina irritante continuava a ripeterle all'orecchio, era completamente alla sua mercé. Si domandò se in caso di un suo svenimento l'alieno l'avrebbe trasportata di peso oppure sarebbe stata abbandonata lì – prospettiva che comunque iniziava a non sembrarle così tremenda.
SI era preoccupata che, una volta nella piana, il cacciatore si sarebbe diretto immediatamente verso i picchi, invece percorsero assieme forse un paio di chilometri – anche se a Lex, con le raffiche di vento che le infuriavano contro abbassando ulteriormente la temperatura percepita, parvero decine e questo nonostante si fosse riparata dietro alla sagoma massiccia dell'alieno, che offriva almeno in parte uno schermo dalle condizioni atmosferiche.
Il motivo della deviazione divenne chiaro dopo non molto: le immobili sagome scure che, nella neve turbinante, in un primo momento le parvero scherzi della vista si trasformarono in missili rastremati conficcati nel ghiaccio, un lato aperto come le ante di un armadio. Ovvio, si disse la ragazza, devono pur essere arrivati sulla Terra in qualche modo.
Il cacciatore aveva preso prima ad osservare accuratamente e poi a saggiare i tre missili, passando dall'uno all'altro, girandoci intorno e assestando loro leggere spinte. Parve infine decidersi e ne abbrancò uno, circondando la superficie cilindrica con le braccia e iniziando a tirare, cercando di smuoverlo dal suo involucro ghiacciato. La capsula gemeva e scricchiolava, mentre i muscoli dell'alieno si gonfiavano tendendo la rete che li copriva. Pur sapendo che il suo supporto sarebbe stato minimo, a Lex raggiungere l'altro lato dell'oggetto e mettersi anche lei a spingere parve la cosa più logica da fare e venne ricompensata quando, con un ultimo cigolio, il missile scivolò fuori dal ghiaccio. Incapace, nonostante la sua forza prodigiosa, di sostenerne il peso, il cacciatore lo gettò di lato, quasi spedendo a gambe all'aria la ragazza. Poi, ignorando Lex che si appoggiava alle ginocchia ed inspirava profondamente cercando di scacciare i puntini colorati che le danzavano davanti agli occhi, inserì le mani sotto al cilindro e lo ribaltò in modo che l'apertura fosse rivolta verso il cielo.
La ragazza, impegnata ad evitare di svenire, non aveva fatto troppo caso ai rumori provenienti dall'artefatto alieno, ma un suono – l'ormai familiare verso gutturale e ticchettante del cacciatore – le fece sollevare lo sguardo: il missile si stava librando in posizione orizzontale a circa un metro dal terreno, una fiamma azzurra che partiva dall'estremità trilobata. Nella finestra sulla sua superficie sedeva l'alieno, che, vedendola non reagire, digitò qualcosa sul computer che portava al polso.
“Qui.”
Lex sobbalzò a sentire la sua stessa voce provenire dalla maschera del cacciatore e, troppo stupita per pensare coerentemente, si avvicinò di un paio di passi. L'interno della capsula mandava una luminescenza azzurrina, qui e là distorta da un po' di neve finita lì mentre il missile veniva tirato fuori dal ghiaccio e scioltasi. L'alieno le fece un cenno con la mano e, davanti alla sua evidente confusione, lo ripeté. Quando comprese, Lex arrossì furiosamente: le stava chiedendo di salire sulla capsula, il che non era un problema, peccato che per stare al suo interno avrebbe dovuto sedere sulle gambe del cacciatore, come una bambina piccola. Non le era mai stata così vicina e non sapeva bene come avrebbe dovuto comportarsi.
È un extraterrestre, stupida!, le urlava la parte razionale della sua mente. Sei stanca morta e perciò sragioni. Ciononostante, l'imbarazzo, mentre si issava oltre la paratia, non era affatto diminuito e la ragazza era immensamente grata degli strati di abiti che la separavano dall'alieno, dato che quello – corazza a parte – non indossava molto. Evidentemente stanco del suo cauto arrampicarsi, il cacciatore la sollevò di peso – e Lex ringraziò che non ci fosse nessuno per sentire lo strillo da ragazzina che le era uscito dalle labbra – e se la sistemò in grembo. L'armatura che lo rivestiva la premeva in posti scomodi, ma Lex non osava aggiustare la propria posizione. A dirla tutta, osava a malapena respirare. Una parte di lei si domandò quanti esseri umani si fossero avvicinati tanto a quella creature senza venir macellati.
Apparentemente ignaro del suo disagio, il cacciatore doveva aver dato un ordine, anche se non l'aveva visto premere nessun pulsante, perché la capsula prese a muoversi, prima lentamente e poi acquisendo velocità. Quantomeno, i bordi erano abbastanza alti da risparmiare a Lex l'umiliazione di dover essere tenuta ferma per evitare di venir scaraventata fuori. Non le sfuggiva l'ironia della situazione: prima, con la slitta, lui si è fatto un giro nel mio mondo, e adesso tocca a me farmene uno nel suo. Mentre il vento le ululava nelle orecchie, si sorprese a pensare che, se anche fosse riuscita a trovare qualcuno disposto ad accettare il resto della sua storia, non avrebbe mai creduto a quella corsa sulle montagne russe attaccata ad un alieno da due metri.

- - -

Lo yautja si domandò come mai l'umana ci avesse messo così tanto a comprendere di dover salire sulla navetta da sbarco. Non gli aveva dato l'idea di essere così tarda, in precedenza. Le aveva persino dato l'esempio salendo per primo, dato che, per quanto ne sapeva, gli umani non avevano ancora sviluppato niente del genere. Qualunque cosa fosse, non aveva tempo di pensarci ora. Controllò la direzione, ringhiò e corresse leggermente la rotta. Quelle navette non erano fatte per il volo orizzontale né tanto meno a quell'altezza dal suolo e l'umana avrebbe potuto mostrare un po' di gratitudine per l'impegno che ci stava mettendo per evitare che andassero a sbattere. Ma, se non altro, si era rannicchiata nella cabina e stava ferma, buona e zitta: se avesse cominciato ad agitarsi, l'avrebbe dovuta scaraventare fuori o rischiare di perdere l'assetto; già non era facile, con il proprio peso che rischiava di far ribaltare il mezzo di fortuna ad ogni movimento troppo brusco. E non era sopravvissuto alla propria iniziazione per morire nello schianto di una navetta.

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Ok, la mia tabella di marcia è definitivamente andata a farsi friggere. E Lex inizia a mostrare i primi segni di instabilità.

Note: la scena di Scar che impara l'inglese può lasciare un attimo perplessi, però hanno il ripetitore vocale e sia City sia l'Elder biascicano qualche parola anche senza l'elmo. Quanto a comprendere il senso... alla fine predator e umani non sono così diversi, sono creature antropomorfe con due braccia, due gambe e cinque dita per mano, quindi non dovrebbe essere poi così difficile instaurare una comunicazione di base.
 
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Aesìr
view post Posted on 6/1/2019, 10:58




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Better sleep with a sober cannibal than a drunken Christian
- Herman Melville, Moby Dick



“Rallenta! Sant'Iddio, rallenta!”
Nessuna risposta, a parte l'ululato del vento.
“Piano! Meno! No!” Lex provò ogni parola che le passava per la testa e che potesse essere fra quelle che aveva spiegato al cacciatore, ma senza risultato. O non la sentiva, o se ne infischiava altamente.
E poi la ragazza smise di gridare per preoccuparsi di quello che le pareva un problema più immediato: la sua dipartita in un futuro alquanto prossimo a causa dello schianto contro una parete di ghiaccio. Una bella beffa, sopravvivere all'assurdo rituale di una specie aliena in una piramide sotto i ghiacci per poi morire spiaccicata come una mosca sul parabrezza. Si rannicchiò per quanto poteva sul fondo della navetta, prendendosi la testa fra le mani, irrigidendo i muscoli e serrando i denti, preparandosi all'urto.
Quando questo venne, le parve di venir catapultata fuori dall'abitacolo in un fragore assordante mentre ogni suo singolo osso si scuoteva... eppure, nell'aprire cautamente un occhio, si rese conto di essere ancora tutta intera. La capsula era affondata con il muso nel ghiaccio e il cacciatore era già saltato giù. Magari era così che quegli affari si fermavano, dopotutto l'avevano trovato conficcato nel permafrost. Lex seguì l'alieno con molta più cautela, chiudendo gli occhi e inspirando profondamente in attesa che il suo stomaco smettesse di fare capriole. Finalmente il mondo si stabilizzò in un'unica immagine e la ragazza osò sollevare lo sguardo.
“Cristo, dovresti proprio prendere qualche lezione di parcheggio, sai?”, le uscì in una specie di pigolio rivolto al cacciatore, che inclinò la testa e ringhiò piano, con fare interrogativo. Dopodiché indicò la parete di ghiaccio, poi il cielo e mosse una volta il pugno da oriente ad occidente.
A quella, ci penseremo domani, tradusse Lex. Le stava benissimo: l'ultima volta che aveva riposato, a bordo della Piper Maru, le pareva secoli prima. Si rassettò la giacca, decisamente fuori posto dopo che si era stretta le braccia addosso e sepolto il mento nel bavero per proteggersi dal vento gelido che l'aveva sferzata durante il volo. Perfino il sacco a pelo sarebbe stato il benvenuto, dopo una corsa del genere. La cresta ghiacciata li riparava dal vento sferzante e la ragazza, in fin dei conti, non era estranea a dormire in condizioni disagevoli. Cosa poteva volere di più? Dunque, una doccia, un pasto caldo, ed essere a bordo della nave, anzi, meglio, a mille miglia da qui... Sospirò: altro che desideri, si parlava di veri e propri miracoli. Segnalò al cacciatore che aveva capito, si sfilò lo zaino e si accinse a montare la tenda. Era stata dubbiosa se prendere o meno quel particolare accessorio, ma poi si era detta che il sollievo provato nell'averla sarebbe stato maggiore della disperazione di doversela portare dietro. Ora, davanti alla prospettiva di dover dormire all'addiaccio, ringraziava la propria previdenza. L'alieno, in apparenza stoicamente imperturbabile alle temperature rigide, la guardò incuriosita mentre sgranocchiava una barretta energetica e quindi scompariva dentro la tenda.
Speriamo che mi lasci dormire abbastanza, si augurò un attimo prima di piombare nel sonno.

Come fosse sopravvissuto all'esplosione, Lex non avrebbe saputo dirlo. Avrebbe giurato che tutti i mostri neri fossero morti, eppure eccolo lì davanti a lei, accucciato sul ghiaccio. La luce della luna tracciava i contorni della forma color ossidiana e scivolava lungo la cupola che copriva il cranio. Non aveva occhi, ma sapeva lo stesso che la stava guardando. La odiava, forse, per essere responsabile della morte dei suoi compagni? No, anche se era praticamente impossibile interpretare una creatura priva di sguardo, la ragazza capì che non era l'odio che lo muoveva, ma una sensazione assai più antica e basilare.
Un filo di bava sgocciolò dalla mascelle serrate. Fame. L'avrebbe trascinata via con sé, l'avrebbe incollata ad una parete come era successo a Sebastian e poi l'avrebbe mangiata.
Lex si ritrasse, emettendo un verso strozzato, e il gesto rianimò il mostro, che, muovendosi con grazia letale, si svolse dalla sua posizione accucciata e le si avvicinò lentamente. La ragazza avrebbe voluto scappare, ma di colpo le gambe le si erano fatte di piombo. Senza fretta, la creatura le si avvicinò, mettendo le zampe una dietro l'altra, quindi le schiacciò una mano artigliata sullo stomaco, inchiodandola al suolo.
Lex vide la bocca spalancarsi e, al suo interno, la seconda serie di mascelle fremere, pronta a polverizzarle il cranio, e fece l'ultima cosa che le restava da fare.
Urlò...

...e continuò a gridare.
Ci mise un paio di secondi a capire che quel suono di assoluto terrore usciva dalla sua bocca, dopodiché, opportunamente, la chiuse di scatto. L'urlo cessò di colpo. Sedeva eretta, le gambe e parte del busto ancora racchiusi dal sacco a pelo, le mani sollevate davanti al viso. Che non correva il rischio di venir spappolato, forse di finire con un dito in un occhio, piuttosto. Allontanò le mani, non prima di aver sentito le lacrime sulle proprie guance, e constatò che non c'era nessuna zampa aliena a trattenerla.
Con un singhiozzo liberatorio, si lasciò ricadere sulla schiena.
Aveva sognato, tutto qui.
Un breve ringhiò le fece risollevare il capo. Il suo comportamento doveva aver messo in allarme il cacciatore, che ora era in piedi all'esterno della tenda, leggermente ingobbito, il cannone sollevato sulla spalla e il puntatore laser che perforava la notte.
Merda, pensò. Adesso le toccava anche spiegargli che il suo comportamento non era dettato da nessun pericolo reale. Tirò sul col naso mentre realizzava che non sarebbe stato affatto un compito facile.
“No, no”, disse, cercando di suonare convincente e pensando freneticamente a cosa poteva inventarsi dopo. Il cacciatore si voltò a guardarla; apparentemente, però, le sue parole furono sufficienti – o lui era giunto da solo alla stessa conclusione, cosa decisamente più probabile – perché il cannone tornò in posizione di riposo e l'alieno si raddrizzò, ticchettando: la ragazza pensò che dovesse fare quel suono battendo le zanne tra di loro.
Sollevata di non essersi imbarcata in una difficile impresa di traduzione, anche se leggermente perplessa dopo che se l'era aspettata, Lex si tirò le ginocchia al petto per osservare cosa avrebbe fatto ora il cacciatore. L'alieno semplicemente tornò a sedersi contro la parete, più vicino di quanto fosse prima – probabilmente per caso. Si era proposta di chiedergli se voleva fare i turni di guardia, ma alla fine aveva dovuto abbandonare il proposito perché, primo, non sapeva se e quanto aveva bisogno di dormire, e francamente dubitava che i ritmi coincidessero con i suoi, e secondo, era un'offerta abbastanza ridicola: si sarebbe fidata di se stessa, se fosse stata al posto dell'alieno? Doveva apparirle come una bambina che si offriva di vegliare assieme agli adulti: ammirevole, ma inutile. La presenza del cacciatore, dopo aver visto di cos'era capace, era – nonostante la sua natura selvaggia e barbarica – confortante. Poteva sembrare strano, ma Lex aveva un improvviso timore del buio. Del buio, e dei mostri che potevano uscirne. Con il cuore che solo ora cominciava a riprendere un ritmo normale e il sacco a pelo impregnato dell'odore di sudore e paura, di tornare a dormire non se ne parlava proprio, così la ragazza, nella speranza di distrarsi, si mise alla “finestra” trasparente della tenda, ad osservare – era forse la prima volta che aveva occasione di farlo con la dovuta calma – il suo inusuale compagno di viaggio.
Era rivestito da un'armatura segmentata, vagamente simile a quella di un cavaliere medievale; la maggior parte di quell'armamentario doveva servire come protezione, anche se intorno alla cintura aveva delle specie di saccocce che probabilmente servivano per contenere... cose – tra cui cibo, se aveva inteso bene. La corazza sembrava pesare una tonnellata, ma se era fatta tutta dello metallo del pezzo che le aveva dato, in realtà doveva essere abbastanza leggera. Nei punti lasciati scoperti dall'armatura la sua pelle era marrone scuro oppure gialla, a seconda che si trattasse del lato inferiore o superiore del corpo, ricoperta da una rete a maglie larghe. Pigramente si domandò se fosse l'equivalente dei vestiti per quella specie aliena e magari un dispositivo per conservare il calore, visto che, a parte qualche legaccio che probabilmente era più decorativo che altro, una fascia attorno ai lombi di un materiale che sembrava cuoio – ma probabilmente non lo era – e ovviamente l'armatura, il cacciatore era praticamente nudo nel gelo antartico, senza però dare l'impressione di risentirne minimamente.
Dietro la testa, dove in un essere umano ci sarebbero stati i capelli, l'alieno aveva appendici inanellate che in effetti somigliavano vagamente a capelli raccolti in dreadlocks... oppure alle foglie di certe piante grasse o a tante code di lucertola. Chissà a cosa servivano...
Senza neanche accorgersene, scivolò dal fare ipotesi al sonno.

“Senti, come pensi di arrampicarti, tu?”
A giudicare dalla luce, Lex si era svegliata attorno a mezzogiorno e aveva trovato il cacciatore in piedi. Se avesse dormito anche lui, non era dato a saperlo. Era indubbiamente tardi, se voleva sfruttare la decina scarsa di ore di luce a disposizione, ma negarsi il sonno non l'avrebbe aiutata e, dopo l'ordalia del giorno precedente, aveva un disperato bisogno di riposo. Aveva sempre provato un certo orgoglio per la propria forma fisica – un prerequisito fondamentale della carriera che aveva scelto – ma nessuna preparazione era sufficiente per quello che aveva passato neanche dodici ore prima. Si era alzata con i muscoli doloranti e tormentati dai crampi, tanto da farle temere di dover seguire l'alieno strisciando: sull'addome, dove l'altro cacciatore l'aveva calciata, doveva essersi formato un bel livido, che faceva a pari con quello che si era guadagnata sbattendo contro la colonna; le braccia le pesavano e le gambe sembravano di piombo. La giornata era iniziata con la ragazza intenta a contorcersi come un'anguilla per togliersi la canottiera ancora zuppa di sudore senza sfilarsi anche gli altri vestiti: più facile a dirsi che a farsi, ma non poteva permettersi che le si congelasse addosso, avrebbe significato rischiare l'ipotermia.
Le ore trascorse non avevano reso meno impressionante la parete di ghiaccio, che scintillava al pallido sole come una scultura ultraterrena. Lex sapeva che, se avesse avuto la sua attrezzatura e fosse stata adeguatamente riposata, sarebbe stata... no, non una passeggiata, dato che solo gli sciocchi sottovalutavano i pericoli di una parete sconosciuta, ma almeno qualcosa di fattibile. Tutto il suo equipaggiamento era però a bordo della Piper Maru e il cacciatore non sembrava sul punto di far apparire per magia qualche suo alieno equivalente. Aveva fin troppo in mente la sua ascesa dell'Everest – temperature a meno quaranta gradi, venti sferzanti a 160 km/h che minacciavano di strapparla dalla roccia, lo sforzo di issare il proprio corpo con una concentrazione di ossigeno che avrebbe dovuto permetterle a malapena di respirare – e, considerate le proprie condizioni, quella salita si prospettava come qualcosa di molto simile, sebbene su scala ridotta.
Gli aveva domandato perché non potessero usare la navetta, ottenendo come risposta un insieme di gesti e frasi registrate che aveva tradotto più o meno come: è già tanto se questo trabiccolo si è staccato dal suolo, non è fatto per il volo orizzontale né tanto meno per quello verticale.
Scalata, quindi. E di nuovo dipendeva in tutto e per tutto dal cacciatore. Non per la prima volta si chiese se per caso l'altro non traesse qualche godimento dal metterla di fronte a situazioni che non era in grado di affrontare da sola. L'alieno la chiamò a sé con un grugnito, quindi indicò la parete, se stesso e lei.
“Sì, sì, dobbiamo arrampicare, l'ha capito, ma come?”
Stavolta la creatura indicò prima se stesso, poi la parete, poi la ragazza e poi di nuovo se stesso, quindi inclinò la testa – gesto che Lex aveva imparato corrispondere ad un “hai capito?”
Non tanto bene, in realtà, quindi l'alieno ripeté i segni, spaziando i primi due dagli ultimi due. Un lampo di comprensione passò per la mente della ragazza: “Stai dicendo che intendi portarmi tu?”
Aveva capito bene. Il cacciatore si chinò, permettendole di salirgli sulle spalle, cosa che lei fece, cingendogli il collo con le braccia. Se non altro, pensò mentre soffocava l'orgoglio, non avrebbe dovuto imbarcarsi in una faticosa scalata. In un angolo della mente, notò che quelli che sembravano capelli erano appendici cutanee dalla consistenza vagamente gommosa che, somiglianza a parte, con i dreads avevano poco da spartire.
“D'accordo, tu porti me, ma comunque non ho ancora capito come intendi salireeeehhh...!”
L'ultima parola si deformò in un grido di sorpresa quando il cacciatore contrasse le gambe e spiccò un balzo che lo portò ad ad aggrapparsi alla parete a tre metri buoni di altezza. Lex deglutì mentre il movimento la scaraventava avanti e poi indietro, rischiando di sbattere il mento contro il bordo dell'armatura: non somigliava a nessun metodo d'arrampicata che conoscesse. Serrò la presa mentre l'alieno saltava di nuovo: dopotutto, cosa si doveva aspettare da un extraterrestre convinto che il perfetto rito di passaggio all'età adulta consistesse nel dare la caccia a bestie infernali all'interno una piramide-labirinto? Chiodi e corde non facevano per lui, questo era chiaro, e – per quanto disagevole per la sua passeggera – il metodo si rivelò sorprendentemente veloce. Nel tempo che Lex avrebbe impiegato a coprire forse un quarto della distanza, avevano raggiunto la sommità della parete. Dalla sua altezza di due metri e mezzo la ragazza ebbe per un attimo una splendida visuale di un pianoro ghiacciato... prima che il cacciatore la scaricasse per terra, non violentemente ma nemmeno con particolare garbo.
Magari, tenendo conto di quanto forte è, questa è la sua idea di gentilezza, pensò Lex rimettendosi in piedi. Un sibilo e uno scatto metallico attirarono la sua attenzione e voltandosi in direzione della provenienza del suono vide che le lame curve ai polsi e sui piedi dell'alieno si ritraevano alla lunghezza usuale. Dunque era così che aveva fatto ad arrampicarsi...
Un ticchettio, il suono che aveva imparato il cacciatore faceva quando voleva attirare la sua attenzione, le fece sollevare lo sguardo. La creatura attese di essere sicura che la stesse guardando e quindi fece un ampio, enfatico gesto verso la distesa ghiacciata. Chiaramente voleva indicarle qualcosa, ma...
“...oh.”
Quella che aveva scambiato a prima vista per una piana, era in realtà una distesa nebulosa dalla quale, strizzando gli occhi, riusciva a distinguere a fatica alcune sagome più scure.
A forma di piramide.

- - - - - -
Anno nuovo, capitolo nuovo. Niente da dire, eccetto che lo stile di arrampicata di Scar è basato su Concrete Jungle e alcune affermazioni (nei contenuti speciali di AVP, mi pare) secondo le quali i sandali artigliati sarebbero serviti ad arrampicarsi.
 
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Aesìr
view post Posted on 5/4/2019, 19:21




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Did you ever stand in a Cavern's Mouth –
Widths out of the Sun –
And look – and shudder, and block your breath –
And deem to be alone

- Emily Dickinson



“Mi stai prendendo in giro? Non ho intenzione di mettere piede là dentro. No. Assolutamente no.”
Dio solo sapeva cosa avrebbe fatto – starsene lì a congelare non sembrava una grande opzione – ma, dopo essere sopravvissuta solo grazie ad una notevole dose di fortuna alla precedente piramide, la sola idea di rimettere piede all'interno di una di quelle costruzioni le faceva tremare le gambe. Questa volta Lex era categorica nella sua decisione.
Il cacciatore non parve gradire il suo ultimatum, perché si voltò con un profondo ringhio. La ragazza si vide riflessa nelle lenti della maschera e per un momento la sua sicurezza venne meno, ma poi le paure che quel luogo evocava ebbero la meglio:
“Guarda, puoi fare il tuo verso quanto ti pare, io...”
L'alieno non parve ascoltarla, impegnato com'era a digitare sul suo computer. Dopo un attimo, l'ologramma rosso di uno dei serpenti fluttuò qualche centimetro sopra il suo bracciale. La proiezione durò qualche secondo, poi il cacciatore aggiunse: “No”.
Lex trasalì: non si sarebbe mai abituata a sentire la propria voce uscire dalla maschera.
“Stai dicendo che qui non ce ne sono?”
L'altro non la degnò di una risposta – cosa che poteva significare praticamente tutto - e la oltrepassò, incamminandosi verso le sagome degli edifici.
La ragazza lasciò cadere le braccia lungo i fianchi: “Merda.”
Solo perché erano stati all'inferno assieme, e ne erano usciti, non significava che quella creatura fosse sue amica. Senza sprecare mezza parola, il cacciatore aveva chiarito la propria posizione: o vieni con me ed entri nella piramide, o stai qui fuori ma da sola. Restare all'esterno avrebbe significato che, in parole povere, Lex avrebbe anche potuto risparmiarsi il viaggio nella navetta e la scalata: tanto, per morire congelata un luogo valeva l'altro. In sostanza, si trattava di scegliere fra la certezza di una morte relativamente indolore e la possibilità di una fine di gran lunga peggiore. La ragazza si rese conto che, così come stavano le cose, non aveva nessuna reale possibilità di scelta, e che in realtà aveva già preso la sua decisione nel momento stesso in cui aveva preteso di seguire il cacciatore.
Bastardo. Come se non gli avessi provato abbastanza...
Con un sospiro piantò lo sguardo sulle ampie spalle dell'alieno – fa che non mi debba pentire di questa decisione – e allungò il passo in una breve corsa che le permise di raggiungerlo. Il cacciatore non si voltò per guardarla... e aveva senso, considerando che i rumori di passi non potevano appartenere ad altri che a lei. Tuttavia la salutò con uno dei suoi ticchettii e la ragazza lo accettò come un gesto di pace.
Alla fine, si disse, ha sostenuto che di mostri neri non ce ne sono, probabilmente mi proteggerà se dovessimo incontrare qualche ostacolo. Non dovrebbe essere così male...

- - -

Lo yautja era leggermente confuso dal comportamento dell'umana, anche se non era certo la prima volta che i suoi gesti lo lasciavano perplesso. Immaginava che fosse ansiosa quanto lui di allontanarsi da quello scomodo terreno di caccia e magari, data la natura socievole degli umani, raggiungere i suoi simili, eppure si era fatta di colpo reticente. Era certo che avesse qualcosa a che fare con il cambiamento dei ferormoni emanati dal suo corpo, anche se non li sapeva interpretare. Aveva dovuto spiegarle che seguirlo rappresentava la sua unica possibilità, cosa che in precedenza era stato convinto le fosse ben chiara. Non sapeva quanto potessero sopravvivere gli umani in quelle condizioni climatiche e con scarse scorte di cibo, ma era abbastanza sicuro che sarebbe morta prima di poter essere soccorsa. Quindi, perché tentennare?
Poteva capire la sua paura per le serpi – per una razza così debole, l'esperienza nella precedente piramide doveva essere stata terrificante – ma quelle erano costruzioni deputate ad altri scopi, non alla caccia rituale. In effetti, era un sito piuttosto antico, tra quelli presenti sul quel pianeta, edificato quando ancora il continente era libero dai ghiacci. Non si era documentato sulla storia dell'insediamento, ma probabilmente era stato abbandonato quando il luogo era diventato inospitale per gli esseri umani: un terreno di caccia senza prede non aveva grande utilità. Il luogo letteralmente trasudava della storia della sua specie su quel pianeta e una parte di lui avrebbe voluto soffermarsi a rivivere le gesta dei cacciatori che erano sicuramente immortalati sulle pareti. Il desiderio tuttavia era in subordinato a quello di lasciare il prima possibile il posto e non farvi ritorno per un bel pezzo.
La sua principale preoccupazione, anche se non l'aveva accennata all'umana – sarebbe stato alquanto difficile, dato il limitato vocabolario che condividevano – non erano le serpi, ma che le strutture, non sottoposte a manutenzione, non avessero retto lo scorrere del tempo. Era rassicurante il fatto che l'impianto energetico fosse ancora in funzione, come dimostrava la nebbia che circondava gli edifici, ma se si fossero trovati chiusi fuori avrebbe dovuto elaborare una soluzione alternativa, o aprirsi la strada con la forza. Ed era impaziente di verificare l'agibilità, dato che qualcosa gli diceva che, per com'era andata quella caccia finora, quel luogo poteva benissimo riservagli ulteriori sorprese...

- - -

Inconsapevole che la sua scelta di seguirlo l'aveva salvata dalle intenzioni del cacciatore di inculcarle un po' di buonsenso alla maniera della sua specie – che si sarebbe probabilmente tradotto in sollevarla di peso, infilarsela sottobraccio come un pacco e quindi procedere infischiandosene delle sue obiezioni – Lex lo seguì attraverso la foschia.
La caligine si innalzava dal terreno in lente spirali laddove la neve si era sciolta. Con i piedi che sciaguattavano nelle pozzanghere, la ragazza rischiò quasi di inciampare in un gradino nascosto dalla nebbia. Il cacciatore, che miracolosamente non se ne accorse – o almeno non commentò l'episodio con uno dei suoi versi – era come al solito perfettamente a suo agio. Magari quella maschera che portava lo aiutava ad orientarsi, oppure erano quella specie di capelli, forse funzionavano come i baffi dei gatti.
Come per la precedente piramide, anche questa aveva gradini di dimensioni insolite, spaziati tra di loro e ripidi, ma stavolta Lex ne conosceva il motivo: era stata costruita ad uso e consumo di colossi da due metri e passa. La ragazza sapeva che la sua mente si focalizzava su quei particolari per cercare di distrarla da altri dettagli, come i bassorilievi che ora sarebbe sta in grado di spiegare: che le grandi figure non rappresentassero dei o eroi ma alieni era un dettaglio relativamente innocuo, che sul volto degli uomini rappresentati non ci fossero maschere rituali ma le creature munite di otto zampe e la coda che saltavano fuori da uova alte un metro, invece no. Pensandoci – anche se non avrebbe dovuto pensarci – era inquietante la noncuranza con cui il sacrificio della sua specie, trattata alla stregua di bestie da riproduzione, era ridotto ad elemento di decorazione muraria.
Il cacciatore si piazzò davanti alla soglia. Lex si sarebbe aspettata qualche richiesta di legittimazione, come una password, ma si limitò a lampeggiare una luce rossastra mentre la porta si apriva in tre sezioni con uno sbuffo di vapore. Forse quel luogo riconosceva il ritorno dell'antico padrone. Una volta all'interno, la ragazza si trovò troppo impegnata a celare il nervosismo che le dava essere lì dentro per badare a statue e bassorilievi. L'odore di chiuso e di polvere era lo stesso, in ogni angolo le pareva di vedere le sagome accucciate dei mostri neri e nelle ombre che la torcia proiettava sul soffitto vedeva lisci crani allungati e code inarcate. Sempre meglio che restare al buio, comunque, dato che in quel caso ci avrebbe pensato la sua immaginazione a riempire le tenebre di figure e avrebbe seriamente rischiato di dare di matto.
A rassicurarla un po' c'era l'andatura del cacciatore, per nulla guardinga e anzi abbastanza spedita – tanto che ogni suo passo contava due di quelli di lei – segno che non dovevano esserci oggettivi pericoli se metteva il proprio desiderio di concludere in fretta la faccenda sopra la cautela.
La creatura navigò attraverso porte che si spalancarono in sue presenza e corridoi non dissimili da quelli della piramide ora distrutta con la medesima sicurezza mostrata in precedenza, fino a raggiungere un locale differente da tutti quelli visti finora. O forse semplicemente la nostra spedizione non l'ha trovata, pensò Lex. Come nelle altre opere di quegli alieni, l'arcaico si fondeva con la tecnologia, a cominciare dal fatto che era l'ingresso era sbarrato, esattamente come la porta principale. Nessun intruso avrebbe potuto finirvi per puro caso. Il cacciatore ignorò le rastrelliere di armi appese alle pareti, si fermò davanti al dispositivo al centro del locale e digitò qualche comando, generando una proiezione olografica che doveva rappresentare il complesso di piramidi: se Lex aveva ben compreso l'immagine, esse sorgevano sopra un sistema di caverne sotterranee. Probabilmente la mappa conteneva altre informazioni comprensibili solo per il cacciatore, perché trascorse forse un minuto in contemplazione, attivando ogni tanto qualche simbolo che ingrandiva questa o quella sezione o apriva quelle che dovevano essere schermate di testo.
Senza alcun preavviso, l'alieno si staccò quindi dalla proiezione, la spense e si diresse verso l'uscita. Lex si affrettò a seguirlo. Dovettero scendere varie rampe di scale intervallate da corridoi e la temperatura dell'aria si alzò leggermente. Il passo del cacciatore non era impietoso, ma richiedeva una certa tenuta fisica che – per sua fortuna – la ragazza possedeva. Tuttavia, ad un livello piuttosto basso della piramide, la velocità dell'alieno scese al punto che Lex riusciva a stargli dietro camminando senza alcuna fatica. Secondo i suoi calcoli, avevano superato i livelli che emergevano dal ghiaccio e quei corridoi dovevano essere scavati direttamente nella roccia. Il cacciatore sembrava ora impegnato ad esaminare i bassorilievi, così anche Lex, non avendo nulla di meglio da fare, avvicinò la torcia alla parete per dare un'occhiata.
Trasalì: nella fretta di tenere il passo, non aveva fatto troppo caso alle decorazioni murarie, ma le sculture erano peggiorate nello stile a tal punto che appariva evidente al suo occhio non addestrato. Gli elementi generali, come la dimensione delle aree deputate al bassorilievo e quelle che invece erano destinate al testo, erano i medesimi, ma le linee che le separavano si erano fatte incerte ed ondeggianti. Il lavoro in bassorilievo era ineguale, a volte inciso eccessivamente in profondità, a volte troppo superficiale, perfino nella stessa figura. La scelta dei soggetti era sempre la stessa – gli alieni e le creature mostruose a cui davano la caccia – ma non la maestria nell'operato. Quella che Sebastian aveva chiamato scrittura sembrava aver perso qualunque significato, ridotta a mero ornamento che si ripeteva sempre uguale a cadenza regolare. In sostanza, quanto decorava quelle pareti era solo una vaga imitazione dei piani superiori e dell'altra piramide. I cacciatori viaggiavano nello spazio quando ancora l'umanità batteva assieme due pietre per accendere il fuoco, e le armature raffigurate dalle statue sembravano più o meno uguali a quelle del suo compagno, quindi come si inseriva nel quadro una simile degenerazione della loro cultura? Forse il defunto archeologo avrebbe potuto darle una spiegazione, eppure la ragazza ne dubitava: l'alieno sembrava ugualmente perplesso e forse – essendo in grado di interpretare molto meglio di lei i bassorilievi – lo era molto di più, almeno a giudicare da come continuava a sfiorare la roccia con le dita artigliate.
Quando infine si raddrizzò Lex sperò che volesse semplicemente dire che in quel momento non aveva tempo per l'arte e che avrebbe proceduto come previsto, ma le sue speranze furono deluse quando il cacciatore si voltò verso di lei e, avvicinandosi ben più cautamente di come avesse fatto fino ad allora, picchettò un dito sullo spallaccio e quindi indicò la lancia che la ragazza portava a tracolla.
Lex avrebbe voluto sprofondare. Non le serviva traduzione per quei gesti: prepara le armi, guai in vista. Obbedì senza discutere: per terribile che fosse la creatura a cui si accompagnava, aveva imparato sulla propria pelle che tra i ghiacci dell'Antartide poteva essere in agguato di peggio. Molto di peggio.

- - - - - -
Bene, ci siamo. Una conoscenza di alcune opere storiche di fantascienza/horror dovrebbe far comprendere facilmente il riferimento e soprattutto dove sto andando a parare. Altrimenti… non vi resta che aspettare il prossimo capitolo ;) Non manca molto alla fine, ormai.
 
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view post Posted on 26/9/2019, 13:53
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If aliens ever visit us, I think the outcome would be much as when Christopher Columbus first landed in America.
Which didn't turn out very well for the Native Americans.

- Stephen Hawking



Lex era in guardia, le dista nervosamente serrate attorno alla lancia raffazzonata, ma nonostante ciò l'animale la colse di sorpresa. Ebbe il tempo di vedere una forma bianca schizzare attraverso il corridoio, quindi la creatura la superò. Fu solo quando si fermò, prima della svolta, che riuscì a darle un'occhiata: grossomodo delle dimensioni di un gatto, la testa somigliava a quella di un coniglio, mentre il corpo si avvicinava di più a quello di un minuscolo cervo. Aveva la pelliccia completamente bianca, ma gli occhi e i denti che si intravedevano nella bocca semiaperta, ansimate, erano rossi. Dal corridoio giunse un rumore di passi sulla pietra: anche la creatura lo sentì, lanciandosi oltre la curva e sparendo alla vista.
Lex riportò lo sguardo all'alieno, ma non lo vide più. Il panico si impadronì di lei: sperduta in uno dei luoghi più remoti del pianeta, a chissà quanto dalla superficie, con degli esseri misteriose in arrivo, e ora sola! Fece un passo indietro, ma prima che riuscisse a farne un altro un ringhio sommesso la bloccò. Il cacciatore era ancora lì, dunque, ma lei non poteva vederlo. Una distorsione nell'aria si mosse nel luogo in cui avrebbe dovuto trovarsi la creatura, e di colpo tutti i pezzi andarono a posto, compresa la strana sensazione che aveva provato quando era stata attaccata per la prima volta da uno di quegli alieni: potevano rendersi invisibili. Così avevano condotto tutte quelle cacce sulla terra senza che nessuno si accorgesse di loro. Adesso, strizzando gli occhi, poteva cogliere la distorsione che formava la sagoma umanoide, ma non l'avrebbe mai vista se non avesse saputo che era lì. Nella penombra, il mimetismo era praticamente perfetto.
La scoperta era rincuorante, per quanto potesse esserlo la compagnia di un mostro omicida, ma almeno non avrebbe dovuto affrontare... qualunque cosa stesse arrivando... da sola. Passò un istante, poi due. L'eco dei passi doveva aver preceduto di molto gli esseri che l'avevano prodotto. Poi di colpo il cunicolo fu invaso di ombre pallide e di arti che si dimenavano, e non le rimase altro che sollevare la lancia e attendere l'urto.

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Ancora prima di scorgerli, i versi acuti che emettevano comunicarono allo yaut'ja che i suoi avversari non erano xenomorfi. Non appena entrarono nel suo campo visivo ne ebbe la conferma: erano avvolti da un'aura di calore, mentre le serpi avevano la stessa temperatura dell'ambiente che li circondava, fosse questo un deserto infuocato o il gelo dello spazio. Restava da stabilire cosa fossero quegli esseri. Un lancio di shuriken decapitò – piuttosto letteralmente – il loro fronte d'assalto, catturò fra le lame rotanti uno di essi e lo inchiodò al muro, convenientemente a portata della mano del cacciatore. Lo yaut'ja liberò l'arma, tagliandolo a metà. C'era un'altra differenza con le serpi: quegli esseri frenetici morivano facilmente. E allora perché non divertirsi un po'?
Disattivò l'invisibilità e brandì la lancia, spazzando via come stecchi le ridicole armi che quelle creature protendevano. Percepì che una di loro stava cercando di arrampicarsi sopra di lui e la colse a mezza'aria con un colpo del cannone al plasma, aprendo nel suo torace un buco largo come un pugno. L'essere gli ricadde sulla spalla, inondando di sangue la sua armatura. L'invisibilità crepitò e il cacciatore si affrettò a spegnerla. Tanto, non ne aveva bisogno. Davanti alla sua imponenza, le creature arretrarono, sbigottite e probabilmente terrorizzate. Lo yaut'ja ringhiò, già pregustando l'imminente massacro, quando gli giunse un grido. Dietro la maschera, socchiuse gli occhi: per un attimo, si era dimenticato dell'umana...

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Lex non si stava divertendo. Niente affatto. E avrebbe avuto da ridire su un concetto di divertimento che prevedeva massacrare dei... onestamente, non sapeva bene cosa fossero... in una caverna sotterranea, se avesse avuto la possibilità di pensarci. La prima di quelle creature si era praticamente schiantata contro la lancia: l'asta legata su un differente livello rispetto alla punta della coda del mostro nero ne aveva a tutti gli effetti arrestato l'avanzata, bloccandolo ad una conveniente distanza, dove schiamazzava, si contorceva e agitava gli arti pallidi. Non sarebbe neanche stato così male – o meglio, avrebbe potuto essere molto peggio – ma quando la seconda di quelle creature comparve Lex realizzò che, con la prima inchiodata sulla lancia, non poteva difendersi efficacemente. Sbarazzarsi della prima avrebbe necessitato di tempo che non aveva. Fece una finta, quindi urlò e, caricando con la lancia bassa, la sbatté contro la parete, infilzandola come un pollo allo spiedo. Ora, però, l'asta si era fatta veramente pesante e, verosimilmente, non sarebbe stata in grado di manovrarla con sufficiente agilità per affrontare il terzo essere, che si stava avvicinando con parecchia più cautela dei primi due. Data la reciproca differenza di dimensioni stava considerando se non le convenisse mollare la lancia, sperando che lo ostacolasse, e affrontarlo a suon di pugni, quando scivolò su qualcosa. La creatura strillò di gioia, certa della sua vittoria, ma il verso si tramutò in un grido di panico quando venne bruscamente sollevata da terra. Una scura mano artigliata si era serrata sulla sua testa, e continuò a chiudersi finché il cranio non esplose in frammenti sanguinolenti. Le dita si aprirono e il corpo decapitato precipitò al suolo.
Il cacciatore si stagliò davanti a lei, protendendo la mano insanguinata per aiutarla a rialzarsi. Lex si trovò ad accettarla, troppo sfinita dallo scontro per imbastire un rifiuto convincente, quando si accorse che due di quelle creature si stavano arrampicando sulle pareti opposte, chiaramente cercando di prendere il cacciatore ai lati.
“Attento...!”, gridò, ma naturalmente se n'era già accorto. L'essere proveniente da destra venne sbattuto tra la parete e il suo braccio, quello proveniente da sinistra agguantato a mezz'aria. L'alieno schiaccio bruscamente il bracciale contro il muro, praticamente ghigliottinando con il bordo la prima creatura, che si trovava in mezzo. Due lame uscirono con un sibilo metallico dalla protezione e aprirono il secondo essere dalla gola fino in fondo al busto. Questo senza alcuna considerazione per Lex, che si trovava subito sotto e si trovò investita da una doccia di interiora quando queste si riversarono fuori dal corpo sventrato. Ebbe a malapena il tempo di chiudere gli occhi.
“Cazzo cazzo cazzo”, imprecò, cercando di ripulirsi il volto. Il fetore era rivoltante.
Mezza accecata, voltò freneticamente la testa, cercando tracce di altre di quelle bestie, che di sicuro non dovevano essere rimasta ad aspettare, finché una mano enorme non si chiuse sopra la sua, bloccando la lancia in una stretta inamovibile. Lex alzò lo sguardo, incontrando la maschera del cacciatore.
“Stop”, disse la sua voce da dietro quella maschera.
Erano completamente soli.

Con un sospiro, la ragazza si lasciò scivolare contro una parete. Non era finita, dunque. Altre creature che attentavano alla sua vita. Maledizione, se era stanca! In quel momento avrebbe voluto più di ogni altra cosa non aver mai sentito le parole di Sebastian che le avevano fatto cambiare idea circa quella spedizione. Avrebbe potuto scaricare il fardello sulle spalle di qualcun altro ed ora essere nella sua casa sulle Montagne Rocciose, felicemente ignara delle scorribande terrestri di una razza aliena. Ovviamente era un'idiozia. Se non fosse stata in quella piramide i mostri neri avrebbero vinto, e la felicemente ignara Lex sotto le coperte di casa sua si sarebbe ben presto trovata in grossi guai. Nonostante ciò, era bello sognare. Mentre la scarica di adrenalina si esauriva, sentì il peso di quella giornata e di quella precedente iniziare a gravarle sulle spalle. Che male ci sarà, si chiese, se chiudo gli occhi per un momento? Un momento solo...
Uno schiocco metallico, assordante. Aprì gli occhi di scatto per ritrovarsi a fissare due lame seghettate ad un paio di centimetri dal suo naso. Gridò, affrettandosi ad allontanarsi dalla prospettiva di ritrovarsi con una terza narice. Le lame erano attaccate al bracciale del cacciatore, che la fissava dall'alto in basso.
“Cosa diamine...?”, sbottò Lex, spaventata ed infastidita.
L'alieno ringhiò in tono di rimprovero, indicò uno dei cadaveri per terra e poi lo spazio che li circondava. Non siamo ancora al sicuro. Non abbassare la guardia neanche per un istante.
La ragazza sospirò, frustrata. La cosa peggiore è che il cacciatore aveva anche ragione... non che, se avesse avuto torto, lei avrebbe avuto qualche argomento per ribattere. Era chiaro da che lato pendeva la bilancia. Le fu ancora più chiaro quando l'altro iniziò a raccogliere i suoi trofei. Ad occhi sbarrati lo osservò chinarsi per raccogliere la testa mozzata di una delle creature, esaminarla con attenzione e quindi riporla. Quando però appoggiò il piede su uno dei cadaveri e fece leva per strappargli via la colonna vertebrale, con un potente ruggito, Lex decise che aveva visto abbastanza per una vita intera. Era particolarmente nauseante anche perché, a differenza dei mostri neri, quelle creature avevano il sangue rosso come il suo. Turbata, voltò la testa verso il corridoio, per risparmiare almeno gli occhi a quello spettacolo, ma non poté impedire al rumore di carne strappata e ossa che si rompevano di raggiungere le sue orecchie, né al tanfo di sangue ed escrementi – evidentemente, nella morte, alcune creature avevano svuotato gli intestini – di insinuarsi su per il suo naso.
Sperò con tutto il proprio cuore che il marchio che le aveva posto il cacciatore non sottintendesse che doveva prendere parte anche a lei alla raccolta di trofei, perché non sarebbe riuscita a farlo neanche per salvarsi la vita. In più, probabilmente l'opinione che l'alieno aveva di lei sarebbe probabilmente calata di botto se l'avesse vista vomitare nel sangue, e questa – considerate le circostanze – era un'opzione che non si poteva permettere.
Un ringhio la riscosse: il cacciatore le stava indicando le sue uccisioni. Oh no oh no oh no... Deglutendo pesantemente, la ragazza si avvicinò con cautela ad una delle creature morte: giaceva prona, con un buco sulla schiena, dove la lancia l'aveva trafitto, ma a parte questo era relativamente intatto.
Darò solo un'occhiata, si promise Lex, cercando di respirare dal naso. Solo un'occhiata, e speriamo che sia contento...
Tuttavia, non appena ebbe guardato meglio la bestia uccisa, scordò quello che poteva pensare il cacciatore, o almeno lo mise in secondo piano. La creatura era umanoide, con la pelle bianchiccia tesa sulle ossa. Un corpo piccolo e lunghi arti snelli. Niente pelo o pelliccia, un tratto strano per un animale che viveva in Antartide. Probabilmente evitava la superficie e dimorava sottoterra, dove la temperatura era tale da permettergli di sopravvivere. Era definitivamente un essere curioso. Si chiese cosa potesse essere: forse una specie sconosciuta di primate? Non aveva la coda. Una volta il Sudamerica era stato collegato all'Antartide, forse questa scimmia veniva da lì?
Si chinò e rovesciò la creatura supina, notando nel mentre le lunghe orecchie appuntite... e fece un passo indietro, inorridita: nonostante i piccoli occhi ciechi, il naso piatto, il volto scavato e la pelle grigiastra, infatti, quell'essere mostrava, indubbiamente, i segni dell'umanità.




Eccomi qui... sono successe un po' di cose che mi hanno momentaneamente allontanato dalla scrittura. Spero che l'attesa sia valsa la pena. Sempre che ci fosse qualcuno ad attendere, s'intende :D
 
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12 replies since 1/9/2018, 17:19   489 views
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