Si tratta di una vecchissima discussione su Alien di mio pugno: ci saranno molte cose che avrete già sentito nel forum...ma in fondo non si può cavare sangue da una rapa.
Detto questo, spero vi interessi.
Editato originariamente su
https://insanitytales.forumfree.it/?t=69654014In data 12/10/2014
All'interno della paura...
Già, il titolo è quanto mai azzeccato per parlare del dietro le quinte di un capolavoro del cinema, non solo fantascientifico.
Perché, come l'alieno stesso si nasconde prima nel corpo dell'uomo e poi negli anfratti viscerali della nave stessa, così fa anche nei confronti della mente dello spettatore e dei personaggi che si trovano costretti ad affrontarlo.
Alien è un qualcosa che scava nel profondo di ognuno, facendone appunto emergere le paure più ataviche e primordiali che infestano l'angolo più lontano dalla ragione, l'arma principale contro i fenomeni che l'uomo non sa spiegarsi.
Innanzitutto, smentisco a fin di bene ciò che ho detto sulla bacheca di FB: Alien non è proprio un horror, a mio parere è più un thriller ambientato nello spazio, dato che il vero orrore nel film sta in quello che non viene mostrato, più che nello splatter, pur essendo innegabile la presenza di una vena di quest'ultimo genere che sarebbe nato di lì a poco.
La pellicola, però contiene molto di più di questo e può essere accostata ad altri masterpieces non solo del cinema, ma pure della letteratura.
Partiamo, per gradi, dalle sequenze iniziali.
Abituato ai titoli di testa di Guerre Stellari, o di 2001:Odissea nello spazio, lo spettatore si ritrova ad osservare la lenta ed esasperante formazione di tanti singoli blocchi geometrici, spigolosi e freddi, che andranno a comporre il titolo per esteso del film, una sequenza potente e allo stesso tempo inquietante, sottilmente inquietante.
Il tutto con lo sfondo il silenzio più assoluto, mentre le fredde cavità del cosmo scorrono sotto ai suoi occhi.
La nave Nostromo fa quindi il suo debutto sullo schermo: una nave grossa, decadente, più simile ad una fabbrica di dickensoniana memoria che ad un veloce cacciatorpediniere stellare; un costrutto vuoto, buio ed angosciante, dalle cui pareti il grasso cola a terra, ove cunicoli stretti e neri si alternano ad asettiche stanze bianche, che vorrebbero suggerire purezza, ma accentuano solo il loro lato alieno ad ogni umana concezione di “casa”, dove la sola presenza “viva” è Mother, la I.A. che amministra l'intero cargo quando l'equipaggio è immerso nell'ipersonno.
Cosa molto interessante, che accosta immediatamente la nostra Madre ad Hal 9000, il computer assassino di 2001: l'affidare le vite di persone nella mani di un'intelligenza artificiale, di cui non si sa pressoché nulla, che non è in grado di provare sentimenti o emozioni, ma solo di simulare un distacco freddo ed ostile che pian piano si aggiungerà alla colonna sonora della trama.
Il computer, reso per l'epoca in cui fu girato il film, contemporaneo ed avveniristico al tempo stesso, con la sua interfaccia verde e regolare, è regista della storia, perché è lui, o meglio, “lei”, a ridestare dal sonno, parodia ironica della morte che attende in agguato, i membri dell'equipaggio.
Come nei velieri che ogni lettore avrà conosciuto nei romanzi più classici, i nostri sono suddivisi per gradi, poiché, se siamo nel futuro, vige ancora il vecchio ordine marinaresco: ma, come si può facilmente notare, la nave non solo ricalca le galere o i galeoni nella gerarchia, ma pure nell'assetto generale del film.
Come i nostri sono lontani da casa e dispersi in un vuoto ostile, i marinai del Maelstrom o dell'Olandese volante sono anime in pena, che attendono solo l'occasione di fare un'altra vittima che si aggiunga al loro equipaggio.
I protagonisti, almeno all'inizio, risultano alquanto antipatici: se Ripley si designa subito come un maschiaccio, volgare e dura, i suoi compagni non sono da meno: rozzi, interessati solo ai soldi, difficilmente potrebbero far immedesimare lo spettatore nei loro panni.
Non in un cargo immerso nella più desolante oscurità siderale...ma la cose non stanno così, come il pubblico inizialmente percepisce il film.
La chiamata fa dunque scendere sul pianeta alieno i nostri: il capitano Dallas, Lambert la cartografa e Kane si muniscono di tute per avanzare a fatica sul suolo ostile del mondo inumano: il tutto calato in una tempesta interminabile, un monito a non proseguire, mentre da ogni lato emergono spuntoni di roccia, somiglianti alla schiena di un essere primordiale in letargo, un qualcosa da non svegliare per nessuna ragione.
Arriviamo quindi ad una delle scene più significative di Alien: ossia l'avvistamento del relitto alieno.
La nave viene raggiunta con circospezione, con studiata cautela, perché, in fondo, si tratta di qualcosa che non si conosce.
Il modo stesso per entrare negli interni della suddetta è atipico, e quasi straniante: le entrate, più che vere e proprie porte, sembrano sfiatatoi, a forma, non a caso, di organi sessuali femminili.
L'entrata nella nave vale come un biglietto di sola andata per la morte, il contrario della vita: lo varcare la porta d'entrata nella vita umana, come nuovo individuo, al contrario è un simbolo di sovversione, di un'azione aliena, appunto.
Lo scheletro dello Space Jockey esemplifica quindi tutto il contesto su cui si permea il film: l'urlo muto, ormai morto e insensibile ad ogni aiuto, perché al di là di qualunque intervento...forse una probabile citazione all'urlo di Munch, non a caso quadro angosciante e dall'atmosfera non umana.
La calata nella stiva della nave, somigliante ad uno scheletro di balena, o di qualche atavica presenza, rimanda subito alla mente i Grandi Antichi di Lovercraft: il tutto li riporta all'attenzione dello spettatore, perché all'interno della stiva si prova lo stesso senso di oppressione che si può avere al cospetto di un essere primordiale, non terrestre.
Il faccia a faccia con l'uovo, non potrebbe che esemplificare meglio la strutture del nemico alieno: non sembra una cosa organica, o meglio, è viva, senza dubbio, ma il meccanismo di apertura (mi permetto di far notare che, il meccanismo che consente di aprire l'uovo dai tecnici è meccanico, certo, ma il tutto accentua lo straniamento) del bestio è fin troppo meccanico per risultare qualcosa di vivente, comprensibile all'uomo.
Qui, mi si consenta di far vedere l'unica cosa stupida del film: chi, sano di mente, andrebbe a guardare in una roba di cui non si sa nulla, che potrebbe essere di tutto?
Vabbè che sennò il film non proseguiva, ma...
Comunque, lo sfortunato Kane viene aggredito e già in questa situazione inizia ad emergere la frattura fra la protagonista e gli altri membri dell'equipaggio: la sua freddezza raziocinante, risulta intollerabile agli occhi dei suoi compagni, che vorrebbero evitare la quarantena al poveretto, mentre lei è convinta della possibile pericolosità della creatura aliena per tutti loro.
Ironia della sorte, è Ash l'androide ad aprire la strada al mostro, mentre lo spettatore si chiede cosa succederà ora, visto che ogni regola logica sta andando a buone donne in favore di un'emozionalità schizzata.
Kane viene sottoposto ad un esame, che fa scoprire, in maniera molto pericolosa, come la bestia aggrappata alla sua faccia sia impossibile da togliere, dato che al posto del sangue possiede un potente acido: e, come tutto nella sua figura fa presagire, perfino la sua linfa vitale, che simbolicamente rappresenta la vita dell'uomo, è una sostanza di morte.
Il risveglio di Kane, subito dopo la dipartita apparente dell'alieno, fa tirare a tutti un sospiro di sollievo: una reazione umanissima, che rende il tutto ancor più realistico ed inquietante per lo spettatore: qui quasi si sfonda la quarta parete, perché è nella natura umana provare gioia per lo scampato pericolo di una persona cara o quantomeno che si conosce bene.
E qui avviene il vero risveglio.
La nascita del cherstbuster, che avviene tramite un ospite maschio (attenzione), è una cosa contro natura: nessun parassita determina in questo modo la morte della sfortunata creatura che lo ospita, perché è un sistema riproduttivo altamente negativo, dato che non è che da un solo uomo nascono più alieni, ma uno solo.
La nascita è in sé disgustosa e orribile, ma perfino “tenera”: il modo in cui l'alieno si guarda attorno, infatti, ricoperto di sangue e carne, osservando prima Kane, il padre morente e i suoi zii, non può che richiamare alla mente, in maniera ironica e per questo “tenera”, la nascita di un essere umano.
Ma il mostro, in questo caso, è solo un demone distruttore, che solo l'intervento di Ash salva da morte certa: il mostro organico che viene protetto dal mostruoso androide.
Da qui in poi la nave, che all'inizio era apparsa solo fredda, diviene un coacervo di orrori invisibili, di presenze sfuggenti: in questo film i jumpscares, sono pochi, ma ben studiati, perché la presenza del gatto Jones non fa che accentuare la dimensione domestica del film, dato che, come nel passato, durante i lunghi viaggi, gli esploratori portavano animali da compagnia con sé, per ridurre la sensazione di lontananza da casa.
La caccia all'alieno si trasforma quindi in un selvaggio attacco del mostro ai danni degli uomini.
La prima vittima è Brett, la cui scena di morte è esemplare per comprendere il sottilissimo sostrato religioso contenuto nel film, non presente la suddetta nella versione italiana.
In sostanza, mentre cerca di attirare il gatto per evitare che lo scambino nuovamente per l'alien, la bestia cala dietro di lui: lo fa da un'apertura che è illuminata di luce, a simboleggiare la salvezza, da cui ognuno di loro è lontano, e tramite le catene, simbolo di schiavitù e legami forzati, usandole come un Cristo: infatti la posa che assume è a braccia aperte, la testa piegata verso il basso, promettendo una salvezza che è solo di morte.
In questa scena, prima di uccidere il tecnico, l'idolo blasfemo accarezza dolcemente Brett, mentre egli è impietrito come davanti ad un'intelligenza superiore, ad un qualcosa che è impossibile da capire, ma alla ferocia si palesa, distruggendo il fragile corpo di Brett, che viene brutalmente catturato a portato via dall'alieno.
Rapito dal salvatore verso la luce del Paradiso, si potrebbe dire...ironicamente.
Nelle sequenze seguenti, è Dallas a calarsi nelle viscere della nave: anche in quest'occasione, il viaggio è una discesa negli anfratti della madre, si nome e di fatto: un biglietto di sola andata verso l'inferno, perché, come con Brett, il nuovo figlio-parassita di Mother imprigiona il capitano, mentre i suoi compagni, tranne Ash, osservano la tragedia che si sta consumando davanti a loro impotenti.
La morte di Dallas fa scattare l'istinto di leader di Ripley che decide di indagare sul vero scopo di Mother e della loro discesa in quell'incubo: e la realtà è sconvolgente.
Il sacrificio che viene richiesto all'equipaggio, come confermato poco dopo da Ash, mal funzionante dopo il breve combattimento con Parker, è di divenire il cibo per l'alieno.
Non solo, ma se nella versione tagliata ciò sembra orribile, ancor più sadico è il destino prefigurato da Scott per i suoi sfortunati naufraghi stellari in quella non tagliata, dove infatti Ripley trova, imprigionati in bozzoli e presumibilmente infettati, Dallas e Brett...e la soluzione, a quel punto, è solo una.
Dall'essere semplici prede, Ripley vuole passare all'azione, uccidendo l'alieno, ma, in quella che è la prima e unica nota umana nell'androide, ma non per questo meno inquietante, Ash afferma che non possono.
L'idolo del robot è divenuto l'alieno, essere biologico, ma che rassomiglia terribilmente ad un macchina oscura e orrida, dalle secrezioni uguali al grasso dei motori della nave, vuoto e nero come gli anfratti della stessa e mosso dall'unico imperativo di sopravvivere e perpetuare la propria maledetta genia.
Il piano di Ripley non prevede la separazione del gruppo sulla nave, ma purtroppo per Lambert e Parker la morte è in agguato: l'alieno, divenuto astuto e calcolatore quanto un umano, se non di più, li attacca di sorpresa: è interessante la scena tagliata in questo capitolo.
Qui l'alieno si muove a carponi dietro la donna, e si alza con deliberata lentezza, quasi a volerla sorprendere come si fa giocando, quando si posano le mani sugli occhi di una persona, quasi come se volesse esprimere dei sentimenti...ma il mostro non può essere così umano da provare pietà, perché è solo una personificazione della fredda logica della natura e si dimostra forte, così forte da uccidere Parker in pochi secondi, per poi passare alla povera Lambert.
Ripley, ora sola con il gatto Jones, avendo visto lo scempio perpetrato dall'essere sui corpi dei suoi amici, ripiega verso la scialuppa, ma nei corridoi illuminati ad intermittenza incontra la creatura, che, in una delle scene forse simbolicamente più belle del film, si ferma a fissare, incuriosita, il gatto nel suo trasportino: sembra che l'alieno sappia percepire la purezza degli animali, e che in qualche maniera sia quello che si potrebbe definire un punitore di quegli esseri contaminati dalla malvagità insita nell'animo umano.
Le sequenze finali, dove Ripley riesce infine a sconfiggere l'alieno espellendolo dai reattori della navetta esemplificano, con quei toni prima angosciati e poi trionfali, la natura del film ossia un viaggio dentro la sfera più primitiva di ogni individuo, un percorso da cui in pochi riescono ad emergerne vittoriosi, senza essere schiacciati dalla pressione esercitata dalla fredda materia del cosmo: il sentimento di insignificanza di fronte all'alieno, personificazione non solo di paure ataviche, ma pure dell'infinita vastità e solitudine dello spazio siderale, ben si comprende dalle ultime battute che Ellen pronuncia, in tono stanco, al computer di bordo, anonimo cronista delle sue vicissitudini, ovvero il mero elenco dei suoi compagni perduti e la speranza, in verità, non troppo entusiasta, di essere salvata.
Commento finale
In definitiva, un capolavoro del cinema degli anni '70, semplicemente una tortura psicologica che scava nel profondo di ognuno di noi, emergendo infine come nemesi, mostro distruttivo che, se non viene sconfitto, è capace di uccidere.
Edited by Toshiro - 18/5/2019, 10:06